‘L fiorai - il fiorista
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Cosa sarebbe un mondo senza fiori? Non vi
sarebbe vita perchè è proprio il fiore, che la fa nascere. Oggi è anche un
volano economico primario per il Paese Italia, anche se il Terzo Mondo, ci sta
facendo una spietata concorrenza.
Negli anni cinquanta, a Carrara, i negozi di fiorai erano pressoché sconosciuti. A tal proposito ricordo un episodio, che fece molto scalpore nell’ ”aia” dove abitavo. La figlia del Fattore si stava sposando, e all’improvviso arrivò una topolino furgonata, da cui scese un signore vestito elegantemente che le consegnò un gigantesco mazzo di rose bianche, con un bigliettino di felicitazioni. Era stato inviato da suo zio, che abitava a Boston, negli Stati Uniti, che gli aveva fatto recapitare i fiori attraverso l’Unione Fioristi Italiani, che sarebbe diventata molto più tardi l’attuale Interflora, cosa, che al tempo, apparve come un evento quasi miracoloso. In quegli anni, segnati dalla miseria più nera, i fiori non erano considerati come dono per ricorrenze varie, perché i bisogni primari erano ben altri, e in determinate circostanze ci si aspettava qualcosa di veramente utile. Vi era solo una circostanza dove i fiori, in questo caso i crisantemi, non potevano mancare, ed era il due di Novembre giorno della commemorazione dei defunti. Ma anche qui, solo a tale scopo, erano autoprodotti nell’orto, sotto piccole tettoie di cannelle, per ripararli da eventuali grandinate o gelo precoce. Ma se i fiori come dono non erano molto considerati, ciò non significava che non fossero apprezzati, anzi! Ogni massaia che possedesse anche un minuscolo fazzoletto di terra, si cimentava nella coltivazione di piante fiorite. Rosa Canina, Viola a Ciocche, insieme al Pane e Vino ovvero l’Acetosella, in primavere ingentilivano balconi e davanzali, e facevano da bordura fiorita ai vialetti d’ingresso. Oggi queste varietà sono quasi scomparse, soppiantate da altre esotiche o ibridate certamente più appariscenti. Quando ero bambino, rimanevo incantato dalle Bocche di Leone, che coltivava mia zia, e che io amavo stringere tra le dita, per fare aprire e richiudere la bocca, da cui traggono il nome. Mi piacevano moltissimo anche le “Giorgine” come noi bambini chiamavamo le Dalie, che ci ricordavano gli imponenti collari che indossavano i Principi e i Re medievali. Calle e Margherite multicolori poi, la facevano da padrone in ogni casa, magari segregate dentro un modesto e rugginoso “lattone, ” che una volta conteneva della conserva. Noi bambini, nel mese di maggio, facevamo “il fioretto” alla Madonna. Questa devozione tradizionale è antichissima, è quasi sicuramente derivata dalle feste celtiche per l’arrivo della primavera. La penitenza-fioretto, consisteva nel portare davanti all’immagine della Madonna, ogni giorno un fiore diverso. Cosa non facile, che ci portava a battere a palmo a palmo, i campi, le rive dei ruscelli, le ripide scarpate, senza dimenticare i boschi che stavano ormai diventando ombrosi. A me piacevano molto anche le Peonie selvatiche, al tempo molto comuni nei vigneti, presenti con almeno tre colori, e il rosso Papavero, con cui ci si faceva il “vaiolo,” nel braccio, premendo la corona centrale fino a quando non restava impresso sulla pelle il disegno. Alcuni fiori, poi, erano ricercatissimi da noi bambini per mangiarli, il più comune era il Glicine, ma quello più goloso era senza dubbio la Passiflora, di cui leccavamo il fiore, e mangiavamo il frutto. Furono soprattutto gli anni settanta che videro il mercato floreale italiano compiere un gigantesco balzo in avanti. Matrimoni, fiere campionarie, convegni, spettacoli teatrali, allestimenti di Chiese per funzioni religiose, ebbero sempre più bisogno di un gran numero di fiori recisi, e soprattutto di personale in grado di allestire con eleganza buchè e ghirlande fiorite. Ecco nascere i primi negozi di fioristi, in dialetto “ ‘l fiorai,” che oltre a vendere i fiori, sapevano consigliare il tipo, il colore, e il modo di presentarli. I Paesi Bassi, furono da subito grandi produttori di fiori recisi, seguiti a ruota dall’Italia, che soprattutto in Liguria, a San Remo, e in Toscana da Pescia a Pistoia, grazie a un clima particolarmente mite, seppero sviluppare le prime coltivazioni di fiori, all’interno di costose serre in vetro. Le cultivar più importanti, furono in principio i Garofani, seguiti dopo pochi anni dalle Rose. L’estro italiano, anche in queste prime coltivazioni quasi pioneristiche, dette prova della sua innata creatività, ibridando nuove varietà che incantarono il mondo per la loro bellezza. In particolar modo, fu il garofano che si prestò maggiormente a tali ibridazioni, dando origine a delle varietà particolari che spesso oltre a prendere il nome del loro creatore, sono ormai riconosciute e codificate a livello internazionale. Intanto i negozi di fiorai su tutto il territorio Nazionale, aumentarono in modo esponenziale, tanto che questa categoria sentì il bisogno di associarsi, non solo per avere più voce giuridica, ma anche per dare vita a scuole per fioristi, che fossero in grado non solo di allestire, ma anche di conoscere le caratteristiche biologiche dei principali fiori per poterli presentare nel migliore dei modi. In poco tempo, la coltivazione e vendita di fiori, ebbe una parte importantissima nell’economia del Paese, che con l’avvento di moderni prodotti come il Nylon, il Polietilene o il PVC, fecero un salto tecnologico importante che permise all’intero settore florovivaista, non solo di aumentare la produzione, ma anche di abbassare notevolmente i prezzi al consumatore finale. Oggi però, questo “monopolio” è finito. Paesi come l’Equador, Israele, Kenya e Colombia, favoriti dal clima tropicale, e da un costo della manodopera infinitamente più basso, possono produrre a un costo inferiore, scalzando dal mercato internazionale i produttori Europei. I floricoltori italiani, per sopravvivere, dovranno puntare sulla qualità, sull’innovazione delle varietà offerte, ottenute con pazienza e competenza, aiutati però, da una dote che solo noi possediamo; l’italico ingegno!
Mario Volpi 7.5.22
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