Souvenir
Una Volta Invece
Purtroppo anche questa volta devo segnalare una grossa pecca nell'immagina che si porta all'estero di Carrara. Come tutte le città più famose, anche qui il commercio dei souvenir dovrebbe portare un benessere economico agli addetti ai lavori, ma la realtà è ben diversa. Ogni commerciante pensa solo al suo orticello, perdendo di vista il benessere della pianura, che diventa sempre più arida e desertica, senza che nessun "Capo giardiniere" faccia nulla.
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Souvenir...di Taiwan
Alcuni giorni fa, alcuni conoscenti in visita alla nostra città, mi chiesero se potessi accompagnarli alle cave. Io accettai più che volentieri, e li portai a visitare tutti i versanti, non tralasciando di fargli notare l’unicità dei famosi Ponti di Vara, la grandiosa bellezza della cava in galleria, per finire con gli arditi tunnel scavati nella roccia viva, per permettere al treno, negli anni sessanta, di arrivare da Colonnata a Fantiscritti passando sotto la montagna. Cercai poi di illustrargli gli antichi metodi di estrazione, che per secoli hanno permesso la sopravvivenza alle genti carrarine, e ricordai loro l’altissimo tributo di sangue che questa popolazione ha dovuto pagare. Dopo aver scattato milioni di foto, i miei conoscenti erano al settimo cielo, soprafatti da questa maestosa e bianca bellezza, e mi espressero il desiderio di potere acquistare un ricordo di questa splendida gita, da portare ai loro amici. Così dopo poche decine di metri, vedemmo una specie di capanno degli attrezzi, in lamiera ondulata zincata, con un cartello di compensato, su cui, una mano malferma, aveva scritto “souvenir” con una vernice rossa. Dentro sembrava un bazar orientale. La merce, era esposta su tavoli di fortuna, ricavati da assi poste alla meglio su cavalletti da imbianchino, alle pareti, delle pericolanti tavole di legno, fungevano da mensole, sorrette da fili di ferro arrugginiti, legati alle capriate del soffitto. La polvere, forse di decenni, formava un’impalpabile velo, simile a borotalco. Una vecchia, dietro a una specie di scrivania sgangherata, non ci degnò di uno sguardo, e continuò imperterrita a leggere un rotocalco.
I miei ospiti, cominciarono a guardare, commentando, quell’assurdo assortimento di oggetti, che di Carrara, non avevano proprio nulla. Uova di pietra multicolori, statuine in polvere di marmo, scacchiere in simil-marmo colorato, taglieri, mattarelli, e spianatoie made in Taiwan dai colori più assurdi, la facevano da padrone, vi erano esposte perfino riproduzioni di templi romani in Travertino, assieme a due belle torri di Pisa. Con una scusa portai fuori i miei conoscenti, e gli dissi che lì, di Carrara, vi era solo il suolo su cui poggiava quella baracca. Così ci recammo in un altro posto, ma la sostanza non cambiava, era dappertutto la stessa storia!
Pensai che purtroppo ai carrararini il recente passato, non ha insegnato proprio nulla. Agli inizi degli anni ottanta, a Carrara esisteva una fiorente produzione di oggetti per souvenir, ma non in marmo bianco com’era auspicabile, ma in costoso onice. Portasigarette, accendini, colonnine, perfino portachiavi, erano fatti con questo materiale, che era acquistato all’estero a peso d’oro, così quando i Paesi emergenti acquisirono la tecnologia necessaria, li fecero in proprio, dimezzando i costi, causando la chiusura della totalità degli studi carrarini. Oggi in città non esiste un solo studio che si dedichi a quest’attività, che è invece presente in maniera massiccia a Pietrasanta, che e diventata a tutti gli effetti, la vera capitale del marmo lavorato. Come questo sia possibile, è per me un mistero. Resta l’amara realtà, che chi viene a Carrara, e legge i pretenziosi cartelli “ Carrara, centro mondiale della produzione, LAVORAZIONE e commercio del marmo” resta deluso, perché di lavorazione qui, non ve né traccia! Anche questi pseudo negozi di souvenir, sono da terzo mondo, spesso ricavati da baracche prefabbricate in lamiera, con un’accozzaglia di merce d’incerta provenienza, dove si lascia credere allo sprovveduto turista, che tutto sia “Made in Carrara,” non portano certo nessun beneficio all’economia locale, anzi, si porta all’estero un’immagine distorta dei nostri prodotti. Forse sarebbe opportuna un’ordinanza Comunale che obbligasse i commercianti di souvenir a dichiarare la provenienza degli oggetti, accompagnando, quelli fatti a Carrara, da una sorta di certificato di tracciabilità della ditta che li ha fabbricati. Io sono stato da poco a Volterra, città che vive di turismo e sull’alabastro; ebbene qui i negozi di souvenir sembrano boutique, con la merce esposta sapientemente, come oggetti preziosi, su banchi ben illuminati, i commessi tutti giovani, sono multilingue, e aiutano il cliente nella scelta dell’oggetto, che viene accompagnato da un certificato di autenticità, e dal nome della ditta.
Continuando così invece, Carrara famosa nel mondo per il suo marmo, in pochi anni lo sarà soltanto come il maggior esportatore mondiale di Carbonato di Calcio, commercio, oltretutto in mano alle Multinazionali, che alla cittadinanza, ha fruttato solo una costosissima via dei marmi, e una cronica depressione economica.
Volpi Mario
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