Un patrimonio sprecato
Una Volta Invece
Spetta/le Redazione
Oggi in questo mondo che cammina sempre con l'acceleratore a tavoletta, e l'occhio al portafoglio, si rischia di sciupare, e dimenticare per sempre, risorse che i nostri padri hanno utilizzato per millenni, che che ci hanno permesso di sopravvivere fino ad oggi, ma chissà se questo sistema lo permetterà alle nuove generazioni!
Un patrimonio...... sprecato
Alcuni giorni fa, ho assistito a quello che non esito a chiamare un vero e proprio scempio ecologico, oltre che a un inaccettabile speco di risorse. In una strada parallela alla scarpata della ferrovia, un grosso trattore, munito di un braccio meccanico snodabile, stava triturando un intero canneto. A parte il discutibile sistema, adottato ormai da decenni, di triturare e lasciare sul posto i residui vegetali, che poi invariabilmente ci ritroviamo mezzo decomposti sulle nostre spiagge, ho pensato che quello che un tempo sarebbe stato un tesoro, oggi è solo fonte di fastidio, e spese per le varie Amministrazioni Pubbliche. Arundo Donax, è questo il nome latino, quasi impronunciabile, della canna comune. Un tempo i canneti, erano considerati una ricchezza, e per la loro rustica adattabilità, erano piantati lungo gli argini dei fossati, nelle scarpate, o in quelle porzioni di terreno che non era possibile utilizzare per altre culture. Questo non lo si faceva certamente per ragioni ecologiche, filosofia al tempo pressoché sconosciuta, ma più semplicemente per una ragione pratica, e sopratutto economica. Tipica del bacino mediterraneo, l’uso di questa pianta eccezionale accompagna da millenni l’evoluzione dell’uomo, fornendogli calore, sostegni, contenitori, utensili, e perfino arte e svago. L’uso principale in agricoltura era certamente quello di sostegno. Fin dal tempo dei Romani, le viti erano fatte arrampicare sugli alberi, aiutate però da veri e proprio tralicci di canne, tenuti insieme da legature di rami di salice. Nei tempi moderni, sia i pergolati, sia i filari erano, e sono ancora oggi, in gran parte fatti di canne. Anche nell’orticultura la canna era ampiamente usata come sostegno, in tutte quelle coltivazioni di piante rampicanti, come fagioli, o piselli, o che avevano bisogno di un tutore per migliorarne e incrementare la loro produzione, come i pomodori. La canna era indispensabile anche per costruire “le gratede” rudimentali graticole che servivano per far seccare al sole, o nei “cannicci”, (metati) la verdura prima di essere messe sott’olio, o sott’aceto, o anche la frutta, come i fichi, un tempo considerati, a ragione, una preziosa riserva alimentare per l’inverno. Perciò era fortunata quella fattoria che possedeva un canneto, da poter sfruttare per il proprio fabbisogno, senza dover spendere denari nell’acquistare questa indispensabile pianta da chi la possedeva. Le canne erano vendute a fasci, e il costo variava non solo secondo la loro altezza, ma soprattutto per la loro qualità. Quelle nate in primavera erano dette maggenghe, ed erano considerate le migliori, mentre quelle nate dopo, erano chiamate agostane, ed erano di dimensioni e qualità inferiore. I contadini di un tempo dicevano che la canna era come il maiale, cioè che di lei non si buttava via nulla. La pannocchia sommitale, insieme alla scorza, erano utilizzate come pacciamatura invernale per altre culture, mentre le spuntature, e la canna, giunta alla fine del suo ciclo vitale, erano un ottimo materiale per accendere il fuoco in forni e camini. Anche in edilizia la canna era ampiamente usata, per fare le incannicciate. Queste erano costituite da pannelli di canne raccolte a luna buona, e opportunamente tagliate in senso longitudinale in strisce sottili, e poi intrecciate, erano applicati mediante chiodi speciali a testa grossa, alle travi a vista dei sottotetti. Sopra l’incannicciata così ottenuta, era steso un sottile strato di malta, dopo di che era imbiancata, o addirittura, come spesso avveniva nelle case patrizie, affrescata. Molti dei contenitori usati nel lavoro dei campi erano confezionati, almeno in parte, con la canna, come alcuni tipi di ceste, e cestini chiamati in dialetto”capagni,” e non ultimo per importanza anche i cosiddetti paradita, ossia dei cappucci di canna usati dai contadini per proteggersi le dita durante la mietitura. Anche i pescatori della nostra costa ne facevano in tempi antichi largo uso, nella fabbricazione di nasse, leggere e resistenti, ma sopratutto di stuoie che montavano a bordo ai gozzi per ripararsi dai raggi cocenti del sole estivo. Come abbiamo accennato in precedenza la canna ha accompagnato anche l’uomo nella sua evoluzione artistica, fornendogli strumenti musicali, come flauti e pifferi, o parti di questi. Ancora oggi, infatti, molti musicisti preferiscono usare l’ancia di canna per i loro strumenti, al posto della fredda, e anonima plastica. Per la sua capacità di moltiplicarsi semplicemente attraverso i rizomi, nei nostri paesi a monte era ampliamente usata nel sorreggere e impedire l’erosione degli argini dei veloci torrenti di montagna. Per questa sua capacità le Ferrovie dello Stato la usarono per decenni, piantandola lungo le scarpate, per poi nei mesi invernali, appaltarne il loro taglio e vendita a Ditte esterne, che eseguivano il lavoro a regola d’arte, sotto l’occhio attento degli ormai scomparsi Cantonieri. Negli anni novanta, proprio per evitare l’erosione dei suoli, la canna comune è stata importata in America e perfino in Australia, dove però, un suo utilizzo poco attento, ne ha causato il propagarsi in modo incontrollato, tanto che ora laggiù, è annoverata tra le cento specie botaniche più infestanti del mondo. Intanto però, proprio negli Stati Uniti, ha da poco preso il via una ricerca finalizzata a utilizzare la canna nelle cosiddette “culture energetiche” che hanno lo scopo di testare la possibilità di usare la canna nella produzione di biogas, biodisel, o come combustibile per centrali termiche. Questi “cervelloni” forse non sanno che già nel lontano 1934, nella ancora “arretrata” Italia, precisamente nel basso Friuli, era attiva una grossa piantagione di canne che servivano per la fabbricazione della cellulosa, fabbrica che ha continuato la produzione fino ai primi anni sessanta.
Quindi non serve studiare cose che già si sanno fattibilissime, almeno che, questi studi, abbiano il solo scopo di scoprire una nuova fonte...finanziaria.
Carrara 05 settemnbre 2014
Volpi Mario
Racconti di questa rubrica