I nuovi barbari
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
I drastici "tagli" apportati dal Governo in molti settori della vita sociale del Paese, hanno prodotto un danno a mio avviso irreparabile, alla qualità della vita di tutti noi cittadini, a fronte di un risparmio irrisorio, ben inferiore alle eventuale spese necessarie per ripristinare le infrastrutture danneggiate o distrutte dai "nuovi barbari." Un po come recitava un antico adagio, dove una massaia bruciava le lenzuola per vendere la cenere per fare il bucato.
I nuovi barbari
Negli anni sessanta, anche se in Italia era iniziato il boom economico, vi era l’abitudine fra gli studenti delle scuole superiori, di andare a lavorare nel periodo delle vacanze estive. E’ doveroso premettere, che al tempo, al contrario di oggi, trovare un’occupazione era molto semplice, specialmente per gli studenti, che andavano a fare lavori, solo stagionali, nei settori turistici. Così si faceva il cameriere, il pizzaiolo, il garzone del fornaio, incaricato di portare il pane negli esercizi commerciali, per finire con il bagnino, forse uno dei lavori stagionali più ambiti, perché ammantato da un alone di “facilità nel cuccaggio” di giovani donne nostrane o straniere, ma che in realtà riservava tre mesi di duro lavoro sulle spiagge. Io trovai lavoro all’ufficio spedizioni della Stazione Ferroviaria di Avenza. Il servizio era svolto da una Società privata che aveva l’appalto con le Ferrovie dello Stato, e si svolgeva in un grosso magazzino all’interno della Stazione stessa. Il servizio era svolto su tre turni, e a un ferroviere, che faceva le funzioni di supervisore, si affiancava una, o due, persone dipendenti della nostra Società, secondo l’intensità del lavoro. E al tempo il lavoro non mancava di certo! Il trasporto di merci si svolgeva quasi esclusivamente su rotaia, tanto che le Ferrovie dello Stato avevano istituito dei treni merci “speciali” chiamati dagli addetti ai lavori “Celeroni” perché, proprio come gli Accelerati passeggeri, fermavano a ogni stazione per caricare, e scaricare merci. Al tempo la Stazione di Avenza era molto attiva, possedeva tre binari di linea, più altri quattro per le manovre, e le formazioni di treni merci, tra cui il famosissimo “treno bianco” composto di vagoni merci caricati esclusivamente di marmo estratto delle nostre Apuane. Per le manovre era ancora in uso una locomotiva a vapore, la cui accudienza notturna, aspettava alla nostra Società, così io, appena diciottenne, fui mandato al Deposito Locomotori della Spezia, per fare un corso di tre giorni, e sostenere l’esame che mi avrebbe insegnato come custodire al meglio nelle ore notturne la vecchia vaporiera. Questo corso, e il rispettivo incarico, farà certamente sorridere qualcuno, ma vi posso assicurare che era meno facile di quanto si immagini, e ora cercherò di spigarne i motivi. Com’è intuibile, la locomotiva funzionava a carbone, custodito in un tender dietro la cabina di guida, questa faceva servizio alla manovra di carri merci, dalle sei del mattino, alle ventidue della sera, dopo di che, passava in nostra custodia. Così la sera, il fuoco era ancora ben vivo nella caldaia, che tendeva a far bollire l’acqua, questa ovviamente, produceva tanto vapore che sfiatava dalle valvole di sfogo, provocando un fastidioso rumore, che disturbava il riposo del Capostazione Titolare, che abitava con la famiglia, sopra la Stazione, che non perdeva occasione per rimproverarci, così noi cercavamo d’immettere continuamente acqua per evitare che questo accadesse. Nel cuore della notte però, il fuoco diminuiva, di conseguenza la temperatura dell’acqua, calava drasticamente, rischiando che il mattino, la locomotiva non fosse pronta a partire, quindi bisognava muoversi nel “medio limite” come recita la poesia di Icaro, cosa non sempre facile.
Nonostante questo, a me personalmente il turno notturno piaceva molto, perché, essendo meno frenetico di quelli diurni, mi permetteva di parlare con le persone, e di soddisfare la mia voglia d’imparare, al tempo insaziabile. Erano molte le persone che lavoravano di notte, e ognuna aveva qualcosa da raccontarmi, frutto di anni di esperienza, passati sui binari a contatto di gente di tutti i tipi. Anche nelle ore notturne, la Stazione di Avenza era molto viva, con i manovratori intenti a formare treni, o a “prendere la coda, ” come si diceva in gergo, a quelli in transito. Quest’operazione, era considerata molto importante, e consisteva di assistere al loro passaggio con mano la lanterna di ordinanza accesa, per farsi vedere dal macchinista, e controllare che nessuna ruota del convoglio fosse bloccata, e che la lampada a intermittenza rossa di coda funzionasse correttamente. Dopo la mezzanotte, durante un rallentamento del passaggio dei convogli, tutto il personale in servizio, dai manovratori, agli addetti alla biglietteria, compresi i poliziotti della Polfer, e noi delle spedizioni, ci si ritrovava al buffet della Stazione, che restava aperto tutta la notte, per prenderci un caffè, a prezzo speciale, pagato a turno da uno di noi, e fare due chiacchiere prima di riprendere il lavoro. Era piacevole anche l’arrivo del cosiddetto”treno delle bambole.” Questo era un treno locale, che faceva la tratta Livorno Genova. Arrivava alle tre del mattino, e riportava a casa dopo una notte di “lavoro, ” le lucciole, a quei tempi, tutte italiane, che lavoravano in estate sul nostro litorale. Nelle serate di magra, o piovose, le “signorine, ” spesso ultra quarantenni, venivano in Stazione molto prima, e dopo essersi messe “in borghese” in una toilette, si fermavano a parlare con noi, spesso dei loro problemi, alcuni molto seri, ma anche di aneddoti divertenti, che gli erano capitati durante il loro lavoro. Essendo molto giovane, mi presero subito in simpatia, e in poco tempo fui considerato un pò, il loro figlioccio, così, qualcuna ridendo, mi offrì i propri “servizi” a prezzi scontatissimi, mentre altre, arrivarono a invitarmi a pranzo nella loro casa genovese. Ricordo ancora con commozione, una di queste, che una sera, per lei particolare, mi confidò, con le lacrime agli occhi, che le ricordavo moltissimo il figlio, morto di malattia da poco più di un anno, proprio in quel giorno, alla mia stessa età. Oggi quei tempi sono lontani, non solo per quanto riguarda la mia età anagrafica, ma soprattutto per come i cosiddetti “servizi ai cittadini” sono gestiti dalle Istituzioni, in nome, e per conto, di quella terribile malattia chiamata risparmio. La Stazione attuale, è la brutta copia di quella di un tempo, spopolata di dipendenti, senza servizi essenziali, sporca, e fatiscente, dove, specialmente nelle ore notturne, è terra di nessuno, in mano a dei veri e propri “nuovi barbari” che la imbrattano, e la vandalizzano, sicuri di restare impuniti, in barba alle telecamere spesso fuori servizio. Il buffet chiude al tramonto, insieme alle biglietterie, perfino l’ufficio spedizioni non esiste più, così come sono stati demoliti il terzo binario, e quelli destinati alla manovra. Proprio per paura, oggi sono pochissimi i viaggiatori che viaggiano la notte, così come rari sono coloro chi acquistano il biglietto, il personale viaggiante non li affronta perché teme per la propria incolumità fisica, la Polizia Ferroviaria, un tempo presente in ogni Stazione, oggi è assente, perché i continui “tagli” l’hanno ridotta al lumicino. E’ forse questo il risparmio che si va disperatamente cercando? Gli antichi Romani impiegavano le loro migliori legioni contro i popoli barbari, noi invece gli concediamo gratuitamente l’uso, e la distruzione di Istituzioni secolari. E qualcuno si ostina a chiamarci “civiltà occidentale!”
MarioVolpi
Racconti di questa rubrica
Lascia un commento
Nessun commento