Un irsuto invasore
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
La popolazione di cinghiali aumentata senza controllo,
sta causando problemi sia pratici che politici. Mentre il cinghiale
imperterrito fa il suo mestiere, "l'intelligentissimo," uomo non sa
come contrastarlo.
Negli
anni cinquanta, il territorio Apuano, come del resto gran parte di quello
nazionale, era molto stressato per lo sfruttamento intensivo, cui una
popolazione misera e affamata lo sottoponeva. Di ciò, com’era prevedibile, ne risentiva
in modo drammatico la flora, ma soprattutto la fauna, privata del suo habitat
naturale, e ferocemente cacciata per saziare una secolare fame, ormai diventata
endemica. Disboscamenti selvaggi, per ricavarne legna da costruzione e carbone,
spogliavano le colline, mentre, pesci, anfibi, uccelli stanziali e migratori,
erano cacciati e pescati tutto l’anno, con sistemi illegali, che nessuno
controllava e puniva. La selvaggina, come lepri e fagiani, poi, era scomparsa
da tempo. Questa drammatica situazione continuò per quasi tre decenni, fino a
quando un avvenimento socio-politico, e un sostanziale miglioramento del tenore
di vita della popolazione italiana, avviò un processo di cambiamento, per
fortuna irreversibile. Con la morte di Tito, padrone dell’ex Jugoslavia,
avvenuta nel 1980, vi fu una timida apertura del Paese balcanico al turismo,
soprattutto venatorio. I cacciatori italiani si accorsero che mentre in Italia
la selvaggina nobile stanziale, come lepri, fagiani, cervi, caprioli, e
cinghiali, era presente in numero molto limitato, e solo in riserve di caccia, private, o a pagamento, aldilà dell’Adriatico,
questi animali oltre a essere ancora numerosi, erano cacciabili senza troppe
formalità, in territorio libero, a un costo per noi irrisorio. Alcuni,
fiutarono l’affare, e presero a importare in Italia cinghiali slavi vivi, a un
costo bassissimo. Si crearono così i primi allevamenti “fai da te,” che ben
presto furono in grado di fornire ai primi “cacciatori pionieri ” scrofe già
gravide, da rilasciare, in territori impervi e boscosi, per uso venatorio. Questo
scellerato esperimento, fu la causa dei problemi odierni legati al controllo
dei cinghiali. Questi primi capi, non solo s’integrarono perfettamente nel
territorio, ma s’ibridarono con i pochi capi di specie autoctona,
soppiantandola completamente. Più grossi, più prolifici, e più aggressivi,
questi veri e propri “ irsuti invasori,” divennero ben presto i padroni delle
selve italiane. Il cinghiale è un animale sociale, che vive in branco, e ha una
morfologia, tale da essere un vero e proprio “guerriero del bosco.” Un maschio
della nuova razza slava ormai predominante, può arrivare tranquillamente a 180
kg, possiede una testa che è un vero ariete, con la bocca armata di due paia di
zanne di cui, quelle sulla mascella inferiore, lunghe più di quindici
centimetri, si auto affilano, strusciando su quelle superiori. Il corpo è
completamente ricoperto di dure setole, più lunghe e fitte sul dorso, che
l’animale è in grado di rizzare quando è infuriato. La pelle estremamente dura
e spessa, oltre ad essere scarsamente vascolarizzata, presenta un fitto
sottopelo, che lo isola perfettamente dal caldo e dal freddo, oltre a
rappresentare una vera e propria armatura contro le spine. Il maschio, fa vita
solitaria, non ha caso è chiamato Solengo, non teme i pochi predatori presenti
come lupi e orsi, e se preso all’improvviso, o messo alle strette, non esita a
caricare a testa bassa, per poi sgrugnare verso l’alto per ferire con le zanne.
Alcuni cacciatori sono stati vittime di questa sua abitudine. Il cinghiale
anche se colpito ha caricato, e le zanne affilate come rasoi hanno tagliato di
netto una delle vene femorali, provocando la morte per dissanguamento in pochi
minuti. La ragione del suo successo riproduttivo, è probabilmente, oltre al
progressivo abbandono delle campagne e l’aumento delle zone boschive, la sua
capacità di mangiare di tutto, dai germogli, ai semi, dagli insetti, alla
frutta, senza disdegnare, piccoli animali e perfino carogne. Le femmine poi,
sono in grado di partorire tre volte l’anno, dopo una gestazione di appena
quattro mesi, possono avere cucciolate da tre a dieci piccoli. Il suo numero è
in continuo aumento, a fronte di un prelievo venatorio più che modesto, visto
le difficolta, e l’organizzazione necessaria per la sua caccia. Questa avviene
esclusivamente in una modalità detta “battuta ” dove un gran numero di
cacciatori, che può arrivare anche a cento unità, è posto in fila a poche
decine di metri l’uno dall’altro, nelle “poste,” mentre dalla parte opposta,
altri cacciatori detti “canai,” conducono interi branchi di segugi. Come il selvatico
è scovato, i cani latrando, si pongono al suo inseguimento, e qui sta l’abilità
degli “scaccini,” ossia dei battitori che hanno il compito, urlando, facendo
rumore, e perfino sparando in aria, d’indirizzare il branco di cinghiali verso
le poste. Anche in quest’occasione, come se ce ne fosse bisogno, quest’animale
dimostra tutta la fisica baldanza. Oggi le armi usate per questo tipo di caccia
sono in prevalenza carabine a canna rigata di grosso calibro, capaci di sparare
proiettili blindati che producono una forza d’impatto sul bersaglio spaventosa.
Ebbene, molti di questi animali, anche se colpiti in punti vitali, riescono a
incassare il colpo, e continuare a correre anche per due chilometri, prima di stramazzare
morti. Il prelievo venatorio, oltre che modesto avviene in un periodo dell’anno
limitato, ciò consente ai cinghiali di proliferare in modo esponenziale,
causando una serie di problemi difficilmente risolvibili. Questi ungulati, come
tutti i suini, sono molto intelligenti, e hanno capito che vicino all’uomo si
vive meglio, e non si fatica a trovare il cibo. Di abitudini prevalentemente
notturne, i branchi di cinghiali sono composti in prevalenza da femmine con la
relativa prole, che guidate da una scrofa più anziana, ogni notte pattugliano
il proprio territorio, che ormai comprende anche i cassonetti dei rifiuti delle
nostre città. Questi raid notturni non risparmiano neppure orti e giardini, che
sono letteralmente arati con i loro grugni possenti, in cerca di radici e
insetti. I campi di mais, grano, e ortaggi, oltre naturalmente a interi
vigneti, sono distrutti da questi animali causando non solo la perdita del
raccolto dell’anno, ma anche la distruzione dell’intero impianto produttivo. Ma
i danni non si fermano qui. Gran parte del territorio Apuano e costituito da secolari
terrazzamenti dove sono piantati i vigneti di pregio. Queste vere e proprie
ruspe viventi sono capaci di demolire in una notte queste terrazze vecchie di
secoli, che ormai più nessuno è capace di riparare o costruire. L’attraversamento
di strade poi provoca incidenti con le auto, purtroppo anche mortali. Le
Amministrazioni, Comunali, Provinciali, e Regionali, o sono latitanti, o
risarciscono parzialmente, dopo un esasperante iter burocratico, solo gli
agricoltori titolari di Aziende Agricole, mentre per il resto della
cittadinanza vige la legge ”arrangiatevi, ” salvo poi denunciare penalmente,
chiunque, in preda alla disperazione più nera, spara una fucilata a questi
bestioni. Per complicare ulteriormente una situazione già esplosiva, alcune
associazione ambientaliste, mantengono un atteggiamento “buonista” nei
confronti di questi animali, impedendone gli abbattimenti di selezione. Come il
solito, è l’uomo con le sue scelte poco sagge, a pagare il prezzo più alto, quando
si sconvolgono le leggi della Natura, e spesso questo prezzo è davvero
esorbitante.
Mario Volpi 3.10.21
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