A caccia con il nonno
Proprio in questi giorni infuria la rovente polemica tra ambientalisti e ecologisti, per quanto riguarda la pre-apertura a cervidi e ungulati richiesta a gran voce da diverse Regioni. Lontano da ogni commento polemico, vi invio questo racconto da me scritto un po di tempo fa, su un ricordo infantile a me tanto caro. Oltre ad un nostalgico ricordo, questo racconto evidenzia gli importanti cambiamenti della nostra Società, avvenuti in poco più di mezzo secolo, passando da una condizione di pura sopravvivenza ad uno dei paesi più industrializzati del mondo.
Volpi Mario
A caccia col nonno
L'altro giorno mi sono imbattuto per caso in una squadra di cacciatori che si stavano preparando per una battuta al cinghiale. Vestiti con tute mimetiche, muniti di carabine a ripetizione alcune anche con ottica, e modernissimi ricetrasmittenti a tracolla, sembravano una banda di guerriglieri Cambogiani. Così con una punta di nostalgia, sono tornato con la mente, a una mattina di un marzo di più di cinquanta anni fa. A quel tempo abitavo con i miei genitori nella vecchia casa dei miei nonni materni. Con mio padre gravemente ammalato, mia madre, assieme ai miei nonni, faceva salti mortali per sbarcare il lunario, non si moriva di fame, anche grazie al piccolo orto che mio nonno curava con amore, ma non si poteva certo dire che si navigasse nell'oro. Mio nonno aveva fatto il bracciante agricolo tutta la vita, ed ora a settanta anni suonati, svolgeva solo piccoli lavoretti saltuari, come innestare piante, o potare ulivi non troppo alti, attività spesso pagata in natura. Poteva così dedicarsi alla passione di tutta una vita: la caccia. Io allora avevo circa sette anni, frequentavo la seconda elementare, e quando uscivo da scuola notavo subito la sua figura, alta e imponente, che sovrastava tutte le madri e i padri presenti; era infatti un omone grande e grosso, con due baffi a manubrio ormai bianchi, come pure bianchi erano i capelli che portava cortissimi come si usava al tempo. Sempre allegro, anche se analfabeta, possedeva la battuta pronta e la sua arguzia era proverbiale tra i suoi amici, che lo avevano soprannominato per il suo aspetto distinto, e il suo parlare quasi forbito, 'l dotor.
Possedeva una vecchia doppietta ad avancarica, che lui sosteneva fosse un "Krupp tre anelli", marca tedesca al tempo prestigiosissima, dicitura che io non vidi mai da nessuna parte, era comunque una gran bella arma. Aveva le batterie intere, tutte incise con scene di caccia, e frasche di quercia con ghiande, i cani esterni, erano a forma di cigno dove il becco fungeva da martelletto, il calcio in noce, era a "l'inglese" impreziosito da un ponticello color oro tutto istoriato, sotto le due canne, che erano lunghissime, la stecca per caricare aveva la parte superiore a forma di testa di cane, anch'essa dorata. Durante l'estate mio nonno preparava il piombo, e la polvere che poi sarebbe servita per la caccia, operazione a cui io assistevo, e partecipavo con infantile entusiasmo. Per fare i pallini si serviva di un vecchio elmetto tedesco, che fungeva da crogiolo, mentre il piombo veniva fornito da "Tunin", che faceva il ferroviere, e raccoglieva per mio nonno i piombi che sigillavano i carri merci, e che venivano buttati dopo la loro apertura. Dopo aver sciolto il piombo dentro a l'elmetto posto sopra ad un braciere acceso nell'orto, si versava molto lentamente sopra una carta da gioco inchiodata sopra a una tavola, con al di sotto un secchio pieno d'acqua. Si sceglievano quelli venuti abbastanza rotondi, mentre gli altri venivano rifusi, e il ciclo ricominciava. Per la polvere invece ero io l'attore principale in quanto dovevo grattugiare con una vecchia grattugia da formaggio, le stecche di balistite, che lui chiamava Marzona che un suo amico gli portava dalle cave, quindi stenderla al sole su di un foglio di carta gialla, "p'r inasprirla" (per farla asciugare) come diceva lui. Anche preparare la crusca che sarebbe servita da bora, era mio compito, e la recuperavo con cura quando mia madre setacciava la farina per fare il pane. Le prede di mio nonno dovevano essere " almanch diezi volte 'l pes del piomb"(almeno dieci volte il peso del piombo) come diceva sempre, ne conseguiva che cominciavano dal piccione in su, così ad ottobre andava ai colombacci, mentre per tutto l'inverno fino a marzo (a quei tempi la caccia iniziava da Agosto fino a tutto Marzo) si spostava al mare agli acquatici. Ora col senno del poi, ho capito che questa scelta era dettata più da fattori economici che da quelli ecologici. Una sera di metà marzo, mentre davanti al camino mi arrostiva una crosta di parmigiano infilata sopra lo spiedo, mi propose di andare l'indomani con lui a caccia di "Garovedi". Devo precisare che alle mie innumerevoli richieste di portarmi a caccia con lui, egli rispondeva invariabilmente " a ti porterò quand t t sofierà 'l nas da te" (ti ci porterò quando riuscirai a soffiarti il naso da solo) frase di cui al tempo non capivo il significato, quindi dopo un attimo di stupore accettai con entusiasmo. Quando mi scosse per svegliarmi il mattino dopo, mi sembrò che il cuore mi si fermasse. Dal sonno che avevo, non riuscivo ad aprire gli occhi, così mentre mi sciacquavo il viso nella bacinella piena dell'acqua gelata del pozzo, ebbi un brivido, che mi aiutò a svegliarmi del tutto. Poco dopo ero seduto a canna sulla bici del nonno, che pedalava sul Viale XX Settembre verso il mare. Era buio pesto, e il fanale della bici si rifletteva sul lucido delle rotaie del tram, che il nonno cercava di evitare per non cadere per terra. Un venticello gelato mi sferzava le gambe nude, che spuntavano da un paio di calzoncini corti, e ogni tanto mi provocava dei brividi incontrollati. " t'ha fred?" (hai freddo?) mi disse il nonno, dalla paura che potesse riportarmi a casa mi affrettai a negare, ma lui si fermò, e dopo essersi tolto la giacca me la pose sulle gambe, poi ripartimmo. Arrivammo alla foce del Carrione, dal lato verso Massa dopo circa un quarto d'ora; non vi era nessuno, le luci del porto sulla nostra destra sfavillavano nella notte, mentre la luna piena disegnava un fiume d'argento nell'acqua del mare, calmo come una tavola. Il cielo nero come l'inchiostro, era punteggiato da un milione di stelle, e io nonostante il freddo non potei che restare affascinato da quello spettacolo per me inconsueto. Col pennato che si era portato dietro, mio nonno tagliò alcune canne per improvvisare un capanno per nasconderci, poi dopo aver caricato la doppietta col piombo grosso, mise i due caps, di ottone sui fornelletti senza però armare i cani, e ci preparammo ad aspettare che venisse giorno. Il vento della corsa e l'umidità della sabbia avevano completamente intirizzito i miei piedi nudi dentro agli zoccoli, tanto che avevo perso la sensibilità delle dita, ma mi guardai bene da dirlo al nonno. Dopo pochi minuti arrivò un'auto, era una Topolino Giardinetta. Si fermò sulla strada soprastante, spense i fari, e dopo poco vidi aprire quasi con circospezione le portiere in legno, ne uscirono due persone, che dopo aver preso qualcosa dalla parte posteriore dell'auto, parlottando tra loro, scesero sulla scogliera. Dopo averci visto ci salutarono, e chiesero al nonno se potessero appostarsi a poca distanza. "basta che n v metet davanti!" (basta che non vi mettiate davanti a me) rispose il nonno, cosi i due cacciatori cominciarono anche loro a costruirsi un nascondiglio sulla nostra destra. L'attesa, e il rumore delle acque del Carrione che scorrevano a un passo, mi facevano da ninnananna, stavo per riaddormentarmi all'impiedi come i cavalli, quando un colpo di tosse del nonno, forse più diplomatico che necessario, mi riportò alla realtà. Intanto verso Pianamaggio il sole stava sorgendo, si cominciavano a distinguere le sagome delle cave, mentre le stelle si spegnevano per lasciare il posto a uno spettacolo che io non avevo mai visto prima. Il nero della notte cominciava a scolorire, ed il cielo si tinse di un rosa pallido, che cominciò a virare fino al rosso, poi all'arancione carico, ed infine il sole sorse da dietro la collina, da prima un pezzettino, poi sempre di più, fino a non riuscire più a guardarlo. Era la mia prima volta che assistevo ad un'alba, e ne rimasi affascinato, guardavo quello spettacolo grandioso con la bocca aperta, il nonno se ne accorse e mi disse ridendo"ciod la boca che senò a ti va le zanzare!" (chiudi la bocca se non vuoi che ci vadano dentro le zanzare). Intanto con l'avanzare della luce la natura si svegliava, dentro il canneto la passera cannaiola cominciò il suo concerto, mentre le libellule, iniziarono a danzare sull'acqua, un Martin pescatore di un blu inrridescente, si tuffò a pochi metri di distanza in cerca di girini e piccoli pesci, mentre le rondini cominciavano a dare la caccia agli sciami di moscerini che volavano sul pelo dell'acqua. Poco più in la, i due cacciatori, erano seduti dietro alla paratia di cannette, e ora con la luce del giorno cominciai ad osservarli, erano vestiti tutti e due con un completo di velluto verde, in testa un cappello a larghe tese, in vita, le cartucciere nuovissime piene di cartucce con i fondelli luccicanti, che facevano bella mostra di se sui loro panciotti, in mano, con le canne appoggiate sulla spalla destra, due doppiette a retrocarica. Il nonno dopo un'occhiata, disse quasi con disprezzo " bagaronari novedi!"(novellini ricchi!) Passo quasi un'ora senza che vedessimo nulla, se si esclude qualche raro gabbiano di passaggio, poi di colpo il nonno si irrigidì, e dopo aver armato i cani dissi in un sussurro "Sta ferm..non t mov'r" ( stai fermo,non ti muovere). Attraverso una fessura delle canne vidi in mare, un immenso branco di uccelli, che, volando velocissimo a pelo d'acqua, si dirigeva dritto su di noi, quando furono a circa trenta metri si impennarono, e ci passarono sopra, ma così bassi, che riuscii a distinguerne perfino gli occhi. Nelle orecchie mi risuonarono tre o quattro colpi, ma così ravvicinati da sembrare uno solo, e cinque Garovedi (Alzavole) caddero dopo una ripida picchiata nel fiume. "Va a piarli " (vai a prenderli) disse il nonno, ma non ce ne sarebbe stato neppure bisogno, perché dopo essermi tolto gli zoccoli, ero già in mezzo al fiume. Agguantai il primo per il collo, e insegui il secondo che era ferito, li riportai al nonno, e mi rigettai in acqua per recuperare gli altri tre che galleggiavano cullati dolcemente dalla corrente del Carrione. Dopo poco erano tutti e cinque dentro il carniere, stavamo per andarcene quando si presentò uno dei due cacciatori che disse"Scusate, ma abbiamo sparato anche noi!" Il nonno li guardò con aria di compatimento e rispose in dialetto" 'Ma dov volet andar con chi schinzeti lì? Quando aio sparat me cos' t canon, aio fat un solch 'nt'el branch!"(ma dove volete andare con quegli schinzetti lì? Quando ho sparato io con questo cannone, ci ho fatto un solco in mezzo al branco!) L'uomo dette un'occhiata alla lunghezza delle canne, e senza dir nulla se ne andò. Poco dopo, mentre ero seduto a canna sulla bici, diretto verso casa, il nonno di colpo scoppiò in una sonora risata e disse" T sa!..A no nemanch sparat ..'l sciop i ma fat crist! "(Sai, non ho neppure sparato, il fucile ha fatto cilecca), ma stisera a magnan garoved e polenta!(ma stasera mangiamo alzavola e polenta)!
Volpi Mario
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Carissimo signor Volpi Mario,
La ringraziamo per averci scritto e la informiamo di aver pubblicato, con il suo consenso, il racconto"A
caccia con il nonno" che ci è veramente piaciuto perché ottimamente scritto e perchè racconta di quando
la caccia era una necessità e non uno sport come è ora. Ci è piaciuta molto anche la descrizione della
preparazione delle cartucce con metodi che oggi, chi non li ha visti a suo tempo fa fatica anche ad
immaginare.