Quando le strade erano “bianche”
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Oggi le cosiddette "strade bianche," ossia
non asfaltate, sono una rarità, e spesso come quelle sulle colline toscane,
protette come patrimonio storico, ma un tempo erano la norma, e posso
assicurare che non erano piacevoli da percorrere.
Appena
terminata la seconda guerra mondiale, a Carrara, erano pochissime le strade
asfaltate. Lo era il magnifico viale XX Settembre, ma il suo manto stradale,
essendo stato fatto attorno al 1935, cominciava a mostrare, con le prime buche,
la necessità di un rifacimento, cosa alquanto complicata per via dell’esistenza
al centro della careggiata, delle rotaie del tram. Anche la via Aurelia, era
asfaltata, con il manto stradale però pesantemente danneggiato. Nel centro
cittadino le vie principali avevano il “ piastronat,” una pavimentazione fatta
con piastroni rozzamente squadrati di una pietra grigia che in vernacolo
chiamavano “macign” di cui un tratto, perfettamente restaurato, esiste ancora
sul ponte sul Carrione a San Martino. Al tempo le strade Comunali, meno
importanti o periferiche, erano ricoperte da uno strato di “ghiaino,” ricavato
dal “culatiz” un tipo di pietra estratta e macinata a tale scopo. Una delle
cave principali da cui si estraeva questo materiale, era situata a Linara, che
rimase in piena attività estrattiva fino a ridosso degli anni sessanta. Questo
materiale aveva la capacità di drenare abbastanza bene l’acqua piovana, anche
perché quasi ogni strada dell’epoca, era fiancheggiata da un “b’tal,” (fosso
d’irrigazione,) che impediva di fatto ogni tipo di allagamento. Meno bene però
si comportava in estate. Quando il calore del sole cominciava a far seccare il
manto stradale, a ogni passaggio di un carretto, o di una delle rare automobili,
si alzava una vera e propria cortina fumogena di polvere, talmente sottile e
impalpabile, che le sventurate case che costeggiavano le strade, ne erano
invase anche a finestre chiuse. Stessa sorte subivano gli orti, con le verdure
coperte da un sottile e appiccicoso velo di polvere, che facendo da schermo
alla luce del sole, le faceva appassire, prima di farle completamente seccare.
Le strade più battute, poi, mostravano grosse lacune in inverno. A causa dei
due profondi solchi che i carri lasciavano al centro della strada, che a poco,
a poco, si riempivano di acqua piovana, e che ben presto la trasformavano in
una specie di fangosa palude, piena di una fanghiglia liquida che schizzava e
lordava ogni cosa. Fu durante il primo vero sviluppo economico dei primi anni
sessanta che lo Stato Italiano, e molti Comuni, cominciarono a pensare di
modernizzare il sistema viario, progettando nuove strade, tra cui le prime
Autostrade, e ristrutturando quelle già esistenti con il nuovo sistema di
asfaltatura. Il Comune di Carrara, si dotò di un impianto per la preparazione
del bitume in località Anderlino, e di una squadra di operai per l’asfaltatura
delle strade. Si cominciò con una delle strade più importanti per Carrara; la
via Carriona, al tempo ancora “strada bianca.” Questa scelta fu fatta per una
ragione specifica ben precisa, che avrebbe rivoluzionato il trasporto lapideo
in città. Attorno alla metà degli anni sessanta, la Ferrovia Marmifera decise
di cessare il trasporto del marmo su rotaia per passare alla gomma. Al tempo i
pochi autocarri che si recavano alle cave erano tutti residuati bellici
americani come gli enormi Wait, o il più leggero Chevrolet tre assi, usato solo
per il trasporto dei “sassi” per i granulati. La Società Ferrovia Marmifera,
decise di dotarsi di quello che al tempo era considerato il meglio della
tecnologia italiana del trasporto su gomma, così acquistò un gran numero di
autocarri pesanti OM “Titano,” con il cassone attrezzato con argano e travi di
faggio per il carico dei blocchi. Il passaggio ripetuto di questi “mostri,” con
carichi di trenta tonnellate, sollecitava pesantemente, la via Carriona, formando
pozzanghere vaste come laghi in inverno, e provocando nuvole di polvere in
estate, così fitte da rendere l’aria irrespirabile. Il manto stradale fu
dapprima coperto da uno spesso strato di pietrisco grossolano, e poi, a mano, a
mano, con strati di pietrisco sempre più sottili, compattati da una macchina
che a noi bambini pareva quasi da fantascienza; “la schiacciasassi.” Questa gigantesca
macchina era composta di un enorme cilindro sterzante anteriore, e di due
grosse ruote cilindriche posteriori. I tre cilindri metallici erano vuoti, e
gli operai li riempivano d’acqua per aumentarne il peso. Noi bambini eravamo
affascinati da questa enorme macchina, e facendo dannare gli operai che ci mandavano
via per paura che ci facessimo male, andavamo di nascosto a vederla lavorare.
Il manto così compattato era spruzzato di catrame bollente. Questo era
possibile grazie a una specie di carrello su cui era posto orizzontalmente un
fusto di catrame da duecento litri, collegato a una pompa a motore. Sotto il
bidone un fornello alimentato a nafta, teneva in ebollizione il bitume che
poteva così essere spruzzato. Dopo tale operazione arrivava un camion con il
cassone pieno di ghia finissima impastata con il bitume. Questo arrivava tra nuvole
di vapore, perché era stata caricata ancora bollente all’impianto di Anderlino,
e dopo che il camion aveva usato la ribalta per scaricarla, gli operai si
affrettavano a stenderla con dei rastelli di legno, prima che cominciasse a
solidificare. Quando era stesa, il rullo compressore la compattava rendendo il
manto stradale liscio e levigato. In poco meno di quindici anni, la quasi
totalità delle strade del Comune di Carrara, furono asfaltate, ponendo
finalmente fine alle “tempeste di polveri” estive, e ai bagni di fango
invernali. In questo vero e proprio “furore di modernità,” però, si fecero cose
che oggi sono ricordate come veri e propri disastri ambientali, come la tombatura
dell’intera rete dei “b’tali,” giudicati non più necessari. Tale operazione in
alcuni casi permise l’allargamento della strada, ma ancora oggi, dopo più di
settanta anni, spesso durante i violenti temporali invernali, provoca
devastanti inondazioni, dovute allo “scoppio” dei fossi, impossibili da
manutenzionare perché coperti, e ormai intasati da sassi e terra. Oggi tutti i
Comuni, si affidano a Ditte specializzate per lavori di asfaltatura e
rifacimenti stradali, e non hanno più dipendenti impiegati a tale scopo. Del
resto, le moderne tecniche di lavorazioni stradali, implicano l’impiego di
macchine molto sofisticate, come la Finitrice, o la Fresatrice per asfalto, che
svolgono una gran mole di lavoro, ma che sono molto costose, e che per essere
economicamente convenienti devono lavorare tutti i giorni. Ormai, per fortuna,
le strade bianche sono solo un lontano ricordo, con le loro pozzanghere, e le
nuvole di polvere estive, ma che in me, generano un sottile velo di nostalgia,
ripensando all’età di quel bambino, che guardava incantato il lavoro della
schiacciasassi.
Mario Volpi 11.11.21
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