Una Carrara perduta
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Modernariato, e il contrario di Antiquariato. Negli ultimi decenni, pare che molti Amministratori pubblici siano stati colpiti da questa vera e propria malattia; rinnovare il più possibile. Così spesso dopo aver compiuto il cambiamento ci si accorge che non solo non era necessario, ma che addirittura risulta brutto o dannoso.
Una Carrara perduta
Tutto ciò che esiste sul pianeta Terra, è destinato al cambiamento, non importa se siano impervie montagne, sconfinati oceani, o assolati deserti. A questa ferrea legge naturale, non sfuggono neppure le città, benché siano opere dell’uomo. Alcune volte ciò accade per sconvolgimenti naturali, come incendi, terremoti o inondazioni, altre volte per il volere dell’uomo stesso, che, per qualche ragione, ne cambia l’assetto urbanistico, spesso con effetti disastrosi. Nel fare questo però, ci si dimentica di quanto sia corta ed effimera la nostra esistenza. Specialmente nei tempi antichi, non erano rari i casi che, chi ordinava il cambiamento, non vivesse abbastanza a lungo da vederlo compiuto. Anche i potenti dell’antica Carrara, non sono sfuggiti a questo destino, Alberico I Cybo Malaspina, non è riuscito a vedere finite le “muraglie nove” da lui fortemente volute, così come Carlo I Cybo Malaspina, che iniziò la costruzione del Santuario Madonna delle Grazie,( Lugnola) finito dal figlio dopo la sua morte. Un tempo questi mutamenti urbanistici, avvenivano in un periodo relativamente lungo, mentre, specialmente nel primo dopoguerra italiano, sono stati talmente veloci, da far perdere il ricordo dell’assetto urbano precedente. Io penso che per le nuove generazioni questo non sia accettabile, perciò desidero almeno “raccontargli” la Carrara di un tempo. Di questi cambiamenti, spesso veri e propri scempi ambientali, ne sono un esempio, le periferie delle grandi città, dilatate a dismisura da una speculazione edilizia selvaggia, e abitate in poco tempo da migliaia di persone. Prive dei servizi essenziali, alcune sono diventate dei veri e propri ghetti, dove impera la malavita e il degrado. Anche Carrara è profondamente mutata nel dopoguerra, non tanto per l’ampliamento urbanistico, impossibile a causa della sua posizione geografica, così stretta tra i monti e il mare, quanto per il cambio delle destinazioni d’uso dei suoi edifici, quasi tutti multisecolari. Partiamo dalla sede del Municipio. Un tempo si trovava nel cosiddetto “Palazzo Rosso,”nell’attuale via del Plebiscito, strada che ospitava anche la caserma dei Vigili del Fuoco. Questa stradina non porta da nessuna parte, e fu costruita per valorizzare la seicentesca Chiesa del Suffragio, un vero e proprio gioiello architettonico del Bergamini, con portone marmoreo opera di Carlo Finelli. Questo, è il classico esempio di cambio d’uso poco avveduto. Sconsacrata, divenne luogo per mostre e concerti, negli ultimi tempi però, il Comune non ha rinnovato il canone d’affitto con la Curia, che l’ha ceduta alla Comunità Ortodossa Rumena in Italia, che la tiene sempre chiusa, e non più visitabile, un vero e proprio insulto all’arte. Anche il Palazzo Rosso, dopo avere ospitato per un pò la Biblioteca Comunale, è stato giudicato inagibile e pericolante, e chiuso a tempo indeterminato. Scendendo al centro storico, troviamo la Piazzetta delle Erbe, un tempo sede giornaliera di un vivace mercato ortofrutticolo. Al suo posto, alla fine degli anni sessanta, è stato edificato un imponente mercato ortofrutticolo coperto, oggi in parte dismesso per mancanza di venditori. Invece la “Piazzetta” come al tempo veniva chiamata, era circondata da innumerevoli piccolissimi esercizi commerciali, cantine, e botteghe artigianali, restaurata a metà degli anni novanta, ora è testimone silenziosa della morte commerciale del centro storico. Altro imponente rudere è la vecchia Stazione ferroviaria di S. Martino. Collegata alla rete ferroviaria nazionale da una linea che era usata anche dall’antica marmifera, permetteva di prendere il treno a Carrara per qualsiasi destinazione. Chiusa da decenni, in principio era diventata una specie di rifugio per sbandati, fino a quando non si decise di murarne gli ingressi, e lasciarla così, nell’abbandono più totale. Così come si decise di smantellare in tutta fretta l’ardita linea ferroviaria della marmifera, che proprio da S. Martino si biforcava, e dopo aver attraversato il Carrione su di un antico ponte tuttora esistente, si dirigeva verso il monte, costeggiando l’attuale via Don Minzoni. Le rotaie erano poste dove oggi è via del Cavatore, e dopo essere giunte nel piazzale davanti all’attuale Monoblocco, al tempo capolinea della Marmifera, si dirigevano verso il Ponte di Ferro e le cave. Anche il Monoblocco non esisteva, e il vecchio Ospedale Civico, posto poche decine di metri verso il mare, assieme ad alcuni padiglioni di Monterosso era l’unico Ospedale esistente. Proprio di lato alle rotaie, vi era la splendida sede dell’INAIL, con la facciata semicircolare rivestita di marmo bianco di Carrara, con all’interno anche gli ambulatori, per curare gli infortunati, oggi lasciata in abbandono. Lungo Corso Vittorio Emanuele, da poco chiuso per creare una “piazzetta” senza senso, si trovava, proprio in Piazza Garibaldi di spalle alla statua dell’eroe dei due mondi, la sede dell’INAM, la “Mutua” come si chiamava una volta, prima che cambiasse nome in Servizio Sanitario Nazionale, con gli ambulatori sempre affollati all’inverosimile. Di fianco vi era la Pretura, luogo, dove a quei tempi, nessuno voleva trovarsi, perché significava avere guai con la giustizia. All’inizio della strada vi è lo splendido teatro “Animosi” che molti dicono simile una preziosa bomboniera. Era usato giornalmente come cinema, oltre che per le rappresentazioni teatrali. Alcuni anni fa passato di proprietà del Comune, dopo interminabili lavori di restauro, è stato aperto, e subito richiuso, per altri lavori che non si sa quando finiranno. Vicino alla località chiamata “Ghiacciaia” vi era un’enorme, e bellissimo parco, di proprietà dell’ex Montecatini Marmi, che comprendeva oltre ad uno splendido edificio rivestito in marmo, anche un campo di pallavolo, gioco delle bocce, un cinema all’aperto, e addirittura una pista da go kart per i ragazzi. Oggi, questo polmone verde cittadino, non esiste più, sepolto da una colata di cemento, usato per edificare un centro residenziale, con decine di appartamenti, la maggior parte, dopo decenni dalla fine dei lavori, ancora sfitti. Al parco della Padula poi, ex residenza della famiglia Fabbricotti, alcuni anni fa, anzi che restaurare, e recuperare la maestosa villa all’interno, si preferì creare un’orrenda torre di accesso al parco stesso, doppione di quella esistente, e oltretutto mai utilizzata, e ora in rovinoso degrado, ennesimo caso di spreco di denaro pubblico. Come si può ben vedere, non sempre il “nuovo” è meglio del vecchio, ma soprattutto spesso noi umani, magari investiti di qualche carica altisonante, ci dimentichiamo che nel lungo scorrere della pellicola del tempo, siamo solo delle fugaci comparse, mentre gli scempi sul territorio, restano per sempre.
Mario Volpi
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