Una luce sull’oceano
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Il progresso sta lentamente divorando il nostro modo di vivere vecchio di secoli. Il popolo italiano è un popolo come si dice di santi, poeti, e navigatori, quindi di sapienza marinaresca millenaria. Ora questa sapienza viene invalidata dalla modernità. Ma sarà davvero così?
E’ probabile, che già il primo uomo preistorico, che a cavallo di un tronco caduto si è avventurato in mare, abbia sentito la necessità, in quell’infinito mondo azzurro tutto uguale, di avere la certezza di ritrovare la costa, tramite il bagliore di un falò. Forse nacque così il primo faro nella millenaria storia dell’uomo. I fari si sono sviluppati di pari passo con l’evolversi della tecnica marinaresca delle popolazioni che si affacciavano sul Mediterraneo, e che dai traffici commerciali su di esso, traevano il loro sostentamento. Non a caso, due di essi facevano parte delle sette meraviglie del mondo antico. Il più imponente, a forma di torre a base quadra, fu quello sorto di fronte all’antica Alessandria d’Egitto, sull’isola di Pharos (da qui l’origine del nome). Si pensa che la sua costruzione risalga al 280 d.C. Alto più di cento metri, rimase in funzione per secoli. Ma il capolavoro in assoluto, anche se non abbiamo la certezza delle sue fattezze, fu quello chiamato il Colosso di Rodi. Era una gigantesca statua del dio del sole Elio, con le gambe divaricate che poggiavano sulle due estremità dei moli del porto di Rodi. Le navi in entrata, e in uscita, passavano sotto di esse, mentre su una delle gigantesche braccia sollevata verso il cielo, ardeva un braciere. Questa autentica meraviglia però, durò meno di un secolo, a causa di un violento terremoto che la fece crollare. I fari, dunque, nacquero e si svilupparono per assolvere due necessità fondamentali per i naviganti; ritrovare con certezza la rotta verso casa, o per segnalare un pericolo, come scogliere sommerse, o banchi di sabbia. La difesa della vita dei naviganti nel mondo antico, soprattutto con l’affermarsi del Cristianesimo, era sentita come una priorità imprescindibile.
Esempio lampante fu quello che, tra realtà e leggenda, si racconta sia avvenuto sulla vicina Isola del Tino, nel Golfo di La Spezia. Si narra che un monaco eremita, Venerio, abitasse l’isola, e che ogni sera accendesse un falò per segnalare ai naviganti la posizione della costa. Un giorno, intorno all’anno 630, fu trovato morto. Sulla sua tomba i monaci Olivetani, costruirono un monastero, e continuarono a segnale di notte la presenza dell’isola ai naviganti. Così Venerio, dopo essere asceso agli onori degli altari, fu venerato come protettore dei Faristi. L’aumento del traffico marittimo commerciale lapideo, verso le nostre coste, convinse le Autorità della necessità che esse fossero ben segnalate, così, nel 1839, per volere del re d’Italia Carlo Alberto, fu costruito sull’Isola del Tino, utilizzando il basamento preesistente, un moderno faro, che, con vari rimaneggiamenti è tutt’oggi in funzione. L’esempio di utilizzo di fari per segnalare un pericolo, è sicuramente quello sorto sulle Secche della Meloria, in mare aperto, a quasi quattro miglia davanti a Livorno. Costruito nel XII secolo, in pieno Medioevo, quest’opera ha dell’incredibile, perché, edificare una torre sull’acqua che possa resistere alla furia delle onde, con i mezzi del tempo, è da considerarsi un’opera che ha del miracoloso. Distrutto, dagli uomini, e dalla Natura varie volte, fu sempre ricostruito. Oggi il rudere esiste ancora, mentre l’antica lanterna è stata sostituita a poca distanza, da un moderno faro automatico. Anche i combustibili sono cambiati nel corso dei secoli, perché il fumo sporcava i vetri posti a protezione della fiamma, rendendo, di fatto, poco visibile la luce. Nel corso dei secoli, furono messi a punto nuovi sistemi per la combustione, che eliminavano, o convogliavano il fumo all’esterno, ovviando a questo inconveniente. Si è così passati, dalla legna, al carbone, dall’olio d’oliva, a quello di balena, per arrivare al petrolio, per finire poi in tempi moderni con l’energia elettrica. I fari erano talmente importanti che ogni nave che entrava in un porto, era tenuta a pagare una tassa per il suo mantenimento, compreso vitto, e mercede per il farista. A metà del settecento, con l’inizio dei viaggi commerciali transoceanici, si sentì il bisogno di segnalare con fari, pericoli anche in luoghi dove, o forti correnti, o profondità elevate, impedivano la costruzione di un faro fisso, nacquero così le “navi-faro.” Questi battelli, un tempo di legno, poi in epoca moderna in metallo, avevano lo scafo pitturato di un rosso vivo, erano ancorati saldamente nel luogo stabilito, con un grosso fanale, posto sulla cima dell’albero di maestra, con equipaggio ridotto al minimo, svolgevano il servizio di faro. L’ultimo di questi battelli, ormai sostituiti da boe automatiche, finì il suo servizio nel 1968. La svolta epocale nell’efficienza del faro, si ebbe attorno al 1800, con l’invenzione straordinaria del fisico Jean Fresnel. Studiando la rifrazione della luce, mise a punto un tipo di lente circolare e rotante, che amplificava e concentrava la luce della lanterna, rendendo la luce visibile a una distanza un tempo inimmaginabile. Alla fine del secondo conflitto mondiale, si cercò di sfruttare i trasporti marittimi, per ovviare alla distruzione delle strade terrestri, così molti piccoli approdi ricevettero il loro faro. Anche il Porto di Marina di Carrara ne fu dotato, in tempi relativamente recenti. Avevo circa otto anni quando i miei genitori mi portarono a vedere il faro accendersi per la prima volta, era il 1956, e all’interno dello stesso viveva il custode. L’Italia con oltre 8000 Km di coste, alcune pericolosamente frastagliate e protette da irte scogliere, era ricchissima di fari. Se ne contavano più di 160. Di questi purtroppo alcuni sono stati venduti a privati, per trasformarli in strutture alberghiere, altri abbandonati completamente, stanno andando in rovina, mentre per quelli ancora attivi, si è fatto ricorso a sistemi automatici. Quelli più isolati poi, sono stati dotati di sistemi fotovoltaici solari, con batterie ricaricabili, che non necessitano più del mitico “guardiano del faro.” Questo mestiere, un tempo era riservato ai vecchi marinai, cui una vita in mare aveva negato il conforto di una famiglia, e quindi privi di legami affettivi, cosa che li aiutava molto a sopportare la solitudine. Oggi, almeno in Italia, questo mestiere, che dipende dalla Marina Militare, è quasi scomparso, mentre resiste in altri parti del mondo come in Islanda, dove esiste il faro, con relativo guardiano, più isolato al mondo. Costruito nel 1939, si trova su uno scoglio a picco in pieno oceano Atlantico. Si chiama Thridarangar, ed è raggiungibile solo con l’elicottero. In epoca moderna si è pensato di codificare la luce di ogni faro con un sistema simile all’alfabeto Morse, chiamata “fase ” dove l’intermittenza, e la durata del lampo di luce, corrisponde al “nome” del faro stesso, e di conseguenz, si viene a conoscere la latitudine, e la longitudine di dove ci si trova. Con l’avvento del moderno GPS, si pensa che i fari siano ormai inutili, retaggio di un passato ormai obsoleto. Io non sono d’accordo. Oggi le grandi navi hanno a bordo tanta di quella tecnologia, che possono sicuramente fare a meno del faro. Ma i pescatori professionisti, o il piccolo cabotaggio, non possono affidare completamente la loro vita a una diavoleria elettronica, che può non funzionare per una cosa banale come una batteria scarica. La rassicurante luce di un faro, invece, anche se considerata “bassa tecnologia,” funzionerà sempre. Alcune di queste silenziose sentinelle luminose, sono famose in tutto il mondo, come la Lanterna genovese, altre più modeste sono quasi misconosciute. Famosi o anonimi, imponenti o modesti, questi silenziosi guardiani di pietra, in secoli di attività nelle notti più buie, e spesso tempestose, hanno salvato la vita, o rassicurato, migliaia di naviganti, che ancora oggi, nonostante la tecnologia più sofisticata, confidano ancora in quella che chiamano, “una luce sull’oceano!”
Mario Volpi
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