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Sezione a cura di Mario Volpi
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Un alimento completo

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Mezzo litro di latte per una famiglia di cinque persone è poco? Eppure per anni è stata la "quota latte" giornaliera che ci si potevamo permettere, ma con si dice in dialetto pogh ma bon!

Uno degli alimenti “universali” ossia consumato dalla totalità della razza umana è certamente il latte. Non solo, ma tra i mammiferi solo gli umani continuano a berlo anche dopo lo svezzamento. Questo alimento, così prezioso e indispensabile, è anche stato causa, nel corso dei millenni di gravi patologie, perché essendo un prodotto interamente “animale,” era soggetto a trasmettere agli umani, le malattie dell’animale da cui esso proveniva, come Brucellosi, Tubercolosi, o la Seu, una grave forma di intossicazione intestinale, spesso con esiti fatali. In Era medievale, il latte era munto soprattutto da capre e pecore, non a caso queste ultime erano dette “le mucche dei poveri.” Di taglia relativamente piccola, molto rustiche e frugali, le diverse razze caprine e ovine, nel corso dei secoli si sono perfettamente adattate per trarre il massimo sostentamento possibile dal territorio, spesso aspro e montuoso dove vivevano, un classico esempio è proprio la nostra pecora ”massesa.” Con il vello completamente nero per assorbire al massimo il calore del sole, estremamente rustica, sia per quanto riguarda l’alimentazione sia per la sua cura, è di corporatura agile e leggera per scalare le nostre erte colline, e cibarsi del “paler” un’erba dura e fibrosa rifiutata da tutti gli altri erbivori. Anche in antichità, il latte era considerato un “alimento completo,” vi era però il problema della sua conservazione. Fu certamente per caso, che del latte posto all’interno di un otre di pelle, forse a causa dello sciabordio causato del trotto del cavallo, o per alcuni batteri presenti all’interno del rudimentale contenitore, questo si trasformò in yogurt, aprendo di fatto una nuova Era per l’alimentazione umana. Anche “l’invenzione” del formaggio si perde nella notte dei tempi, ma è indubbio che questi due alimenti sono stati determinanti nella sopravvivenza, e nell’aumento demografico della razza umana. A proposito di formaggio gli antichi romani, che erano dei veri buongustai consideravano una vera e propria eccellenza il formaggio” de Luni” prodotto dalle pecore che pascolavano nella pianura della città ormai perduta di Lunaee. Questa vera e propria “arte pastorale” delle genti Apuane, si è protratta nei secoli fino ad arrivare a ridosso dei primi decenni del 1900, dove erano ancora numerosi i pastori presenti che compivano transumanze dalla Piana di Luni fino ai pascoli estivi sulle Alpi Apuane. Alla fine della seconda guerra mondiale, però, con il patrimonio zootecnico, decimato dalle razzie degli eserciti in guerra, il consumo di latte era drasticamente calato, tanto da causare una vera e propria carestia. A questa carenza, supplì provvidenzialmente la tecnologia importata in Italia al seguito degli Alleati. Io stesso mi ricordo chiaramente quando a scuola venivano le “signorine” del “Patronato” com’erano chiamate impropriamente da noi, e da una lista chiamavano i bambini poveri, (anche se lo eravamo tutti) più bisognosi, e gli facevano bere un bicchierone di latte, fatto con acqua, latte condensato strizzato da un tubetto simile a quello del dentifricio, e un cucchiaino di polvere di surrogato di cioccolato. Negli anni cinquanta del novecento, nelle nostre zone il latte era distribuito la mattina presto dalle “lattaie” donne che in bicicletta, con due latte di alluminio montate affiancate sulla ruota posteriore, facevano il giro nelle abitazioni dei clienti, a cominciare dalle sei di mattina, e questo sia in estate che in inverno, col sole o con la pioggia, per poter mettere insieme il pranzo con la cena. L’allevamento di una o due mucche era la regola in ogni cascina, e il surplus d latte veniva venduto. Era molto presente anche l’allevamento di capre, lasciate spesso a pascolare negli uliveti prima della raccolta delle olive, dove svolgevano il compito di diserbanti naturali, in cambio di un quartino d’olio. Si pensi che prima della seconda guerra mondiale alla Battilana esisteva una donna chiamata la Marì, che aveva alcune capre esclusivamente per “uso umano.” Mi spiego meglio, al tempo anche a causa delle frequenze dei parti e della malnutrizione, non era infrequente che le madri non avessero latte per il neonato. Una “balia” sostitutiva non era sempre disponibile e in più era assai cara, così interveniva la Marì. Si portava il neonato a casa sua, e lei dopo aver pulito la mammella della capra con uno straccio umido, aspettava che questo piangesse per la fame. Appena il neonato piangeva la capra, come una madre affettuosa accorreva, e si posizionava sopra la piccola culla fatta apposta allo scopo, e il bambino attaccato alle mammelle della capra poteva saziarsi. In pagamento per il servizio, la Marì accettava beni di prima necessità, come pane, salumi, verdura ecc. Tengo a precisare, che questo che oggi sembra una favola è purtroppo la vera e triste verità, che si è protratta fino a ridosso del secondo conflitto mondiale.  Il latte, anche in Era moderna, era così essenziale che poco dopo la nascita della Comunità Europea, diede origine a una vera e propria “guerra commerciale” durata decenni. Per evitare che un surplus di produzione di latte bovino portasse a un crollo del prezzo alla stalla, con il conseguente danno economico per gli allevatori, nel 1984, si stabilirono in Europa una Quota Latte, in migliaia di litri che ciascun Paese poteva produrre. Le eventuali eccedenze erano sanzionate con una grossa multa che in principio avrebbe pagato lo Stato, suddivisa poi tra i trasgressori. Ebbene, nata forse a fin di bene, questa legge, si rivelò da subito una vera a propria fabbrica di truffe, inadempienze, e compravendita spesso illegale di quote, che causò milioni di Euro di multe agli allevatori italiani, e perfino la chiusura di alcuni allevamenti, che sfociarono in proteste anche violente e clamorose, fino alla totale abolizione della legge avvenuta nel 2015. Oggi il latte è diventato un alimento comune, quasi banale. Confezionato in tetrapak, è a lunga conservazione, pastorizzato, refrigerato, filtrato, addizionate con cose strane, venduto intero, scremato, o parzialmente scremato, ma in tutte le sue forme è un latte biologicamente “morto.” Quelli delle nuove generazioni, credono che il sapore del latte fresco sia quello che si gusta aprendo una di queste moderne confezioni. Vi posso assicurare che si sbagliano. Il gusto del latte intero appena munto, è un’altra cosa, con la panna alta un dito che si forma sulla sua superfice, quando nel bricco prende il primo bollore e “si alza” pronto a traboccare. In quelle tristi mattine di settanta anni fa, perché dovevo andare a scuola, l’unico piacere che mi riconciliava con la vita era la grossa fetta di pane casereccio raffermo, spezzettato dentro a una tazza di latte fumante, che spesso mia madre, forse per gratificarmi ulteriormente, addolciva con un cucchiaio di miele. Si comperava mezzo litro di latte per tutta la famiglia, ma come recita un adagio carrarino “pogh ma bon” (poco ma buono.)
Mario Volpi 5.2.23
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