solidarietà
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Mai come in questi tragici giorni, l'intera cittadinanza di Marina di Carrara, deve un sincero ringraziamento alle centinaia di volontari delle varie associazioni, che con altruismo assolutamente disinteressato hanno contribuito a dare soccorso e aiutare in qualche modo una popolazione provata da una così grave calamità. L'intera Europa ci invidia la qualità e la professionalità della nostra Protezione Civile composta quasi interamente da volontari non retribuiti, spinti, proprio come secoli fa, solo dalla solidarietà.
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Solidarietà
Solidarietà ... secolare
Tutti noi, quotidianamente, udiamo il suono lamentoso di qualche ambulanza, che corre a soccorrere qualcuno. Formato quasi interamente da volontari non retribuiti, i soccorritori del 118, hanno molto in comune con i volontari, che secoli fa, formarono le prime Confraternite, chiamate poi Misericordie. Nella buia Era medievale, la vita umana aveva scarso valore, continuamente in pericolo per guerre, carestie, malattie, e pestilenze, non esisteva nessuna Autorità costituita, che potesse dare una qualche forma di aiuto. Così, quasi come una forma di auto protezione, vicino a Chiese e Conventi, nacquero le prime Confraternite, composte di cittadini, che obbedivano volontariamente a un comandamento di Dio, ossia soccorrere i feriti, e gli infermi. La prima di queste, di cui si hanno notizie certe, si formò a Firenze, attorno al XV secolo. I cittadini, prestavano la loro opera, non solo gratuitamente, ma come raccomandavano le scritture, nell’anonimato più completo, coprendosi il volto con un cappuccio chiamato “Buffa”. Dapprima osteggiate dalle Autorità religiose, che temevano di perdere potere, poi tollerate, e infine, quando si capì appieno i loro scopi, incoraggiate, queste Confraternite proliferarono rapidamente, in tutta Italia, prendendo il nome di Misericordie. Il concetto di Misericordia di allora era molto diverso da quello attuale, ma in quel contesto, e con i mezzi del tempo, anche l’eutanasia era una forma di misericordia più che giustificabile. Accadeva così. Durante le frequenti guerre, i sacerdoti, e spesso anche i Vescovi, si recavano sul campo subito dopo la fine della battaglia, e decidevano, in base alla gravità delle ferite, chi aveva qualche possibilità di sopravvivere, e chi no, e a questi ultimi, per evitargli inutili sofferenze, erano finiti con un sottile pugnale a lama quadrangolare, detto appunto Misericordia, atto a infilarsi tra le aperture della corazza. Nei secoli, le Misericordie si evolsero, nacquero le Confraternite di Mestiere, che offrivano assistenza in particolar modo ai propri soci. Anche se non si possiede una documentazione che ne accerti l’esistenza, sicuramente qualcuna di queste era presente anche a Carrara, a tutela dei lavoratori delle nostre cave. Lo si suppone, per la consuetudine arrivata fino a nostri giorni, di annunciare tramite il suono del “mugnone” e in tempi antichi, del corno, di un infortunio grave, e dall’accorrere di tutti i cavatori più vicini per prestare soccorso. Questa pratica è uguale a quella ben documentata, che avveniva nei paesi a monte, dove sopravisse fino agli inizi del XX secolo. Era una forma di assistenza, e soccorso, formata da cittadini volontari, scelti in precedenza, che al suono delle campane a martello, lasciavano il lavoro nei campi per accorrere, e trasportare il malato grave, o l’infortunato, verso il piano. Intanto nel 1865 nacque a Pietrasanta la prima associazione di Pubblica Assistenza, risposta laica alle Misericordie, che pretendevano che i loro confratelli fossero cristiani battezzati e praticanti. Le P. A, in Toscana proliferano rapidamente, e grazie alle donazioni della cittadinanza possono acquistare sedi, e mezzi. La loro struttura è improntata alla democrazia più avanzata, i volontari, di ogni ceto sociale, eleggono un Presidente, che sottopone a un Consiglio le sue decisioni per l’approvazione. Anche se nate da due scuole di pensiero diverse, le due Associazioni perseguivano il medesimo scopo, e, di fatto, non vi furono mai contrasti, anzi, ambedue cercarono di evolversi e di dotarsi di mezzi sempre più moderni per servire al meglio la popolazione. Un tempo, nel soccorrere un malato, o un ferito, la priorità era data alla velocità del suo trasporto verso l’Ospitale, il Convento, o in tempi più moderni l’Ospedale. Il trasporto avveniva con mezzi e metodi diversi, a seconda della morfologia del terreno. Vi era la “Zana” una specie di gerla imbottita con fieno, da portare sulle spalle, utile soprattutto nel trasporto di bambini, o il “Cataletto.” Questo era l’antesignano delle moderne barelle. Composto di un pianale di legno fissato su robuste pertiche, aveva una copertura metallica, su cui si stendeva un telo per salvaguardare il ferito dai rovi, e ripararlo da polvere e sole, erano necessari da otto a dodici uomini che si davano il cambio per il suo trasporto. S’inventò poi il “Volantino”una specie di rudimentale barella su grandi ruote, per arrivare poi al “Carro da volata, ” un carro, che poteva trasportare diversi feriti. Paradossalmente furono proprio le guerre, a fare evolvere i sistemi di soccorso e trasporto dei feriti. La prima a usare un servizio di “sanità” nei campi di battaglia fu Isabella di Spagna, che istituì nel 1400 gli “Ambulancias” che avevano il compito di trasportare su carri i feriti al sicuro, da qui il nome usato anche oggi per i mezzi di soccorso. Nelle guerre moderne, soprattutto quella di Crimea, ci si accorse, che era fondamentale per la sopravvivenza del ferito, non solo la rapidità di trasporto, ma che questi ricevesse le prime cure, come ad esempio arrestare un’emorragia, direttamente dal soccorritore. Così si pensò di attrezzare un carro-ambulanza, con personale in grado di prestare le prime cure, per stabilizzare così il ferito, mentre si trasportava velocemente in Ospedale. Dal carro a cavalli, si passò alle neonate auto, certamente più veloci e sicure. Alla fine del secondo conflitto mondiale, a causa dell’aumento esponenziale del traffico cittadino, soprattutto nelle grandi città italiane, le ambulanze con il faro con la croce che si accendeva sul tetto, e la sirena, non avevano più la certezza di precedenza, così nel 1959, si adottò una luce blu lampeggiante, che rendeva molto più visibile il mezzo anche di notte. Le ambulanze del tempo erano semplici auto furgonate, con i vetri sulle fiancate, e posteriori, sabbiati opachi, per non fare vedere l’interno, l’equipaggio era di due persone, ed erano così rare che quando udivamo la sirena, noi ragazzi andavamo sulla strada di corsa per vederla passare. Per rispondere sempre meglio alle aumentate richieste di soccorso, nella metà degli anni ottanta, le Misericordie e le P. A, si misero al passo con i tempi, formando personale paramedico in grado di lavorare in squadra, di rispondere in modo professionale a chiamate di soccorso H/24, e di usare apparecchiature mediche sofisticate. Formarono poi autisti in grado di destreggiarsi con sicurezza, anche ad alta velocità, nel caotico traffico cittadino. Anche le ambulanze si modernizzarono, secondo le norme dettate dalla Comunità Europea, si usarono capaci furgoni, con le dotazioni mediche e di sicurezza standardizzate, con scritte e colori codificati. Per essere subito riconoscibili, anche le sirene diventarono bitonali, diverse da quelle delle forze dell’ordine. Nel 1992 poi, dopo un anno di sperimentazione, fu istituito un numero telefonico di soccorso unico su tutto il territorio Nazionale, il 118. Da una Centrale Operativa un operatore invia al richiedente il mezzo più adatto, dall’ambulanza, all’elisoccorso. Ora questo numero sta per essere sostituito con il 112, che sarà in grado di inviare anche pompieri, o forze dell’ordine. D’ora in avanti, spero che molti, sentendo, magari nel cuore della notte, la sirena di un’ambulanza, ricordino che quel mezzo, oltre al ferito, trasporta un carico ancora più prezioso... la solidarietà.
Volpi Mario
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