Arte fascista a Carrara
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Molti critici d'arte, anche famosi, hanno sempre evitato di parlare
dell'Art Déco, per il timore di essere visti come nostalgici o
simpatizzanti del regime fascista. Io trovo la cosa ridicola, sarebbe
come non bere birra e non mangiare crauti per non sembrare nazisti.
Durante il ventennio fascista, molte furono le case che subirono un cambiamento radicale, una di queste, forse la più importante, fu il modo di concepire l’arte, e progettare l’architettura. Lo stile adottato si chiamava Art Déco, nome nato da una fiera, chiamata ” exposition international des artes decoratifs et industriali moderne” la prima mostra di rilevanza mondiale dopo la fine della grande guerra, tenutasi a Parigi nel 1925, dove fu mostrato al mondo per la prima volta. Qualcuno si chiederà come mai si vuol ricordare quel periodo non certo felice. E’ ovvio, che non vi è nessuna voglia di esaminare quel tempo politicamente, mentre direi che è quasi doveroso ricordare uno stile che forse ha avuto la sfortuna di essere associato al totalitarismo, essendo così ingiustamente penalizzato. Questo movimento artistico, da molti scambiato erroneamente con l’Art Nouveau, nacque appena finito il primo conflitto mondiale, quasi per dimenticare gli orrori e le distruzioni subiti dal Continente Europeo. Il fascismo lo fece subito suo, come altri regimi totalitari, perché ben si prestava a trasmettere al popolo messaggi e simboli cari al regime. Carrara durante il ventennio ebbe la sfortuna, o il privilegio, secondo i punti di vista, di avere un concittadino tra le alte cariche del regime; Renato Ricci, che fu anche ministro di Mussolini. Per ottenere consensi, ma anche per cercare di modernizzare una città, come Carrara, rimasta ottocentesca, il potente federale, promosse la costruzione di tre edifici, che oltre all’utilità, trasmettessero al popolo un messaggio di grandiosa potenza. Nulla, meglio dell’Art Déco si prestò a questo scopo. Il gigantismo, tipico di questo stile, fu uno dei motivi per la scelta fatta dal regime, per mostrare a tutti, la potenza del Regno Italico, ormai prossimo a diventare Impero. Il Palazzo delle Poste, è certamente un’opera impressionante per il tempo, e anche oggi è considerato un magnifico edificio, con i soffitti altissimi, quasi a volere sfidare la forza di gravità, rivestito di marmo, un materiale fatto per “durare, ” ecco il primo lampante messaggio, come duraturo sarà il fascismo. Le due gigantesche statue all’ingresso, per dire che sarà il lavoro, e quindi la prosperità, la chiave del successo del popolo. La Casa del Balilla, è un’altra opera grandiosa, che per l’epoca esprime una modernità di spazi e di linee armoniche, e innovative strabilianti. Nata come collegio per ospitare bambini fino a tredici anni, orfani, o con famiglie disagiate, era dotato di un’ampia palestra, cosa impensabile al tempo, ma costruita per tenere fede al detto “Mens sana in corpore sano” (mente sana in un corpo sano,) frase spessissimo pronunciata dal Duce nei suoi discorsi. Altro palazzo grandioso e quello ex I.N.P.S. oggi totalmente abbandonato. Anche questo, parzialmente rivestito in marmo, con la facciata che incorpora un’elegante “torretta” circolare, con al suo interno un’aerea e bellissima scala ellittica, che pare si voglia arrampicare verso l’alto, attaccata al nulla, ovvero, per il fascismo nulla è impossibile. Anche la scultura con questo stesso stile era usata dal regime per trasmettere messaggi al popolo. Prova regina è la fontana detta “la moretta.” Il simbolismo per esaltare le colonie è lampante. Una testa di donna nera, butta acqua, bene che in Africa è più prezioso dell’oro, mentre qui, sull’Italico suolo scorre in modo perenne, chiaro segno di prosperità. Anche la figura di nudo femminile che sovrasta la fontana è ricca di simbolismi. Il corpo nudo di donna cessa di essere visto come oggetto sessuale, mentre per le sue forme giunoniche, e il largo bacino, è vista come una dispensatrice di vita, la brocca che si stringe al seno ne è la prova, creatrice di giovani italiani, anche nelle colonie, i futuri piccoli Balilla. L’Art Déco italiana però, è molto diversa da quella adottata dal regime Hitleriano, o di Stalin in Unione Sovietica. Quello di questi due Paesi, sia nella scultura, che in architettura, era uno stile schematico, squadrato, anonimo e grigio, unicamente simbolico, senza ambizioni artistiche usato solo per trasmettere il massaggio della maschia e virile potenza del regime. Quello italiano invece, è molto più armonico, con le strutture leggere ed eleganti, quasi eteree, tanto che gli storici dell’arte, hanno coniato per il Déco italiano il termine “Mussoliniano.” Non vi è dubbio che nulla come le opere di marmo o in pietra, siano sempre state create, sin dai tempi dei Faraoni, come un mezzo “duraturo” per trasmettere un messaggio anche dopo la morte di chi le aveva commissionate. E non a caso, fu proprio un obelisco, tanto caro anche agli antichi egizi, a glorificare il potente di turno, in questo caso Mussolini. In questo messaggio, rivolto non più alla sola Italia, ma al mondo intero, però, vi era celata anche una velata minaccia, un monito sulle capacità tecnologiche della “Nazione Fascista”. Il cosiddetto Monolite, estratto in un unico blocco dal peso di oltre trecento tonnellate, dalla cava Carbonera, dopo un viaggio durato vari mesi, arrivò a Roma. Per farlo non si badò a spese, costruendo perfino una chiatta speciale, non a caso chiamato “Apuano” ossia figlio di Apuania, come al tempo si chiamava la provincia di Massa-Carrara, per risalire il Tevere. Anche se pochi lo sanno, oltre alla decennale polemica sull’esistenza, o meno di un presunto messaggio segreto scritto in una pergamena sepolta sotto le sue fondamenta, anche le lettere “dux e Mussolini” scritte sull’obelisco, sono in caratteri Art Déco. In Italia questo stile ebbe il suo punto di massimo fulgore dal 1919 per finire quasi del tutto alla metà del 1930, mentre nelle colonie specialmente in Eritrea, continuo fin quasi allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Non a caso le Nazioni Unite hanno dichiarato la sua capitale Asmara, Patrimonio dell’Umanità, proprio per gli edifici in Art Déco, costruiti dagli italiani negli anni trenta. Anche se all’inizio fu molto criticata, perché creduta un prodotto del regime fascista, l’Art Déco si propagò anche in America, durando almeno fino a tutti gli anni quaranta. Oggi lo stile Déco, tenta timidamente di rinascere, ma l’alto costo per la sua realizzazione frena molto il suo ritorno. Così questa forma d’arte finirà nel dimenticatoio, forse per sempre, per la sola colpa di essere “nata” nel periodo sbagliato.
Mario Volpi 1.07.2020
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