La mia maestra
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Oggi, quasi per un paradosso, la scuola Italiana è a detta di molti una delle peggiori d'Europa. Senza risorse, per tagli fatti senza criterio, con numerose materie anche importanti giudicate inutili, e non più insegnate, con il corpo insegnante demotivato e mal pagato. E pensare che proprio grazie alla scuola e a un vero e proprio esercito di,queste si, "buone maestre" l'Italia, sessanta anni fa. ha vinto l'analfabetismo, diventando uno dei paesi più avanzati del mondo.
Pensierino “la mia maestra”
L'Italia uscì dalla seconda guerra mondiale non solo, materialmente, ed economicamente a pezzi, ma con un tasso di analfabetismo che sfiorava il novanta per cento. Così il Governo ingaggiò una vera e propria guerra contro questa vergognosa e avvilente piaga sociale. Lo fece, cercando di recuperare con gli scarsi mezzi che aveva a disposizione, il patrimonio edilizio scolastico, che era in gran parte andato distrutto, affittando qualsiasi fondo che avesse una capacità di ospitare una classe di almeno 40 bambini, ma sopratutto inviando, in quelle vere e proprie aule di fortuna, il materiale umano, ossia il corpo insegnante. In quegli anni la maggior parte di questo era composto da maestre. Per la Società ancora fortemente maschilista del tempo, il mestiere dell'insegnante “elementare” come al tempo si chiamava la scuola primaria, era una prerogativa prettamente femminile. Così le maestre che erano in servizio al tempo si dividevano in due “categorie” quelle già anziane, e quelle giovanissime, appena uscite dalle Magistrali. Si deve dire che proprio grazie allo spirito di abnegazione, e dalla passione per il “lavoro” di queste ultime, che l'Italia vinse, almeno parzialmente, la battaglia intrapresa contro l'analfabetismo galoppante del tempo. Queste “maestrine” come al tempo venivano chiamate quasi con sufficienza, non si facevano spaventare facilmente, ne dalla logistica, spesso disastrosa, ne dalle critiche, quasi sempre ingiuste e ingiustificate, delle “autorità” costituite, come ad esempio il curato del paese. Alcune poi, specialmente nei centri rurali più isolati, dovevano vincere anche la resistenza dei genitori degli alunni, che ritenevano che mandare il figlio a scuola fosse un inutile perdita di tempo, mentre era sicuramente più vantaggioso utilizzarlo per il lavoro nei campi. Per le bambine poi, i problemi si moltiplicavano, e si ampliavano, sempre a causa della mentalità retrograda dei genitori. Era prassi comune in quei tempi, che per le “femmine,” fosse più necessario e utile prepararsi al matrimonio, e a come mandare avanti una famiglia, che perdere tempo con un'inutile istruzione, così le bambine venivano sottratte alla scuola per mandarle a imparare a cucire, o le più sfortunate, perfino a “servizio” presso le famiglie più ricche. Ecco che la lotta sostenuta da alcune maestre, era anche sociale. Molte di loro poi, decisero di rompere la tradizione dell'insegnamento ottocentesco delle nozioni imparate e ripetute a memoria, senza magari saperne neppure il significato, cercando di rinnovare i sistemi della didattica, scontrandosi per questo con vecchi e conservatori “direttori” legati ottusamente alle consuetudini collaudate da decenni. Nei piccoli centri rurali, o nelle sperdute località montane, esistevano le pluriclassi, ossia nella medesima aula erano ospitate dalla prima, alla quinta classe, essendo il numero dei bambini limitato, e con un divario di età notevole, mentre invece nelle appena costruite periferie urbane, le classi con trentacinque, quaranta bambini, erano la norma. Per tenere a freno un numero di bambini così elevato, era chiaro che il ricorso a una ferrea disciplina fosse indispensabile, con l'utilizzo anche di qualche sonora bacchettata sulle punta della dita del reo, senza per questo scatenare, come avverrebbe oggi, delle vere e proprie guerre legali con i genitori. Nel 1957 moriva a Torino in tarda età, Eugenia Barruero, una maestra che lo scrittore Edmondo De Amicis prese a modello per uno dei suoi racconti pubblicati sul famoso libro per ragazzi Cuore, intitolato “la maestrina dalla penna rossa.” Questa persona ben rappresentava la nuova figura dell'insegnante giovane e moderna, che rompeva con le vecchie regole di un tempo, per portare l'insegnamento in una veste completamente nuova, in un'Italia che cercava disperatamente di risorgere dalla ceneri di una catastrofe mondiale, ma sopratutto di portare l'istruzione, ora veramente pubblica, ad ogni singolo membro della Società civile, senza distinzione di sesso, religione, ed estrazione sociale. Molte di queste giovani maestre si distinsero per aver sposato, non senza critiche, i nuovi metodi pedagogici, come quello divenuto famoso in tutto il mondo detto “metodo Montessori,” dal nome della sua ideatrice, in cui tutto doveva essere fatto a misura di bambino, o di portare il bambino a interessarsi del mondo dei “grandi” attraverso i nuovi metodi tecnologici del tempo, come la radio. Alcune arrivarono a portare in classe il monumentale apparecchio radio della loro casa, per fare ascoltare ai bambini, come doveva essere parlata la lingua italiana, in un mondo linguistico contaminato da mille dialetti. Un passo fondamentale fu poi fare esprimere al bambino le proprie paure, timori, angosce,sogni e speranze, attraverso i cosiddetti “pensierini,” la prima forma di compito in classe, che contribuì non poco a formare quelli che sarebbero stati, la generazione al timone di un'Italia rinata.
Mario Volpi
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