Era meglio il “nostro” Natale!
Spetta/le Redazione
Volutamente in ritardo, proprio per non essere taciato di volere rovinare una festività così importante come il Natale, vi invio questo articolo, che vuole essere solo una precisazione sull'origini di questa ricorrenza. Ricordo con struggente malinconia i Natali di 50 anni fa, di certo molto più poveri di cose materiali, ma assai più ricchi di spiritualità.
Volpi Mario
Era meglio il "nostro" Natale!
Ormai da diversi decenni si è consolidata l'usanza di accendere le luminarie Natalizie quasi un mese prima delle feste di Natale. Non disinteressatamente, per primi cominciano i centri Commerciali, a montare giganteschi alberi di Natale illuminati da migliaia di luci colorate, poi è la volta dei vari Comuni che pensano ad addobbare strade e piazze dei centri cittadini, seguiti subito dopo dalla gente comune, che negli ultimi tempi, sistema anche panciuti Babbi Natali a grandezza naturale nell'atto di arrampicarsi su per le canale, o mentre scavalcano finestre e balconi. Tutto bello, anzi bellissimo, soltanto che sono completamente estranei alla nostra tradizione.
Santa Claus, o Babbo Natale, assieme a l'albero, non a caso un abete, sono tipici della cultura del Nord Europa, e da qui esportati negli Stati Uniti, dove hanno subito alcune modifiche, come ad esempio la dimora di Babbo Natale, al Polo Nord per gli americani, in Lapponia per gli europei, o l'abito rosso e l'aspetto rubicondo voluto dagli anglosassoni al posto della austera figura di Vescovo come era in origine in Germania. In origine S. Nicola o Santa Claus, aveva un'austera veste di colore verde, così come si conviene ad un Vescovo, ma negli anni 50 la Coca Cola, lo usò per una sua pubblicità e pensò che fosse più coreografico vestirlo di rosso.
Fino qui non ci sarebbe nulla di male a seguire la tradizione popolare di altri paesi, se questa non minacciasse di sostituire, o di cancellare completamente quella autoctona millenaria.
La nostra tradizione Natalizia è il Presepe, gia il nome derivante dal Latino che significa greppia, mangiatoia, basterebbe a spiegare esaurientemente di cosa si tratta, questa usanza risale addirittura al tempo dei Romani ed era un rito pagano. Nei Romani era molto sentito il culto dei morti i Lari, ossia i componenti dello stesso nucleo famigliare che una volta passati a miglior vita venivano riprodotti in statuette di argilla o di cera, chiamate "Sigillum" e posizionati in piccole nicchie in un altare con il compito di proteggere la famiglia.
Ogni anno in occasione del Solstizio d'inverno (21 Dicembre) avveniva una festa per ricordarli chiamata Sigillaria, in cui i bambini avevano il compito di pulire e lucidare queste statuette, e posizionarle in un paesaggio di loro fantasia, il mattino dopo ricevevano in premio giochi e dolciumi "portati dai defunti."
Dopo il IV sec. I cristiani fecero loro questa tradizione mantenendone date e riti, cambiandone solo il significato religioso, vedendo la forte presa che questa pratica esercitava sulla popolazione, il Concilio di Trento la incentivò al massimo, tanto da arrivare intatta ai nostri giorni.
Certamente il Natale di un tempo era molto diverso da quello attuale, complice sopratutto la cronica povertà che attanagliava il Paese in quegli anni, a noi bambini veniva insegnato che doveva essere vissuto come un periodo in cui dovesse regnare la pace, per attendere degnamente la nascita del Re dei Re, che sarebbe avvenuta in un'umile grotta. Così si cercava di non litigare durante i giochi all'aperto, di non fare dispetti alle "femmine" e soprattutto, è questo era la cosa più difficile, di non andare a rubare i cachi negli orti dei vicini.
Vi era poi da fare una cosa molto importante, andare a "far la burazina"(boraccina, lichene) per il Presepe, che era presente sul coperchio della cassapanca di cucina praticamente in ogni casa. Si battevano palmo, a palmo le rive di fossi ombrosi, o le mura secolari di vecchi ruderi, per cercare quella più soffice e alta, poi si portava a casa e si metteva sopra una straccio inzuppato d'acqua tutta la notte per "farla ber"( farla bere) come dicevano i vecchi, in modo tale che rimanesse verde e viva per tutti i quindici giorni che durava il Presepe.
Poi dalla scatola riposta con cura l'anno prima si tiravano fuori la "stagnola"(carta d'alluminio) che serviva per fare il fiume, e che era ricavata dall'incarto dei dadi da brodo messi da parte a tal scopo per mesi, e un sacchettino di farina gialla di quella che aveva fatto "'l burd'lin"(acaro della farina) nel mese di agosto, quindi inutilizzabile per mangiare, ma perfetta per fare la strada che portava alla capanna.
Con i sacchi di carta vuoti color marroncino che contenevano la crusca o la farina, presi dalla "Rusina" la bottegaia, dopo averli vigorosamente spiegazzati per ore con le mani, si modellavano le rocce, che un poco di farina bianca trasformava in cime innevate, popolate da branchi di pecore fatte con un tappo di sughero, quattro fiammiferi, e un batuffolo di cotone idrofilo attaccato con la colla.
La grotta era ricavata quasi sempre da una veste da fiasco di quelle in vimini, tagliata a metà e foderata della stessa carta.
La stella la si faceva a scuola in cartone foderato dalla stagnola color oro o argento, secondo se si avesse a disposizione la carta dei dadi, o del burro.
Solo la Sacra Famiglia era fatta di gesso colorato, o terracotta, ed acquistata in negozio, tenuta con la massima attenzione durava per decenni, qualcuno dei più ricchi possedeva anche i Re Magi, al tempo solo appiedati.
La notte della vigilia di Natale si passava in casa dei vicini, giocando a tombola e, questo solo i "grandi", bevendo il Ponce al Mandarino, scaldato a bagnomaria fin quasi al bollore dentro una teglia posta sopra la piastra della stufa economica, poi mentre i giovani andavano alla Messa di mezzanotte, noi bambini e i vecchi si sorbivano il rosario recitato da mia nonna. Allo scoccare della mezzanotte, il mio compito era quello di posizionare il Bambinello nella culla di paglia, posta tra il bue e l'asinello, fatti con due tappi da damigiana.
Ma il ricordo che mi provoca ancora una struggente nostalgia, era l'attesa spasmodica della befana, pur sapendo benissimo che non sarebbe certamente stata generosa nei miei confronti, ma che tuttavia mi faceva contare i giorni che mancavano alla notte del 5 gennaio. Mettevo la calza, (ricordo ancora una volta che misi le calze di mia nonna lunghe fino alla coscia, convinto che vi sarebbe stato più roba) attaccata al camino, ma il mattino dopo invariabilmente ci trovavo dentro due mandarini, quattro noci, e qualche nocciola, oltre naturalmente alle immancabile castagne secche, dure come pietra.
Erano tempi difficili, non li rimpiango, ma indubbiamente erano molto più vicini a come dovrebbe essere vissuta tradizionalmente, la più importante festa della Cristianità.
Caro Volpi Mario,
Ha descritto in maniera davvero realistica come si preparava il presepe, indubbiamente la miseria aguzzava l’ingegno e l’ inventiva dei bambini di una volta che si divertivano con poco o niente.
Ricordando l’ antica frase : “ o ma qual’ è il dì che a s magn tant “!, possiamo renderci conto come le persone aspettassero il giorno di Natale per mangiare i cibi “prelibati” di un tempo.
Il menù natalizio consisteva in: coli (cavoli) neri, frittelle di baccalà, zuppa di lenticchie con un filo d’ olio, qualche carruba e castagne secche, chi invece aveva la fortuna di avere un “grinel”( pollaio ) poteva fare un Natale con i fiocchi; brodo con taglierini.
Niente consumismo, niente usa e getta, niente ipermercati, niente pasta fresca, niente business, insomma, NIENTE di NIENTE ma una GRANDE UMILTA’ e UMANITA’ valori perduti ,forse per sempre.
Cordialità
PS ci scusi se il dialetto non è quello giusto.
Staff Carraraonline.com
“Nella Pietra le sue Radici”
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Ho letto con piacere la lettera del sig. De fazio, mi sento tirato in causa, perché sono uno di quelli, che pur avendo raccolto ettari di burazina, ha piazzato a grandezza naturale, il babbo natale sul proprio balcone, ( vedi sezione Auguri del blog ). Ma per non venir meno alla tradizione autoctona, ho costruito anche un presepe meccanizzato, tutto comandato attraverso il computer, con software che genera albe, tramonti, pioggia, temporali. Ho sempre fatto queste cose, anche quando tutto era davvero meccanico, quando non c'èra niente di niente, quando bisognava aguzzare l'ingegno e l'inventiva, però devo ammettere che è molto più semplice adesso, lavorare con i motori passo-passo, integrati, led, e questa macchina che ci permette di comunicare in tempo reale.
L'altra sera, la vigilia di Natale, mentre i figlioli mangiavano il Kebab, assaporavo la zuppa ad occhi chiusi, nella ricerca di antichi sapori, ma inevitabilmente i sapori si mischiavano I tempi cambiano.
Capita spesso anche a me, di frugare nel magazzino della memoria, tra i materiali di archivio polverosi, ma mi accorgo, che per rendere unici, irripetibili i tempi passati devo sempre arricchire quei poveri materiali, che la nostalgia mi mette a disposizione con la fantasia, pur sapendo di mentire a me stesso. La nostalgia ci imbroglia, è una brutta bestia, forse da ragazzi non eravamo poi cosi felici, come la nostalgia ci fa credere ed è sempre lei, la nostalgia, che ci fa credere, che
il "nostro" Natale era meglio.
L.Gigli
30 gen 2010
La lettere del Sig. L. Gigli mi fa immensamente piacere, perchè nelle sue parola ho ritrovato pienamente il mio pensiero. E' vero, la nostalgia è canaglia, ci imbroglia, ma spesso è piacevole fare anche solo finta di "crederle"
Enzo De Fazio