Vivere in modo naturale
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Oggi il "naturale" sembra essere la priorità della specie umana, ma siamo sicuri di sapere bene di cosa si parla?
Alcuni giorni orsono, sono stato invitato a un dibattito, che aveva come tema l’ecologia ambientale. Un Relatore, presentatosi in camice bianco, e dicendo di essere un medico, cercava di spiegare ai presenti l’importanza dell’ecologia nella produzione degli alimenti. Diceva che oggi si tende ad andare addirittura oltre il biologico, verso l’agricoltura biodinamica, anche se, questa metodologia di coltivazione, non ha alcuna valenza scientifica provata. Il cibo sano, è il primo baluardo contro le malattie, diceva convinto, e produrre cibo sano in maniera ecologica deve essere la vera sfida del futuro dell’uomo. Accanto a me, era seduta una giovane donna, che seguiva attentamente la relazione, chiedendo, e prendendo spesso la parola, a mio avviso spesso in modo inopportuno. Era vestita all’ultima moda “giovanile” ossia in quel modo finto trasandato, che piace molto alle nuove generazioni. Finito il dibattito, ci hanno fatto spostare all’aperto. Questa conferenza era stata organizzata in un Agriturismo di prossima apertura, e solo allora compresi il vero motivo commerciale, del mio invito e di tale dibattito, ma ormai ero lì, e conoscendo il proprietario mi pareva scortese andarmene. Facendo buon viso a cattivo gioco, mi sedetti su una delle sedie di plastica che erano state poste in un prato e accettai un bicchiere di aranciata ”bio, ” offertami da un cameriere. Intanto la ragazza di prima con numerosi coetanei, si era sistemata su delle balle di paglia, scenograficamente disposte nel prato, e continuava a parlare di come fosse stupido e dannoso il nostro modo di vivere, con il consumismo che spingeva a un uso insensato delle risorse del pianeta. I ragazzi presenti, letteralmente “bevevano” le sue parole, assieme alle bibite analcoliche e salutiste, offerte da impeccabili camerieri. Attorno alla ragazza, forse anche a causa della sua avvenenza, si era formato un grosso capannello di persone, ad ascoltare le sue ovvietà natural-ecologiche. Poi, di colpo, un urlo terrificante quasi mi fece venire un attacco apoplettico. Balzai in piedi per capire cosa stava succedendo, e solo allora lo vidi: un piccolo geco era uscito da sotto la balla di paglia, dove era seduta “l’ecologa” e si era posto a pochi centimetri dal suo piede sinistro nudo, chiuso in un elegante sandalino, e da lì la osservava con i suoi grossi occhi rotondi. La ragazza sempre urlando balzò all’indietro, ed io non potei trattenere una sonora risata, e urlai scherzosamente, “attenta il suo morso e mortale!” Quindi mi chinai e presi con le mani il piccolo rettile, mezzo intontito dalla temperatura non proprio altissima e dopo una piccola carezza sul capino lo deposi in una grossa crepa del muretto di un finto pozzo, dove lui, lentamente sparì.
La ragazza, e alcuni dei presenti mi guardarono, e dalle loro espressioni capì che mi consideravano a mezza strada tra un domatore del circo Togni, e un uomo-spazzatura. Così pensai di dire loro come si viveva appena cinquanta anni prima, e se il loro amore per la “Natura” e il naturale sarebbe stato lo stesso. Gli spiegai che quando ero bambino le notti estive, erano si punteggiate da milioni di lucciole, ma anche da migliaia le mosche posate in attesa del mattino sui soffitti delle case. Che era normale per le case del tempo ospitare topi, ragni, lucertole, scarafaggi e scorpioni. Il piccolo pozzo finto mi aiutò a spiegare che un tempo, per la maggior parte delle case, era quello l’unico modo per fare provvista d’acqua, e cose oggi normali come una doccia, erano sconosciute. D’inverno ci si riscaldava con il camino, che insieme al fornello a carbonella, era l’unico modo per cuocere i cibi. Il nostro “frigo” era il davanzale esterno della finestra, ovviamente solo nel periodo invernale, mentre in cucina era la “moschiera” un pensile rivestito di una sottilissima rete, l’unico luogo per porre i cibi a prova di mosca. Il “bagno” era un fatiscente casottino, in comune nell’aia, costituito da una specie di gradino di marmo rialzato con un foro, che ogni tanto andava svotato dal suo poco piacevole prodotto, con la ”pipa” costituita da un barattolo da cinque litri vuoto di conserva, inchiodato su una lunga pertica. Il cibo poi era davvero naturale, avevo solo un piccolo difetto, che era poco. Dissi queste cose tutte d’un fiato, e alla fine mi accorsi che gli astanti mi guardavano con sospettosa incredulità. Forse pensavano che vista la mia età, fossi fuori di senno. Li rassicurai, e con un sorriso dissi loro che la loro ricerca del naturale era sacrosanta, ma per continuare a progredire nel percorso evolutivo era necessario arrivare a dei compromessi. Li lasciai poco convinti, del resto a una generazione cui la vita ha riservato solo comodità, dipendenti da social e telefonino, vestiti con abiti griffati, nutriti in alcuni casi perfino troppo, come fai a dirgli che la vita “naturale” non è poi così piacevole?
Mario Volpi
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