Il mio amico Nas
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Io ho sempre pensato che nella vita non serve "sapere" ma avere fortuna. Per il mio amico "Nas," è stato proprio così!
Purtroppo ieri ho dato l’ultimo saluto al “Nas,” all’anagrafe Marcello, amico da sempre. Persona squisita, che ha saputo cambiare le sorti della sua vita, cominciata in salita. Nei primi anni cinquanta, due spaventatissimi bambini, infagottati in un triste grembiulino nero, con un colletto di celluloide bianca, chiuso da un nastro azzurro, furono messi quasi a forza in uno scassatissimo banco di legno, di una prima elementare. Facendo sforzi titanici per non piangere, cominciammo inconsapevolmente quella che sarebbe stata un’amicizia, che sarebbe durata tutta la vita. Marcello era il figlio secondogenito di una povera famiglia, cui la sfortuna, pareva aver preso particolarmente di mira. Il padre, faceva il falegname, e una sera, mentre tornava a casa, appena sceso dal tram, fu investito e ucciso da una delle rare auto che circolavano a quel tempo, l’autista, ultra ottantenne, era anche privo di assicurazione, al tempo non ancora obbligatoria. La sorella morì di difterite a soli dodici anni, mentre lui era in prima elementare. La madre, cercava in ogni modo di mettere insieme il pranzo con la cena, facendo mille mestieri, dalla lavandaia, alla donna di servizio, non disdegnando neppure l’attività di bracciante in occasione della vendemmia, raccolta delle castagne e delle olive, ma i soldi non bastavano mai. Pur non navigando nell’oro, nella mia famiglia un piatto di minestra non era mai mancato, e su ordine di mia madre, che sapeva di queste sue difficoltà, ma anche per mia iniziativa, spesso, quando uscivamo da scuola, veniva a pranzo a casa mia. Qualche volta alcune magliette, calzoncini, o pullover, “identici” ai miei, erano indossati da lui, ma mai in contemporanea. Solo molto più tardi ne capii il motivo. Marcello, era un bambino biondo, con una corporatura esile ma perfettamente proporzionata, con una bella faccia sempre aperta al sorriso, e un importante … naso. Pur essendo imponente, non sfigurava sul suo viso, e in più era dotato di un fiuto eccezionale. Quando siamo diventati più grandicelli, la maggior parte della nostra giornata la passavamo in strada o nei boschi. Specialmente nel mese di ottobre eravamo votati alla raccolta dei funghi, ebbene spesso s’irrigidiva e poi partiva in una direzione dicendo” di qua sento il profumo di Porpode (mazza di tamburo) o porcini” o altri tipi di funghi, e potevi stare certo che era vero. Da qui, alla moda carrarina, il sopra nome di “Nas” (Naso) Quando finimmo la quinta elementare, io continuai negli studi, lui invece, viste le difficoltà economiche, cominciò a lavorare come apprendista. La madre in quel periodo, stava facendo la stagione presso uno stabilimento balneare a Marina, e il padrone, conoscendo la loro situazione, lo raccomandò presso un suo cliente che gestiva una delle prime catene di profumerie. Intanto quello che la sfortuna gli aveva così malvagiamente tolto, la natura gli ridava con gli interessi. ‘L Nas, stava diventando un magnifico uomo. La bionda e fluente capigliatura, lo poneva ai vertici dei “capelloni” più invidiati del tempo, anche il fisico si era irrobustito, e pur senza svolgere alcuna attività sportiva, aveva un aspetto da dio greco, che mandava in visibilio le ragazze. La sua indole calma e riflessiva poi, ne faceva un abile venditore-imbonitore, che in poco tempo lanciò la profumeria dove lavorava, ai vertici delle vendite. Era fantastica la sua capacità di “ricordare” le varie fragranze, descrivendone in modo perfetto le tonalità, e consigliando alle persone quelle più adatte a loro. Un giorno la fortuna parve ricordarsi di lui. Un “viaggiatore” come al tempo si chiamavano i rappresentanti, lo notò, proponendogli di seguire un corso a Milano, promosso dalla “Maison” per cui lavorava. Lui accettò, e partì. Sua madre poco dopo morì, io cambiai casa e ci perdemmo di vista per alcuni anni. Una mattina di primavera, vidi una fiammante Alfa Romeo Duetto, rosso Ferrari, scoperta, procedere a passo d’uomo, distrattamente notai la bionda testa dell’autista che faceva da contrasto alla capigliatura fluente e corvina della passeggera. Un colpo di clacson bitonale, e una voce che mi chiamava, solo allora mi accorsi che era proprio il Nas. Dopo abbracci, e baci da parte di mia madre che lo considerava come un figlio, Marcello ci presentò la sua splendida “fidanzata,” e regalò a mia madre un vero e proprio bauletto pieno di prodotti di profumeria. Volle poi invitarci a cena in un noto ed esclusivo ristorante viareggino, dicendo che neppure se campasse mille anni, avrebbe potuto ricambiare il bene che gli aveva fatto la mia famiglia. Più tardi alle mie domande su cosa facesse di lavoro, ridendo si toccò il naso dicendo ”io lavoro con questo.” Mi spiegò che era diventato un Maitre Parfumeur, chiamato volgarmente “Naso,” e che era stato assunto con un faraonico stipendio da una notissima casa profumiera. Da quel giorno non passava mese che non ricevessi una telefonata da lui, che viaggiava spessissimo, soprattutto verso la Francia e l’Inghilterra. Negli anni a seguire, divenne sempre più bravo nel suo lavoro, tanto che decise di mettersi in proprio. Alcuni anni fa, io ero già in pensione da qualche tempo, venne a trovarmi, a bordo di una splendida Audi 8, e mi propose di visitare il suo laboratorio a Milano oltre naturalmente a visitare la sua casa. Abitava nella periferia milanese in una splendida villetta, che anche se non sfarzosa era magnifica. Posta su due piani aveva più di dieci camere, cinque bagni, giardino, garage, e piscina, “ quasi come casa mia” lo apostrofai ridendo. Lui vi abitava con l’ultima fidanzata, che sembrava sua figlia, e una governante di mezza età. Il suo laboratorio invece era fantascientifico, realizzato su un intero piano di un palazzotto in stile neo classico, al centro di Milano. Le misure di sicurezza erano degne del caveau di una banca, e comprendevano porte blindate, sistemi di videosorveglianza, oltre a vari e sofisticati sistemi d’allarme collegati con le forze dell’ordine. In un gigantesco salone completamente piastrellato in bianco, le pareti erano ricoperte da immensi scafali, dove perfettamente allineate si trovava un’infinità di boccette di vetro, ognuna contrassegnata con una sigla. Un enorme banco da lavoro con il piano di acciaio inox, conteneva innumerevoli strumenti, di cui non capii la funzione, diverse tastiere e schermi di computer, e una serie quasi infinita di storte e alambicchi, che mi riportavano alla mente la mia chimica scolastica. Marcello mi spiegò che quando le grandi Aziende gli commissionavano un profumo, il difficile non era realizzarlo, ma centrare il gusto della fascia di pubblico cui era destinata, cosa in cui lui era uno dei migliori. Mi fece visitare la “sua” Milano, dove il quattrino non era un problema, ma non ostentando, lo fece con discrezione, quasi come una guida turistica quando porta le persone a visitare un museo. Ultimamente la sua salute era andata sempre più peggiorando, con scompensi cardiaci sempre più importanti, causando, di fatto, un rallentamento nel lavoro da lui tanto amato. L’ultima fidanzata lo lasciò un anno fa, forse poco interessata ad accudire un’anziano gravemente ammalato. Due giorni fa ricevetti la telefonata della governante che mi annunciava che era morto nella notte. Al suo funerale, io mi sentivo fuori luogo in quella vera e propria riunione di “commenda,” ma mi piaceva pensare che fossi l’unico persona che egli avrebbe fortemente voluto per accompagnarlo nel suo ultimo viaggio.
Mario Volpi
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