Bar: l’evoluzione della specie
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
La "modernità" ha definitivamente cancellato gli antichi luoghi di "aggregazione." Oggi, spesso, i vicini di casa di uno stesso pianerottolo di un grande condominio, non si conoscono neppure. E tutto questo lo chiamano pomposamente: Progresso!
Per
secoli a Carrara, l’unico luogo di aggregazione era la “Cantina.”( in vernacolo
carrarese luogo deputato alla vendita di vino.) Collocate spesso in ambienti
bui e malsani, avevano un arredamento più che spartano, composto da uno
sgangherato bancone, di marmo, qualche tavolo in legno corredato da sedie
impagliate, e le immancabili sputacchiere di zinco piene di segatura. Vi si mesceva
solo vino, a “bicereti,” ( tipico bicchiere da un quinto di capacità) a
“cavallerie” (bicchiere da un quarto) a litri, e mezzolitro. Qualche Cantina
apriva nelle prime ore del pomeriggio, e raramente chiudeva dopo le ventidue,
perché i clienti all’indomani dovevano fare “l’or d bonora” ossia alzarsi prima
dell’alba. I frequentatori della cantina erano esclusivamente uomini di una
certa età, i ragazzi e le donne erano esclusi, relegati alle” veglie,” serali davanti
al camino, magari dei vicini, o nelle stalle per stare al calduccio, e nello
stesso tempo fare il filo alle ragazze o svolgere qualche lavoretto manuale
come filare, o fare la calza. Ma dopo il secondo conflitto mondiale tutto
cambia. La Società da prettamente rurale quasi di colpo diventa industriale,
dove intere schiere di giovani si affacciano al mondo del lavoro come
“apprendisti,” e anche se misera, percepiscono una “paga,” che risveglia in
loro la voglia di vivere in modo diverso il loro tempo libero. E’ in questo
contesto che a ridosso degli anni cinquanta in Italia dalle grandi città, dove,
anche se rari, sono già presenti, i bar si diffondono a macchia d’olio su tutto
il territorio nazionale, e assumono di prepotenza il ruolo di luogo di
aggregazione primario dei giovani. Al contrario delle fatiscenti Cantine, i
moderni bar sono ben illuminati, con un elegante bancone in legno lucido, con
inserti in rame o acciaio, con inserita all’interno una “ghiacciaia” elettrica
in grado di conservare birre e gazzose alla giusta temperatura, mentre di sopra
campeggia una luccicante macchina prodigiosa, fino a poco tempo fa semisconosciuta,
in grado di fare in un attimo un caffè espresso bollente, scaldare all’istante
il latte, e perfino fare il thè. I tavoli sono tutti uguali, rotondi o
quadrati, coperti da graziose tovaglie in stoffa colorata, con le sedie
perfettamente abbinate, e i più moderni hanno un fantastico gioco che incantava
noi ragazzi: il calcio Balilla. Con solo dieci lire era possibile giocare in
due o in quattro persone, e se il barista era un po distratto, bastava mettere
un fazzoletto nelle “porte” per recuperare le palline e giocare all’infinito. I
bar più grandi avevano un locale “televisione,” dove un monumentale apparecchio
era posto su un alto scafale in modo che fosse ben visibile, e specialmente il
giovedì, arrivavano intere famiglie per godersi i primi quiz televisivi, come
il mitico “Lascia o Raddoppia” condotto da un italo americano; Mike Buongiorno.
La consumazione era obbligatoria, e il posto era di chi arrivava prima, così
già alle 19, vi era gente seduta in prima fila. Ma quello che elettrizzò maggiormente
noi ragazzi fu l’avvento di un gioco fantascientifico, il Flipper. Arrivato
dall’America attorno a metà degli anni cinquanta, questo gioco era una novità assoluta.
Pieno di luci colorate intermittenti, con effetti sonori mai uditi, bisognava
lanciare con un apposito meccanismo una pallina di acciaio che colpiva “funghi”,
o respingenti, facendo punti. Era vietata la “scrollata” pena la scritta
intermittente “tilt” e la fine istantanea della partita. Giocare costava cinquanta
lire per cinque palline, ma si poteva vincere un’altra partita, e addirittura
un bonus per una vera e propria serie di partite gratuite. Il Governo
filoclericale del tempo, però, quasi volesse punire gli italiani che cercavano
di tornare a divertirsi dopo i lutti della guerra, promulgò una vera e propria
sequela di leggi becere e ottuse, che partendo dall’abolizione delle “Case Chiuse,”
arrivarono fino alla proibizione di qualsiasi forma di gioco d’azzardo che
comportasse una vincita, fosse questa solo una partita a carte, al Flipper, o
al semplice e popolare gioco della Morra, o al Bingo. Pattuglie di Vigili
Urbani, Polizia e Carabinieri, erano loro malgrado sguinzagliati a controllare
il rispetto di queste assurde norme. I gestori dei bar però, con l’italico
ingegno, aggirarono elegantemente tali norme, promuovendo “gare” di Flipper,
dove con una somma all’iscrizione, era possibile giocare per vincere il torneo
portando a casa, salumi, o bottiglie di vino o liquori. Questi “tornei”
durarono anni, e comprendevano gare di briscola, scopone, Flipper, calcio
Balilla e perfino biliardo. Il bar per decenni divenne sempre più il luogo di
ritrovo serale dei giovani, da dove si decideva se andare al cinema, magari in
sette o otto su una Fiat Cinquecento, o se, sempre con lo stesso mezzo fare un
“tour by night” per ammirare le “signorine” al tempo solo italiane, che
lavoravano lungo i viali a mare fino a Viareggio, o se andare a rubare la
frutta, o le fave nell’orto del “cerbero” del paese, rischiando magari una
scarica di pallini sparata col fucile da caccia “a orecchio” dal proprietario.
Con lo sviluppo del Totocalcio, del Totip, e mano a mano di tutti gli altri giochi
legati allo sport, il bar era diventato anche una sorta di covo di “biscazzieri”
dilettanti, che il sabato sera si riunivano con fare da cospiratori, per
compilare la schedina, o il “sistema” facendo pronostici “sicuri” su questa o
quella partita, o sul cavallo vincente.
Si faceva a gara a giocare all’ultimo secondo utile, magari prima della
chiusura, per evitare di essere
“copiati” e dover così dividere con altri “l’immancabile” vincita. Arrivò poi
il momento dei grandi broadcasting, che trasmettevano partite di calcio in
esclusiva, e molti bar si attrezzarono con grandi schermi per ospitare schiere
di tifosi, che spesso potevano anche fare uno spuntino mentre vedevano la
partita. I bar di un tempo aprivano alle sette di mattina e chiudevano spesso
oltre la mezzanotte, con uno sforzo logistico del personale non indifferente.
Oggi molti degli antichi bar hanno chiuso, o si sono evoluti, specializzandosi
in attività collaterali come pasticcerie, gelaterie o pizzerie con la
possibilità dell’asporto. Molti nuovi bar hanno aperto vicino a scuole,
opifici, capolinea di mezzi pubblici, o grandi Ospedali, per sfruttare il
bisogno di ristoro a una certa ora di un gran numero di persone. Qualcuno apre
a ore antelucane, per intercettare operai che si recano al lavoro, o i
nottambuli che ritornano delle discoteche ma ormai il bar come luogo di
aggregazione è definitivamente tramontato. Molti locali di oggi, servono la
cosiddetta “movida,” a clienti occasionali, che cambiano luogo secondo la moda
del momento, per cui il locale in se stesso per loro, non ha alcun significato.
Molto diverso dai nostri tempi dove ognuno di noi era un vero e proprio
“membro” del bar di riferimento, spesso con il conto aperto, dove il
proprietario ti chiamava per nome dandoti del tu, e dove, per almeno qualche
ora ti sentivi “a casa.”
Mario Volpi 25.2.23
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