Il figlio del padrone
Nulla è come appare
Spetta/Le Redazione
Un
tempo gli "scemi del villaggio" erano molto comuni, sperò però la loro
bassa condizione sociale era dettata più dal pregiudizio delle gente che
dalle loro effettive mancanze cognitive.
Oreste, per tutti Orestino, era nato con l’invidiabile posizione sociale di “ maschio Alfa,” anche se a sua insaputa. Oltretutto la superstizione, e la credulità popolare, gli avevano fatto un altro regalo, facendolo nascere con un “numero angelico.” Ma andiamo per ordine. La seconda guerra mondiale era appena finita, quando un “foresto” come in dialetto erano chiamati quelli venuti da “fuori,” acquistò per poche migliaia di lire la Cascina Amurri, con gli sconfinati terreni che comprendeva. Molti pensavano che il nuovo proprietario venuto dal Nord, volesse lottizzare i terreni per costruirvi dei palazzoni, come stava succedendo un po’ dappertutto in Italia, invece, il Sig. Marselli, perché questo era il suo nome, contattò le quattro famiglie che vivevano nelle case all’interno della proprietà, chiedendogli se avessero voluto lavorare per lui in cambio dell’affitto, e di una paga a giornata. In quei tempi duri, la proposta era più che allettante, così i capifamiglia con mogli e figli al seguito, ripresero a lavorare la terra completamente abbandonata durante il conflitto. La produzione agricola di grano, vino, ortaggi, e l’allevamento di pecore e mucche, riprese alla grande, tanto che dopo meno di due anni, fu necessario assumere gente in giornata. Proprio una di queste persone, una splendida ragazza bruna, divenne la moglie del Sig. Marselli. La nuova coppia abitava nella casa padronale all’interno della proprietà, e dopo meno di un anno nacque il loro primo figlio, che chiamarono Oreste. Purtroppo, complicazioni sopravvenute durante il parto, impediranno alla signora Bruna, di avere altre gravidanze, cosa che la gettò da prima nello sconforto, e successivamente in un attaccamento quasi morboso nei confronti del figlio. Il piccolo Oreste era nato il 6/6del1966, numero, che nella superstizione popolare aveva un significato mistico fortissimo, perché si credeva fosse addirittura dato dall’Angelo Custode. Superstizione a parte, il bambino cresceva bene, sano, forte, e soprattutto, come “fiol del padron,” (figlio del padrone) privilegio che gli permetteva di fare cose non permesse agli altri bambini che vivevano nella cascina. A sua difesa, però, va detto che lui non abusava di questo vantaggio gerarchico, giocando e facendo amicizia con tutti, con l’infantile ingenuità dei suoi sei anni. Era particolarmente attratto dalle caprette, e spesso andava all’ovile che si trovava un po’ discosto dalla grande aia. Il grosso gregge di pecore, e capre, era custodito da un personaggio che tutti consideravano lo “scemo del villaggio.” Si chiamava Vincenzo, ma per tutti era “Gnaron,” un vocabolo dall’etimologia incerta, ma che in dialetto significava stupido, ignorante, insomma un reietto della Società. Si diceva che fosse stato messo a fare il pastore come atto di carità, dal Sig. Marselli, dopo poco tempo che aveva acquistato la proprietà, e che non fosse neppure pagato. Trasandato, con i vestiti simili a stracci, ma comunque sempre puliti, Gnaron, era stato per diverso tempo la vittima predestinata dei pesanti scherzi dei bambini della cascina, che lo tormentavano al suo passaggio con lazzi, o spinte giocose. Ma da quando Lampo, un lupo Apuano, nero come la pece, lo seguiva passo, passo, gli scherzi dei ragazzi erano cessati di colpo. Oreste, non aveva mai partecipato a questi atti nei confronti di Vincenzo, anzi, aveva fatto con lui una sorta di fanciullesca amicizia, chiedendo spesso all’uomo se era possibile accarezzare questo o quel capretto, arrivando perfino a farsi insegnare i segreti della mungitura. Oggi era un giorno speciale. La Signora Bruna, aveva organizzato una grande festa sotto il pergolato nell’aia per festeggiare i dieci anni di Oreste. Questa si sarebbe svolta al tramonto, per dare il tempo alle persone di tornare dai campi, e di cambiarsi d’abito, e soprattutto di non essere costretti a subire il caldo del pomeriggio che già si faceva sentire. Aveva richiesto l’aiuto di alcune donne, per preparare per i bambini una vera e propria leccornia, la cioccolata con i biscotti fatti in casa. Per gli adulti invece, era stata effettuata una vera e propria carneficina nel pollaio e nella conigliera, e il menù prevedeva cappelletti in brodo, pollo lesso, e coniglio disossato ripieno. La Signora Piera, sua madre, aveva preparato per l’avvenimento ben cinque giganteschi buccellati, farciti con crema pasticcera fatta in casa, una vera e propria prelibatezza. Tutti gli abitanti della cascina erano stati invitati, e già da alcuni giorni, gli uomini aveva preparato con cavalletti e grosse tavole, due lunghissimi tavoli, con relative panche ai lati. L’elettricista del vicino paese, chiamato dal Sig. Marselli, era venuto a installare sei grosse lampade, prendendo la corrente elettrica dalla casa padronale, ormai mancava poco alla festa, e Oreste non stava più nella pelle dalla curiosità di scoprire cosa contenesse quel grosso e misterioso pacco in cucina. Ormai era notte fonda, e il Sig. Marselli davanti a tutti gli abitanti della cascina, fece un atto che quasi sembrava una magia, che scatenò un fragoroso applauso, accese la luce, e di colpo i lunghi tavoli imbanditi sotto al pergolato furono visibili. Tutti presero posto, ma il piccolo Oreste vide che mancava il suo amico Vincenzo. Sottovoce lo disse alla madre, che dopo un attimo d’imbarazzo, acconsentì al suo desiderio, mandando un ragazzo più grande a chiamarlo. Vicenzo arrivò, vestito dimessamente come al solito ora però, per dipiù impacciatissimo, e dopo un accenno di saluto, si accomodò in fondo a uno dei tavoli, poi la festa ebbe inizio. Fu davvero fantastica: il cibo era ottimo e abbondante, ed il vino nostrale scorreva a fiumi. Era quasi mezzanotte quando la Signora Bruna aiutata da alcune donne, portò in tavola i dolci. Uno di essi, era ricoperto di cioccolata e vi era scritto con la crema “Auguri Oreste.” Quando il bambino guidato dalla madre tagliò il dolce, le urla e gli applausi ruppero il silenzio della notte, ma poco dopo la festa si trasformò in tragedia. Il piccolo Oreste, eccitato da tutte quelle persone, volle fare il gradasso, e diede un gigantesco morso a un pezzo di dolce, che gli finì di traverso, soffocandolo. Mentre il bambino annaspava disperatamente in cerca d’aria, sua madre in preda alla disperazione urlava, mentre il padre rimase impietrito non sapendo cosa fare. Il colorito del bambino cominciava a diventare cianotico, quando Vincenzo balzò in piedi dicendo “fate largo, lasciatelo respirare.” Poi afferrò il bambino appoggiandogli la schiena contro il suo torace, incrociò le mani sullo sterno e diede due violenti strattoni. Il bambino, dapprima tossì, poi vomitò, espellendo il boccone che lo soffocava, ma era ancora semisvenuto. Vincenzo allora dopo averlo steso sul tavolo, gli praticò un massaggio cardiaco, e dopo appena due minuti, Orestino piangendo tornò alla vita. I presenti dopo un momento di silenzioso stupore, scoppiarono in un fragoroso applauso, e qualcuno prese Vincenzo sulle spalle portandolo in trionfo. Dopo alcuni giorni, e una visita all’ospedale che stabilì che il bambino si era salvato solo per il massaggio cardiaco, anche se adesso stava bene, i genitori chiamarono Vincenzo chiedendogli spiegazioni. Seppero così che Vincenzo Parisi, era un medico. Laureatosi all’Università di Pisa nel 1950, con il massimo dei voti e la lode, fu assunto da un grande ospedale del Nord come aiuto chirurgo. Era così bravo che dopo pochi mesi effettuava da solo importanti interventi. Un giorno vi era in programma un intervento alla moglie di un Magistrato, che aveva chiesto esplicitamente di essere operata da lui. Ma Vincenzo aveva la febbre, così fu eseguito dal Primario, ma qualcosa andò storto e la paziente morì. Nella inchiesta giudiziaria che ne seguì, fu facile per il vecchio dottore incolpare il novellino, anche se assente. Sospeso dal lavoro, senza mezzi di sostentamento, in preda alla disperazione, pensò di tornare verso casa. Quando il processo gli dette pienamente ragione scagionandolo da ogni accusa, lui non lo seppe neppure, abbruttito dalla miseria e dalla disperazione. Fu qui che accettò il lavoro di pastore. I genitori di Oreste usarono tutta la loro influenza perché il Dott. Vincenzo Parisi, tornasse alla professione, ma questa volta nel suo paese. Furono ascoltati, e il Dott. Parisi esercitò la sua professione di medico per molti anni, e morì serenamente, e amato da tutti, nel gennaio del 2017.
Mario Volpi 31.1.21
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