Un costoso salto nel passato
Attualità
Spetta/Le Redazione
Uno alla mia età, pensa di aver visto la quasi
totalità delle bizzarrie degli umani! Sbagliato!
Dopo
oltre un mese d’incertezza meteorologica, il mese di giugno forse si è
ricordato che è uno dei mesi deputati alle giornate al mare, e pare che abbia
deciso di concedere a noi poveri umani, questa opportunità a lungo agognata. Come
ogni estate, il ritorno sulla spiaggia dove si va da decenni, rinsalda vecchie
amicizie, ne procura di nuove, e spesso fa ritrovare amici che non si rivedeva
da una vita. Questo è esattamente ciò che è successo a me, proprio il primo
giorno del mio ritorno in spiaggia. Appena entrato, ho risposto al caloroso
saluto del proprietario dello stabilimento balneare, e mentre insieme a mia
moglie mi fermavo un attimo per fare i convenevoli di rito, ho notato seduto
all’esterno del bar, un corpulento signore completamento assorto nella lettura
della Gazzetta dello Sport. Aveva attratto la mia attenzione perché essendo in
short, mostrava le gambe di un bianco quasi accecante, in netto contrasto con
le braccia perfettamente abbronzate. Anche il barista mi salutò calorosamente
pronunciando il mio nome, cosa che procurò al signore misterioso, uno scatto
improvviso, e quando abbassò il giornale che stava leggendo, ambedue vedendoci
corremmo uno verso l’altro, finendo in un caloroso abbraccio. Il corpulento
signore infatti, era Carlin ‘l ner, (Carlino il nero) come lo chiamavo una vita
fa. Io e lui avevamo iniziato insieme il nostro percorso lavorativo, appena
finita la scuola, addirittura nella stessa officina. Mentre io ero attratto
dalla meccanica, Carlo, lo era in maniera
altrettanto forte dalla forgiatura a caldo del ferro, un tempo molto in
voga per la costruzione di gazebi, ringhiere, e inferriate artistiche. Questa
sua passione, e la sua corporatura non certo esile, gli fruttarono il
sopranome, Carlino, per la sua stazza, e il Nero, perché le sue mani anche
lavate più volte conservavano sempre un colore nerastro, dovuto al maneggio
continuo di carbone e fuliggine. Io da ragazzo ero un vero “mercenario,” e
cambiavo spesso datore di lavoro andando dove la paga, anche se sempre misera,
era più alta, lui invece rimase fedele alla prima officina anche perché aveva
instaurato con il vecchio “magnan” (fabbro) che di fatto era il suo maestro, un
rapporto molto speciale, non usuale al tempo. In seguito si era trasferito a
Pietrasanta in una grossa officina specializzata raccomandato proprio dal suo mentore,
perché nel frattempo lui stesso era diventato un vero “maestro” nel suo lavoro.
Il sevizio militare lo destinò come tutti i carrarini nei regimenti Alpini, nel
Nord Italia, dove oltre alla ragazza che sarebbe in seguito diventata sua
moglie, trovò anche un posto di lavoro più che soddisfacente, proprio in
un’officina specializzata in lavori artistici in ferro battuto. Per molti anni
ci vedemmo sempre più di rado fino a quando non lo vidi più. Oggi era la prima
volta che ci si ritrovava dopo decenni e la nostra commozione era palpabile.
Ordinammo da bere e dimentichi completamente della spiaggia che ci attendeva,
ci tuffammo nei ricordi. Mi disse che dopo aver sposato Sonia, con cui aveva avuto
due figli, oggi viveva nelle vicinanze di Torino, in una villetta di proprietà
che aveva appena ristrutturato. Chiese di me e della mia famiglia, e colsi
l’occasione per invitarlo la sera a cena a casa mia, cosa che accettò con
gioia. Passato il primo momento di commozione gli domandai se fosse ormai in
pensione come me, e lui rispose che “per gli imprenditori la pensione non
arriva mai!” Conoscendo il soggetto, famoso per i suoi scherzi e le battute
salaci, non caddi in quella che secondo me era una trappola linguistica, e non
gli chiesi cosa facesse, ma questa mia curiosità fu esaudita da lui stesso
quando mi disse ”sono un armoraro, costruisco armature medievali!” Io stetti al
gioco e serio in volto risposi, “e io devo confessarti che sono l’uomo Ragno!”
Lui rise di gusto e mi disse che non stava scherzando affatto, e che la sua
fabbrica che mandava avanti con i suoi figli, era assai famosa, con clienti
anche oltralpe. Poi per suffragare le sue parole estrasse il telefonino e mi
mostrò un vero e proprio catalogo di antiche armature medievali, intere o a
pezzi, tutte in acciaio, forgiate rigorosamente a mano. Dopo un attimo di
sbigottimento, rimasi allo stesso tempo sorpreso e ammirato per ciò che
riusciva a fare solo con l’aiuto di una fiamma ossidrica e di un martello. Lui
s’infervorava sempre più nello spiegarmi della minuziosa ricerca storica che
aveva compiuto nei decenni, fotografando antiche armature esposte in
prestigiosi Musei in tutta Europa, e che le sue armature erano famose proprio
perché copie fedeli di quelle realmente indossate da grandi condottieri, o
famosi cavalieri del passato, tutte rigorosamente in metallo di due millimetri,
non a caso pesanti oltre 25 Kg. Anche le antiche armi come spade e spadoni,
erano realizzate a mano con vero acciaio e subivano i trattamenti termici come
quelle vere, la sola differenza era che queste non erano affilate. Mi disse che
per realizzare un solo elmo chiuso potevano volerci oltre settanta ore di
lavoro, mentre per un’intera armatura almeno trecento, ecco perché il costo
poteva arrivare tranquillamente alle quattro cifre. Con malcelato orgoglio
affermò che aveva ordinazioni per oltre un anno, e che era nella ricerca
disperata di un valido fabbro, che potesse piano piano sostituirlo e continuare
l’attività con i suoi figli. Io, a casa, ore dopo, mi sono chiesto a quale
scopo una persona del ventunesimo secolo, dovesse arrivare a spendere migliaia
di Euro per indossare un’armatura da cavaliere o parti di essa; solo per rivivere
le emozioni del passato? Ma del resto, come recita un vecchio adagio “il mondo
è bello perché è vario” quindi c’è posto anche per qualche “ quasi cavaliere” nato
però, oltre cinque secoli dopo gli originali.
Mario
Volpi 25 6 23