Permis de Conduire
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Oggi prendere la patente è una stupidaggine ma un
tempo ...
Al giorno d’oggi, conseguire la patente di guida, anche se rimane per molti diciottenni la prima vera prova nella vita reale, è un cosa normale, ma nei primi anni sessanta, era paragonabile a prendere il brevetto di volo per un caccia bombardiere. Questo perché le auto, al tempo, erano rare come le mosche bianche, considerate un congegno meccanico misterioso, complicatissimo da guidare, così costose che se le potevano permettere solo le famiglie straricche. A tal proposito devo dire che proprio al servizio di queste famiglie era nato un nuovo mestiere; lo chauffeur, ossia l’autista. Anche molte Aziende si dotarono di autisti, che vestivano uniformi gallonate che non avevano nulla da invidiare a quelle dei moderni piloti di linea. Questo a dimostrazione di come le auto, e le persone in grado di guidarle, a quel tempo, fossero rare, e considerate come tecnici. Anche gli uffici preposti per rilasciare le prime patenti erano ancora misconosciuti. Si pensi che fino a tutti gli anni settanta nella Provincia di Massa-Carrara non esisteva l’ufficio della Motorizzazione Civile, che si trovava a Vezzano in Provincia di La Spezia. Fu solo nel 1959, con l’approvazione del nuovo Codice della Strada, che si cominciò a rilasciare le patenti dopo un vero e proprio corso, compiuto all’interno delle neonate scuole guida, e un esame pratico e teorico, sotto la supervisione di un ingegnere della Motorizzazione. Negli anni sessanta, era in atto quello che sarà chiamato il “boom economico” così, molte aziende, assumevano personale giovane, con l’intendo di affidargli la guida di un’auto, o di un furgone aziendale. Questo è esattamente ciò che accade a me. Devo dire che io, ho avuto la fortuna di aver passato tutta l’infanzia, e parte dell’adolescenza, in una fattoria, dove l’uso dei mezzi meccanici, era nella normalità quotidiana. Ad appena sedici, mi recavo giornalmente a fare diverse commissioni al volante di un Aermacchi “Macchitre,” un motocarro a tre ruote, di 750 cm cubici di cilindrata, dotato però di cabina chiusa, volante, e cambio, come un’auto, ovviamente senza patente, che non sapevo neppure fosse necessaria. Non avevo ancora diciotto anni quando fui assunto in una Azienda meccanica, come autista. Il titolare ormai settantenne, e senza figli, era in cerca di un “giovane autista,” per poter finalmente, acquistare e trasportare materie prime con i propri mezzi, e consegnare alla clientela i manufatti che produceva, risparmiando così considerevolmente sui costi di trasporto. Questi era amico fraterno del Fattore, che gli aveva raccontato le mie “qualità” motoristiche, così, dopo un piccolo colloquio, mi disse che avrei potuto cominciare a lavorare già dal lunedì dopo. Io non stavo più nella pelle, perché avrei potuto finalmente non pesare più sul magro bilancio famigliare, così accettai con gioia. Il giorno fatidico, alle ore 7,30 ero già davanti al cancello, che era, ovviamente, ancora chiuso. Il titolare arrivò qualche minuto prima delle 8, in sella a uno scoppiettante Motom, quando mi vide mi disse, una frase in dialetto che ricordo ancora adesso” se al fus vera sol na metà d quel che Sinibà i a dit su d te, a i sirè da fart un monument” ( se fosse vero solo la metà di quello che Sinibaldo ha detto su di te sarebbe da farti un monumento.) Sul mio volto penso che si sarebbe potuto tranquillamente accendere un sigaro, da quanto era rosso fuoco per l’emozione. Poi mi portò dietro al capannone dove era posteggiato un camioncino Lupetto OM rosso fiammante. Era nuovo di zecca, perché aveva ancora la targa di “prova” di cartone, come si usava al tempo. Deve essersi accorto del mio stupore perché guardandomi dritto negli occhi mi disse, ovviamente in dialetto” quest tel porterà te per comprar la roba e far i ziri dai clienti, mir un po se i va ‘n moto!” (questo lo guiderai tu per fare gli acquisti e il giro dai clienti, guarda un pò se va in moto!). Io rimasi di sasso, tra il lusingato e il preoccupato, ma , con la spavalderia tipica dell’età, salì in cabina. Ovviamente era un diesel, e al tempo era necessario aspettare che la spia del preriscaldo candelette si spegnesse prima di avviarlo. Dopo un paio di giri a vuoto, il “potente” motore da 80 cavalli, si mise in moto con uno sbuffo di fumo. Provai alcune manovre sul piazzale, più che altro per impressionare il Signor Marcello. A quei tempi i cambi non erano ancora sincronizzati, perciò per scendere o salire le marce, era necessario effettuare una manovra con i pedali della frizione e dell’acceleratore, chiamata “doppietta.” Dopo aver schiacciato la frizione, si metteva la marcia in folle, si rilasciava la frizione, e si dava un colpetto con l’acceleratore per far riprendere i giri al cambio, poi si rischiacciava la frizione e si inseriva la marcia, e si poteva procedere normalmente, ovviamente il tutto doveva essere fatto molto velocemente. Mi accorsi subito che, il mio neo principale rimase contento della mia sicurezza alla guida. Dopo circa dieci giorni ero stato “promosso sul campo” dai dipendenti, e dai fornitori, come il “camionista,” della Ditta. Un giorno, appena tornato in Ditta, dopo aver scaricato delle ringhiere da un cliente, il Capo officina mi si avvicinò con un modulo tra le mani, e mi disse che aveva bisogno del mio numero di patente. “Patente? Risposi io, e chi c’è l’ha!” Il signor Marcello mi convocò in ufficio e mi diede una solenne lavata di capo, al che io risposi che non sapevo neppure che servisse una patente. Dopo alcuni giorni, dove comunque i miei viaggi con il Lupetto continuarono tranquillamente, mi inviò a Carrara a una Autoscuola che oggi non esiste più, dove, tutto a sue spese, mi fecero i documenti per ottenere il “Foglio Rosa,” che mi avrebbe permesso di guidare con un istruttore il tempo necessario per “imparare”. Poi mi dettero un libricino con dei segnali stradali, e schizzi di incroci con le “precedenze,” dicendomi di impararli a memoria, quindi dopo un mese, mi mandarono a Massa per fare l’esame orale. Questo si teneva all’interno di una sala da ballo denominata “La Nespola,” usata dalla Prefettura a questo scopo. Eravamo più di cinquanta persone, con davanti un modulo con scritte 25 domande cui si doveva sbarrare la risposta giusta, ma l’esaminatore disse che per legge, doveva estrarre tre persone per fare l’esame orale. Naturalmente uno dei tre fortunati fui io, ma seppi cavarmela egregiamente e promossi. Esattamente un mese dopo, il Signor Marcello, mi disse di presentarmi il giorno dopo alle ore 7, dal suo amico che era il principale della Scuola Guida. Pur non capendone il motivo mi presentai puntuale all’appuntamento, e il titolare mi disse ” prendi la Fiat 600 della scuola e vieni con me” Io pensai che avesse bisogno di un autista, e anche se la cosa mi parve strana, non feci domande, e mi misi al volante. Con lui al fianco ci dirigemmo alla Stazione di Carrara- Avenza, dove, alle 7.30, arrivò da La Spezia un treno accelerato da cui scese un tipo alto e allampanato, con un pinzetto sotto il mento, e un paio di occhiali con una pesante montatura in osso. Avrà avuto una quarantina d’anni, e nonostante fosse piena estate, era vestito con tanto di cravatta, in un’impeccabile “mutatura,” di lino. Il titolare della scuola guida lo salutò, con un “buon giorno ingegnere! “e lo fece accomodare dietro, poi dopo aver ripreso il proprio posto accanto a me disse “ora vai allo Stadio. “ Io, ancora non capivo il senso di queste manovre, ma non feci obbiezioni e partii. Quando arrivai all’altezza di San Antonio, lungo il Viale XX Settembre, un pallone arrivò davanti all’auto, seguito dopo un secondo da un bambino. Lo stridio della frenata, rimase nelle mie orecchie per anni, l’auto miracolosamente si fermò a meno di un centimetro dal bambino, che spaventato lasciò il pallone e fuggì via. Io avevo il cuore che pareva volesse uscire dal petto tanto batteva forte, la schiena e le mani zuppe di sudore, ma qualcosa mi diede la forza di fare finta di nulla, come se fosse per me una cosa normale, e ripartii, anche se le gambe mi tremavano. Quando fummo allo Stadio vidi che erano ad aspettarci una ventina di persone. Solo allora capii, erano tutte in attesa dell’ingegnere per dare l’esame di guida, che al tempo si teneva in quel luogo. Il titolare scese. poi, indicando me disse “ingegnere facciamo prima lui?” L’uomo dopo un attimo disse,” non scherziamo, magari guidassero tutti così,” poi porgendomi la mano continuò ” bravo, oggi hai salvato un bambino!” Dopo venti giorni mi recai a Massa, in Piazza Aranci, alla sede della Prefettura, per ritirare la mia patente nuova. Era bellissima con la copertina blu, l’unica cosa che non ho mai capito era il perché, della scritta in oro “Permis de Conduire” in francese sulla prima pagina.
01.3.21 Mario Volpi
Racconti di questa rubrica