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Sezione a cura di Mario Volpi
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il maledetto

Nulla è come appare
Spetta/Le Redazione
Uno dei sogni dell'umanità, è senza dubbio quello di raggiungere l'immortalità. Si pensa che sarebbe un dono prezioso, ma ...

Giuseppe, si teneva la testa tra le mani, in preda a una forte depressione, perché, purtroppo come già decine di altre volte, era riemersa prepotentemente la necessità di partire. Dopo essersi completamente disteso sul divano, chiuse gli occhi, e si gettò nei ricordi. Tutto era iniziato per una ragione a lui sconosciuta, che lo assillava e tormentava da millenni. A quel tempo era un giovane Centurione dell’esercito Romano, sotto il comando del Console Mummio, impegnato nella campagna militare contro i Greci che avevano osato rivoltarsi contro Roma. Sbarcato dalla triremi due giorni prima, aveva avuto l’incarico, per evitare imboscate, di precedere con un manipolo di venti cavalieri il grosso della Legione, che stava procedendo verso la citta di Corinto. L’ordine era di precederla di una giornata di cavallo, aspettarla e dopo che questa si era accampata, continuare nell’esplorazione. Cominciava a fare notte, ed egli ordinò di cercare una zona adatta per passarvi la notte. Erano sulle aspre balze della catena montuosa che come una collana di roccia proteggeva la città di Corinto, i cavalli faticavano su quegli aspri sentieri più adatti ai muli che non a destrieri da battaglia. Infine il capo manipolo gli disse di aver avvistato appena a una lega di distanza una caverna, che avrebbe potuto ospitarli per la notte. Non senza difficolta, il piccolo drappello di cavalieri, giunse davanti al buio antro che simile a una bocca di roccia, sprofondava nelle profondità della montagna. Il Centurione ordinò di impastoiare i cavalli, e di preparare l’accampamento mente egli sarebbe entrato per accertarsi che non vi abitasse qualche bestia feroce. Accesa una torcia, sfoderò il gladio ed entrò nella caverna. Questa dapprima larga, si andava via, via, restringendo fino ad arrivare a un’altezza che costringeva il Centurione ad abbassare il capo. Arrivò in un’ampia sala piena di stalattiti e stalagmiti, che parevano grosse colonne di finissima madreperla, mentre sul fondo, un sottile foro spariva di colpo nelle viscere della montagna. Fu un attimo, con un potente boato, la terra cominciò a tremare violentemente, mentre grosse pietre cadevano dalla volta precludendogli ogni via di fuga, come se non bastasse, in pochi secondi un fumo giallastro invase completamente la grotta, togliendoli il respiro, fino a farlo svenire. Quando rinvenne, per molto tempo, quasi non riusciva a muoversi, poi, piano, piano, cominciò a muovere con precauzione mani e piedi, non avvertiva alcun dolore, quindi pensò di non avere ferite. Il buio era totale, e il Centurione cercò disperatamente di reprimere quel senso di angoscia e soffocamento che cercava di sopraffarlo. Dopo essersi calmato i suoi occhi cominciarono ad abituarsi un poco a quel buio totale, e a poco a poco, gli parve di scorgere un barlume di luce. Camminando cautamente a tentoni, arrivò vicino a quel tenue bagliore, e si accorse che proveniva da una fessura in quel muro di pietre che si era formato, a causa di quella violenta scossa di terremoto. Con cautela cominciò, a tentare di rimuoverne qualcuna, e con sua grande sorpresa vide che una di queste, la più grossa, si muoveva. Dopo un tempo che gli parve infinito, mentre la luce aumentava sempre più, con le dita sanguinanti, riuscì a spostarla quel tanto che gli permettesse, strisciando, di passare da quello stretto pertugio che aveva creato, e uscire all’aperto. Dopo aver strabuzzato gli occhi per l’intensa luce, ciò che vide, rischiò di fargli perdere la ragione. Dei suoi uomini non vi era traccia, in più il paesaggio era totalmente cambiato, e ora due giganteschi alberi di carrubo, nascondevano quasi completamente l’ingresso della grotta. I suoi abiti poi, cadevano a pezzi, il gladio, era quasi interamente corroso dalla ruggine, mentre l’elmo e la corazza, avevano i legacci in cuoio, completamente marci, cosa era successo? Gettati via quegli orpelli ormai inservibili, s’incamminò a piedi verso il fondovalle, e dopo poco scorse una fanciulla che pascolava delle capre. Cercò di farsi capire a gesti, non conoscendo neppure una parola di greco. Ma con sua grande sorpresa la fanciulla, in perfetto latino, anche se spaventata, gli chiese chi fosse. Gli ci volle un’intera giornata per capire che da quella sua avventura nella grotta erano passati quasi due secoli, cosa che non capiva, e che rischiava di farlo impazzire. Giuseppe si alzò, andò al frigo, e dopo aver versato un po’ di succo d’arancia in un bicchiere si rituffò nei ricordi. Gli ci volle del tempo per accettare quello che gli era capitato, anche se non lo capiva. Si era accorto che non invecchiava, e rimaneva sempre quel baldo giovane di appena venticinque primavere, come quando era entrato nella grotta. In principio la cosa lo fece felice, si sposò con una splendida fanciulla, da cui ebbe cinque figli, due maschi e tre femmine. Ma presto si accorse che quello che credeva un dono, era invece una maledizione. Vedeva giorno dopo giorno, invecchiare e deperire moglie e figli, fino alla loro morte, con l’immenso dolore che questo comportava, in più la gente del villaggio, notando che egli non invecchiava, cominciava ad averne paura, o addirittura a tentare di ucciderlo, anche se questo non era possibile. Una sera, mentre le tenebre stavano pe avvolgere la sua capanna una freccia scoccata dal buio della boscaglia, lo aveva colpito dritto al cuore, procurandogli un dolore immenso e disumano, ma era riuscito a strapparla dal petto, e la ferita in pochi istanti si era richiusa. Nei millenni aveva imparato più di dieci lingue avuto più di trenta mogli, e generato oltre duecento figli, cambiando continuamente nome, città e Paese, quando la gente cominciava ad accorgersi della sua stranezza. Da oltre un secolo, però, aveva deciso di non sposarsi più per non soffrire quando la compagna e i figli morivano. Oggi nell’ufficio in cui lavorava, aveva sentito dei colleghi commentare stupiti come fosse possibile che per loro era quasi l’età della pensione, mentre lui era ancora un ragazzo. Era giunto ancora una volta il momento di andare via, in un Paese, e una città qualsiasi che gli permettessero di vivere per altri venti, trenta anni, in tranquillità; un’inezia confronto all’eternità!
 
 
Mario Volpi 23.4.22
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