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Sezione a cura di Mario Volpi
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Il paradosso del lavoro

Una Volta Invece

Cara Redazione

Navigando in rete per cercare il calendario degli eventi della Marble Weeks. ho trovato una pubblicità che mi ha lasciato veramente perplesso, un robot che esegue una copia di una scultura in pochissimi minuti. Certo solo copie, ma mentre un tempo questo lavoro occupava decine di ornatisti e scultori, oggi basta solo una macchina, e c'è qualcuno che questo lo chiama progresso!

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Il paradosso del lavoro

Alla fine degli anni quaranta, in Italia non esisteva una vera e propria industria. La maggior parte delle lavorazioni avveniva con metodi artigianali, con scarsissimo uso di macchine, dove contava soprattutto la bravura dell’operaio che eseguiva il lavoro, mentre il tempo impiegato aveva scarso significato. Alla fine del 2° conflitto mondiale però, prese campo anche in Italia il taylorismo, una nuova organizzazione del lavoro inventata negli Stati Uniti dall’ingegner Frederick Taylor. Questo metodo di “lavoro scientifico” prevedeva che un operaio facesse un solo movimento, magari dalla durata di pochi secondi, ma ripetuto all’infinito, nacquero così anche in Italia le prime catene di montaggio. Furono necessarie anche nuove professioni come i cronometristi, e gli analisti, che, con strumenti inventati apposta come il crono ciclografo, erano in grado di misurare e analizzare ogni movimento effettuato da un operaio durante l’esecuzione di un determinato lavoro, eliminando gesti inutili e tempi morti, migliorando quindi la velocità di esecuzione. Grandi aziende come Fiat, e Olivetti, adottarono subito e massicciamente le catene di montaggio, che oltretutto permettevano l’impiego di manodopera a bassa specializzazione, e quindi meno costosa, ma dopo poco tempo ci si accorse che questo sistema di lavoro implicava un grosso inconveniente sulla salute dei lavoratori: lo stress.
Lo stress, non è altro che la risposta dell’organismo alle sollecitazioni negative presenti nell’ambiente, come la ripetitività del movimento, che può provocare delle vere e proprie patologie fisiche, come dolori muscolari, dovuti alla tensione tenuta per troppo tempo, per arrivare a vere e proprie sindromi psichiche, come la depressione, dovuta l’insoddisfazione per il proprio lavoro. Il film “Tempi Moderni” di Charlie Chaplin, portò questo problema a conoscenza del grande pubblico, e provocò indirettamente dei movimenti sindacali tendenti a limitare i danni della catena di montaggio. Si pensò, per ovviare a questi inconvenienti, di fare il lavoro a cottimo collettivo. Questo sistema prevedeva che gli operai impiegati alla catena di montaggio, fossero organizzati in squadre di dieci o più elementi, e tenuta ferma una certa quantità di lavoro da fare giornalmente, potessero, in modo autonomo, scegliere se produrre di più, ottenendo per questo una paga straordinaria. Si cercò anche di rendere più flessibile il modo di assemblare un certo oggetto, in modo che ogni individuo potesse in qualche misura adattarlo alle proprie caratteristiche.
Ma la vera svolta tecnologica avvenne alla fine degli anni settanta, con l’avvento dei primi robot. In principio erano costituiti da un unico braccio meccanico, capace di fare un numero limitato di movimenti programmati, ma in pochissimo tempo si evolsero, riuscendo a compiere operazioni più complesse.
L’impatto occupazionale fu enorme, un robot poteva svolgere lavori rischiosi o nocivi, come saldatura o verniciatura, senza tempi morti, e in assoluta sicurezza. Ora l’industria non richiedeva più manodopera numerosa, e a bassa specializzazione ma tecnici altamente qualificati, ma in numero esiguo. Con l’avvento dell’elettronica poi, il metodo di lavoro cambiò ancora, per la progettazione si usarono il sistema C.A.D. e C.A.M. In pratica senza entrare troppo nello specifico, con questi due sistemi, il disegno e la progettazione, sono assistiti da un elaboratore, che non solo è in grado di fare vedere il pezzo da produrre in 2 D, o in 3D, ma riuscivano anche a inserire nel progetto stesso le istruzioni computerizzate necessarie alla macchina utensile per produrlo. Purtroppo, se questi sistemi accelerarono, e resero più sicuro l’esecuzione di un progetto, dall’altro canto spedirono in pensione anticipata legioni di disegnatori e modellisti, diventati ormai inutili. Questa vera e propria rivoluzione tecnologica non si fermò qui, alla fine degli anni novanta, nei paesi asiatici, fecero la loro comparsa, le prime fabbriche automatiche. Anche se le prime realizzazioni furono molto costose, in pochissimo tempo ripagarono abbondantemente i loro investitori. Queste fabbriche crearono un vero e proprio paradosso, causarono una forte perdita di posti di lavoro, ma ebbero il merito di abbassare drasticamente il costo di molti prodotti, come ad esempio quelli ad alta tecnologia. La ragione di questo repentino calo dei prezzi e facilmente spiegabile. Una fabbrica automatica non richiede: impianto di estrazione e depurazione fumi, impianto elettrico per l’illuminazione, impianto idrico e sanitario, impianto di riscaldamento o refrigerazione, sistemi antinfortunistici, mense e spogliatoi, non ha tempi morti, e può funzionare ininterrottamente giorno e notte.
Inoltre la sua autonomia non finisce qui, con l’impiego degli Elaboratori di Processo, è in grado di controllare, ed eventualmente modificare, la qualità della sua produzione. Purtroppo questa non sembra l’ultima frontiera nell’automazione nel mondo del lavoro, e moltissime altre categorie, anche ad alto livello professionale sono a rischio, come per esempio i piloti di aereo. Anche se per adesso usati solo per scopi militari gli U.A.V tradotto letteralmente aereo senza pilota, saranno certamente il mezzo di trasporto merci di un domani non troppo lontano. Già oggi sono in grado di volare per giorni, cosa impossibile per quelli pilotati in modo tradizionale. Non hanno bisogno di finestrini, pressurizzazione, sistemi di riscaldamento, e in più possono volare a velocità che non sarebbero compatibili per una persona non dotata di sistemi particolari. E’ chiaro che il loro costo rispetto a quelli tradizionali sarà molto competitivo, la possibilità poi di eseguire in modo autonomo voli programmati eliminando totalmente la componente umana, abbasserà ulteriormente i costi di gestione.
L’uso massiccio di tutta questa tecnologia ha, e avrà, sempre meno, bisogno di manodopera, ma da normale cittadino faccio una riflessione. Che senso ha fare costruire prodotti ai robot, se poi l’umano, senza lavoro, non ha i mezzi per acquistarli?

Volpi Mario
10 luglio 2014


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