Sgangherati rottami
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Oggi i mastodontici "T.I.R" come vengono
chiamati in gergo gli autocarri, percorrono giorno e notte le autostrade di
tutta Europa, con dotazioni degne di un Hotel a 5 stelle ma un tempo ....
Verso la fine degli anni quaranta, la guerra aveva lasciato dietro di se lutti e macerie, ma bisognava rimboccarsi le maniche e ricostruire l’Italia. Le strade dell’epoca, tutte bianche, erano fortemente dissestate a causa delle vicende belliche, e soprattutto per la mancata manutenzione durante gli anni del conflitto. Il parco auto, e soprattutto quello degli autocarri era inesistente, togliendo qualche obsoleto e sgangherato LOC OM chiamato “musone” o i vetusti Fiat 666 spesso residuati bellici delle nostre forze armate. L’italico ingegno poi, usò per decenni per portare il marmo al piano, percorrendo le pericolose e tortuose vie montane che partivano dalle cave di Carrara, degli autocarri residuati bellici che l’esercito americano aveva lasciato in Italia in grande quantità, i tre assi White, della White Motor Company oggi scomparsa. In quegli anni, la Lancia fece uscire sul mercato il suo “nuovo” modello Esatau 864, con ancora la cabina arretrata e il motore posto sotto il cofano a “musone” tipico degli autocarri del tempo. La domanda di mezzi commerciali piccoli e medi, era così alta che anche le case Motociclistiche come la Guzzi, e la Iso Rivolta si cimentarono nella costruzione di motocarri a tre ruote, con o senza cabina, che ottennero un lusinghiero successo. La prima a capire la necessità di avere un camion pesante fu la Fiat, che nel 1949 lanciò sul mercato quello che al tempo era una vera e propria novità tecnologica, l’autocarro pesante 680N. Con una cilindrata di 10.147cm cubici, che era in grado di sviluppare ben 123 CV, una potenza mostruosa al tempo. Dotato di un cambio a 4 marce, 4 ridotte più due retromarce, aveva anche una cabina più ampia, che alloggiava al suo interno il motore, eliminando così il muso. Nello stesso periodo, anche la OM, acronimo di Officine Meccaniche lanciava una sua linea di automezzi chiamata “zoologica,” che comprendeva autocarri medio leggeri, come il leggendario Leoncino, seguito subito dopo dal Tigre, Tigrotto, Daino, Orsetto, e quello più famoso di tutti, il Lupetto. Intanto si procedeva alacremente a riparare le strade, soprattutto quelle importanti come la Aurelia, la Flaminia, la Salaria, e tutte le innumerevoli “provinciali” che permettevano la anche se timida, la ripresa dei commerci. Nel 1956 a Ginevra si stipula una Convenzione Europea chiamata con un acronimo T.I.R. dove gli autocarri potevano attraversare più frontiere senza essere controllati alle dogane. Anche se il grosso dei trasporti pesanti era ancora su rotaia, proprio grazie a questa Convenzione, il 680 Fiat, ottenne un grande successo, e in poco tempo ne furono messi in circolazione varie migliaia. Per ottimizzare il costo del trasporto ogni autocarro che faceva “la linea” come al tempo si chiamavano i trasporti extraregionali, o internazionali, trainava un rimorchio. Per legge sulla cabina doveva avere un triangolo, che di notte s’illuminava che serviva proprio a segnalare che era un “autotreno.” Anche se la cilindrata era più che rispettabile, i cavalli erano relativamente pochi, così la velocita non arrivava a superare i sessanta chilometri all’ora. La vera e propria tragedia avveniva sui valichi montani, come la Cisa, il Lagastrello, il Bracco, o il Passo del Cerreto, dove questi bestioni, al massimo della potenza, con i motori che ruggivano, e sbuffavano fumo nero, con una ridotta innestata non superavano la velocità di 5 chilometri all’ora, consentendo spesso al secondo autista, al tempo presente per legge, di scendere, per fare un po d’acqua e risalire sul mezzo al tornante successivo. Lascio a voi immaginare le code che provocavano due o tre di questi autocarri in fila, alle anche se ancora poche auto che seguivano. Si arrivò così ai mitici anni sessanta dove il benessere economico spinse le grandi Aziende come la Fiat, a privilegiare la costruzioni di auto popolari come la Seicento, e la Cinquecento, trascurando il comparto degli autocarri, considerato meno remunerativo. Fu un grave errore perché i Paesi del Nord Europa, si lanciarono a capofitto in quella fetta di mercato lasciata libera, e sfornarono con marchi come Volvo, Scania, e Man, autocarri moderni, potenti, e con rifiniture interne degne di auto di lusso. Nel 1975, la Fiat si accorse dell’errore, e corse ai ripari fondando un Consorzio di Costruttori: la IVECO, che comprendeva oltre alla OM ormai entrata nell’orbita Fiat anche i francesi della Unic, e i tedeschi della Magirus-Deuz. Intanto il trasporto da rotaia, si sposta sempre più su gomma, anche perché le nuove autostrade, e superstrade appena costruite in tutta Europa, permettono di portare le varie merci direttamente dalla fabbrica, alla sede del cliente, con un evidente abbattimento dei costi di trasporto, ma questa nuova strategia commerciale evidenziò la necessità di avere a disposizioni autocarri più moderni e performanti. Nel 1984, il primo prodotto del Consorzio IVECO, viene lanciato sul mercato, ed è un autocarro che entrerà quasi nella leggenda, si chiama Turbo Star IVECO. Questo autocarro-trattore, e caratterizzato da un motore a sei cilindri con una grande novità perché è sovralimentato con intercooler, e sviluppa oltre 330 cavalli, un vero mostro, ma le novità non finiscono qui. Ha la possibilità di trainare un rimorchio “a bilico” al posto degli antiquati autotreni, il cambio sarà in due versioni rispettivamente con 13, e 16 marce. La cabina è più larga e alta “tanto che vi si può stare in piedi” come diceva la pubblicità, vi sono due comodi lettini, una serie di ripostigli, un armadio per gli abiti, il sedile con molleggiamento idraulico, nuove sospensioni, cabina ribaltabile per facilitare la manutenzione, sterzo regolabile in più posizioni, e a richiesta perfino un frigo e uno scalda vivande. In più per la prima volta si lavorerà sul CX posizionando spoiler sul tetto, e sui lati, e in basso alla cabina che farà risparmiare al mezzo oltre 10 l. di carburante ogni 100Km. Il Turbo Star surclasserà per quasi due decenni nelle preferenze dei camionisti non solo italiani, i camion della concorrenza. Oggi questa “meraviglia tecnologica,” rapportata ai moderni autotreni, ci fa quasi sorridere, vedendo le dotazioni di oggi che comprendono; navigatore e rilevatore satellitare, avvisatori di uscita carreggiata, rilevazione oggetti laterali, quattro o più telecamere, per non parlare del confort della cabina che comprende aria climatizzata, frigo, forno a microonde tv, stereo, centralina rilevamento guasti, cuccette super comode, e perfino una cassaforte. Ma dobbiamo essere riconoscenti verso chi cinquanta anni fa guidava quei sgangherati rottami, perché ha contribuito a fare l’Italia il grande Paese che è oggi.
Mario Volpi 16.4.23