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Sezione a cura di Mario Volpi
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Una nascita difficile

Genetiche Mutazioni

Era la notte di Natale del 1943, e a Marisa, cominciarono le doglie. Sfidando il coprifuoco imposto dalle Autorità, Giusè il marito, si recò a chiamare la levatrice, che abitava appena sotto la chiesa del paese di Gragnana. Non vi arrivò mai, un colpo di moschetto, partito dal buio di un vicolo pose fine alla sua vita terrena, senza neppure sapere il perché, probabilmente uno scambio di persona. La povera Marisa, disperata, restò soprapparto per quasi tre giorni, fino a quando, dopo indicibili sofferenze, nacque un maschietto. Non si poteva dire che il neonato fosse proprio carino, perché la sofferenza del parto, gli aveva allungato il cranio, e il colorito della pelle era tendente al bluastro, tanto che la levatrice disse che quel principio d’ipossia, potrebbe avergli danneggiato il cuore, ma almeno era vivo. La giovane madre, anche se distrutta dal dolore per l’inspiegabile perdita del marito, lentamente si rimise in forze, cercando di ridare un senso alla propria vita. Mise al figlio il nome del padre, Giuseppe, quasi che con questo gesto, volesse fare finta che la tragedia non fosse mai avvenuta. Quando la guerra ebbe fine, il bambino aveva appena due anni, ma per la scarsa alimentazione pareva ne avesse uno. La madre fu convinta a trasferirsi in quel di Parma, dove una sua lontana parente, le aveva promesso un lavoro in un caseificio, attività che le avrebbe consentito di mettere insieme il pranzo con la cena. Mai scelta fu più felice, perché oltre ad un certo benessere economico, quel lavoro, portò alla madre anche un nuovo amore, nella persona del figlio del titolare, Massimo, che la sposò dopo un anno. La famigliola si trasferì nell’azienda agricola dello sposo, dove il piccolo Giuseppe, ora completamente rimessosi, frequentava assiduamente l’enorme stalla che ospitava più di cinquanta mucche. Un giorno, mentre osservava il fattore mungere, si avvicinò alla mucca che era nel box accanto, e dopo avergli sfiorato il ventre, disse all’uomo,” il vitellino, sta male, non riesce a respirare!” L’uomo restò stupito in primo luogo perché nessuno aveva detto al bambino che la mucca era incinta, e poi per l’affermazione, detta come se ne avesse la certezza. Il giorno dopo la mucca ebbe un aborto spontaneo, ed espulse un vitellino morto. Questo episodio, turbò i genitori del piccolo, che però pensarono che potesse aver sentito dire da qualcuno dello stato della mucca, e non diedero eccessivo peso all’accaduto. Dopo pochi giorni, però, successe un’altra cosa che confermò a tutti la certezza che il piccolo Giuseppe aveva uno strano, misterioso, e inquietante potere. Eravamo in primavera inoltrata, e nella fattoria, tutti gli animali erano impegnati nell’attività più importante della vita; la continuazione della specie. Così, un giorno Marisa portò il piccolo Giuseppe a vedere in un angolo riparato del pollaio, un nido preparato da una chioccia, con all’interno una dozzina di uova. Il bambino ne prese uno e dopo averlo stretto un attimo tra le mani disse” mamma tra due giorni, quando nascerà posso tenerlo?” Con un sorriso la madre gli rispose che ci sarebbe voluto un mese perché nascesse, e poi potrebbe anche succedere che non nascesse nulla da quell’uovo. Il bambino rispose che si stava sbagliando, poi prese a una, a una, le uova tra le mani dicendo, “questo è vuoto, questo no” con la madre che assisteva divertita a questa ispezione. La sua incredulità fu messa a dura prova quando dopo poco meno di tre giorni, uscì la chioccia, seguita da un solo pulcino, il piccolo Giuseppe, aveva previsto un avvenimento più grande di lui. I genitori restarono stupiti, ma non ancora sicuri che quanto accaduto fosse solo una coincidenza, decisero di fare una prova inconfutabile. Le mucche erano state sottoposte dal veterinario provinciale, alle prime prove d’inseminazione artificiale, per qui tempi, pionieristiche, e tra pochi giorni, lo stesso veterinario sarebbe venuto per vedere quante di queste avessero avuto successo. Così il giorno dopo i genitori portarono il figlio nella stalla, e con noncuranza quasi fosse un gioco, gli chiesero d’indovinare quanti vitellini erano nascosti nelle pance delle mucche. Così mentre il bambino toccava loro il ventre dicendo!” Qui è vuoto” oppure “qui c’è né uno,” il padre annotava il numero della giovenca. Il giorno dopo il veterinario con l’ecografia, non solo confermò in pieno le affermazioni del piccolo, ma svelò anche la presenza di due gemelli, come aveva detto il piccolo, non creduto dai genitori. Questa fu la prova regina della capacità straordinaria del piccolo Giuseppe nel “sentire,” e in alcuni casi di “accelerare” la vita animale. Passarono gli anni, e le facoltà di Giuseppe crebbero, fino a diagnosticare le malattie anche umane, e spesso a provvedere alla loro cura, solo con l’imposizione delle mani, o di un leggero massaggio. Il padre adottivo riversava su di lui tutto il suo l’affetto come se fosse figlio suo, ricambiato dal ragazzo, e cercava d’insegnarli tutto ciò che sapeva sull’allevamento industriale delle mucche, sfruttando al massimo il potere del figliastro. Il ragazzo imparava in fretta, tanto che il padrigno chiese alle autorità scolastiche se fosse stato possibile d’inscriverlo saltando il percorso scolastico normale, alla facoltà di veterinaria all’Università di Parma. Un giorno, Massimo si recò a scuola a prendere il figlio. Quando il bambino lo vide, gli corse incontro, e si lanciò tra le sue braccia con l’irruenza tipica dell’infanzia, ma dopo averlo abbracciato, di colpo scoppiò in un pianto disperato. Il padre non riusciva a calmarlo, e pensando che stesse male andò subito a casa. Anche Marisa faticò non poco, a calmare il piccolo, ma quando, singhiozzando, il figlio gli spiegò il motivo del suo pianto, diventò pallida, ed essa stessa scoppiò in lacrime. Il bimbo disse che dentro la pancia del padre, c’era un grosso ragno nero, che lo stava mangiando, e che lo avrebbe fatto morire. Massimo, dopo poco più di tre mesi morì per un cancro inoperabile, lasciando moglie e figlio in un oceano di dolore. Quando compì quattordici anni, era da poco passato Natale, e Giuseppe che era a casa da scuola per le vacanze, entrò di corsa in cucina spaventato, e disse a sua madre” mamma sento che sto per morire, ho tanta paura aiutami ti prego!” La donna, conoscendo le capacità del figlio, sentì una spada di ghiaccio perforargli il cuore, lo abbracciò forte dicendogli ” amore, ma cosa dici? Tra poco arriva il nonno che ti porterà una bella sorpresa.” Quasi non fece in tempo a terminare la frase, che sentì il corpo del figlio irrigidirsi, per poi, dopo un attimo, illanguidirsi nell’abbraccio della morte. Il suo urlo riecheggiò nella cascina, alto, disperato, quasi animalesco, il lamento di una madre cui, un perfido destino aveva strappato gli affetti più cari.
 
Bentley Parker
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