Tutta colpa del chianino
Una Volta Invece
Spetta/le Redazione
Il carattere "anarchico" dei carrarini, è ben noto da secoli, ma spesso questo loro comportamento era da imputare a un ... bove!
Già in Era medievale, i sovrani pensarono di tassare il consumo di un bene al tempo giudicato essenziale; il sale. A metà del 1500, dopo la scoperta dell’America, in Europa cominciò a diffondersi un nuovo costoso “vizio, ” a quel tempo ancora solo per i nobili, o le persone molto ricche; il consumo di tabacco. Tutto ebbe inizio con l’invio da parte di un ambasciatore francese in Portogallo, alla Corona francese, dei semi, e delle foglie di questa pianta originaria del Nuovo Mondo, decantandone le doti curative come una vera e propria panacea per tutti i mali, dal morso di serpente, alla colite. In breve tempo però, si diffuse tra i nobili la moda di fiutare, quelle foglie ridotte in polvere, mentre alcuni, preferivano masticarle, o addirittura fumarle in grossolane pipe di terracotta. Questa esotica “moda-vizio, ” dilagò in breve tempo, tanto che i vari sovrani, da una parte ne proibivano l’uso giudicandolo “immorale e indecente, ” mentre dall’altra, fiutando, nel senso letterale e biblico della parola, l’affare, lo tassarono pesantemente. Si pensi che uno dei primi a tassare la vendita di tabacco, già nel 1621, fu il Cardinale Richelieu, nella Francia di Luigi XIII. Alcuni anni dopo l’unità d’Italia, avvenuta nel 1861, si sentì la necessità per uniformare e calmierare i prezzi, di sale e tabacco, fino ad allora diversi da Stato a Stato, di istituire un sistema di privativa fiscale, nacque così il Monopolio di Stato sui Sali e Tabacchi. Questo prevedeva che fosse vietato produrre, e consumare, privatamente queste due sostanze, ma che si potesse con autorizzazione statale, venderle, solo allo Stato, che era l’unico Ente autorizzato alla distribuzione e alla vendita al minuto, di queste materie prime grezze, o lavorate. Fu poi istituito un dazio sul consumo di sale e tabacco. Forse tra tutte le innumerevoli tasse e gabelle imposte alla gente nei secoli, quella sul sale prima, e sui tabacchi poi, fu senza dubbio quella più odiata, perché vista come una specie di “dispetto, ” senza senso nei confronti della popolazione. Mentre il contrabbando di sale, era conosciuto addirittura da prima del medioevo, quello del tabacco nacque a metà del 1800, ma per adesso in forma molto limitata, fatto da singole persone per il solo uso personale. Questa forma di “contrabbando di protesta” era molto praticato nel territorio Apuano, da sempre territorio “anarchico, ” refrattario a leggi e regole, ed è rimasto attivo fino a tutti gli anni sessanta del novecento. Nei miei ricordi di bambino è ancora ben vivo ciò che accadeva nella “cantina” sotto casa. I vecchi, o almeno a me parevano tali, erano forti consumatori di” tabacco da cicca, ”, come lo chiamavano loro, ma rigorosamente autoprodotto. Tutto nacque, molto tempo prima, quando alcuni bovari carrarini si recarono in Val Di Chiana per comprare vitelli di chianina, destinati a diventare buoi per il trasporto del marmo. Questi intraprendenti carrarini videro che in quelle terre era fiorente la coltivazione dell’“americano,” come lo chiamavano allora. Loro forse non sapevano che tutto il tabacco è americano, comunque qualcuno si procurò i minuscoli semi del tabacco della varietà Kentucky, che era lì coltivata, e lì piantò in primavera, sulle sponde del Carrione. In estate inoltrata le enormi foglie erano pronte per la raccolta, confermando che qui cresceva benissimo. Da allora innumerevoli agricoltori di professione, o improvvisati, si cimentarono nella sua coltivazione. Ciò avveniva in gran segreto, mettendo poche piantine in luoghi diversi, e nascosti, spesso in mezzo al mais, perché in caso di sequestro da parte della Guardia di Finanza, una scorta sarebbe sempre rimasta. In piena estate i vari “contrabbandieri, ” s’incontravano in cantina, dove con fare da cospiratori ottocenteschi, si confidavano i loro segreti sulla concia del tabacco. Al tempo era prevalentemente masticato, tanto che in ogni cantina erano presenti tre, o quattro sputacchiere di metallo smaltato con la segatura al loro interno, per accogliere l’espettorato frequentissimo degli avventori. Dire masticato, non è corretto, perché il lobo di tabacco era posto tra guancia e gengiva, e il frequente passaggio da una parte all’altra dava l’impressione della masticazione, lo sputo nerastro però, era reale, ma al tempo era considerato normale, e nessuno vi faceva caso. Le foglie del tabacco dopo essere state essiccate dovevano essere fatte fermentare, e qui ognuno aveva il suo metodo, ma di regola si procedeva così. Si prendeva una grossa “albanella” di vetro, e dopo averla disinfettata con la grappa, per evitare muffe, vi si metteva il tabacco privato delle nervature centrali, e inumidito con varie sostanze a discrezione del “masticatore, ” che spaziavano da acqua e miele, per finire con infusi di ginepro, mirto, menta, e così via. Quindi si chiudeva ermeticamente e si esponeva ai “soli leone” di agosto, chiaramente in luogo segreto e ben nascosto. Dopo una quindicina di giorni, il tabacco era pronto. Qualcuno lo pressava in uno stampo di legno, caricato con grossi pesi di marmo, per ricavarne una specie di barretta, da dove poi, al momento del consumo, tagliava un pezzetto con il fido coltellino da innesti, affilato come un rasoio. Altri lo mettevano sbriciolato in particolari scatoline d’argento nel taschino del panciotto, e quando la estraevano, pareva stessero maneggiando la coppa del Santo Graal. Alcuni, invece, usavano il tabacco per fiutarlo, o fumarlo nella pipa, o più frequentemente per farsi le sigarette da soli. Il loro metodo di essicazione e fermentazione era assai diverso. Arrotolavano varie foglie, fino a farne un “salame” di circa cinque centimetri, poi, dopo che il forno dove si cuoceva il pane si andava raffreddando, lo ponevano all’interno e chiudevano la bocca con il tappo in lamiera, lasciandolo dentro una notte intera. Quest’operazione era ripetuta varie volte a temperatura sempre inferiore, e poi a mano a mano, con il coltello da innesti, si tagliava il tabacco necessario in strisce sottilissime adatte per essere fumate nella pipa, o per fare le sigarette con le cartine Job comprate in tabaccheria. I fiutatori, in verità pochi, riducevano le foglie in polvere, con il mortaio di marmo, e le aromatizzavano con quello che a loro piaceva di più, poi mettevano il tutto in una scatolina di metallo, da dove prelevano piccolissimi pizzicotti di tabacco. Questi tabagisti, erano considerati dagli altri degli snob, e spesso presi in giro. Si pensi però che in quegli anni l’Italia era considerata leader nella produzione di tabacchi da fiuto. Del resto grandi personaggi del tempo usavano fiutare, tra i più famosi, il compianto Enzo Tortora, il cancelliere tedesco Helmut Schmidt, e addirittura un Santo, padre Pio di Pietrelcina. Nei miei ricordi più vividi, però, resta il perenne ciccare del nonno, con il candido baffo accanto alla bocca macchiato di giallo, e il suo continuo sputare, mentre io e i miei cuginetti, ascoltavamo incantati le sue favole, credendo ingenuamente, che quel ciccare fosse conseguenza all’età, alla stregua dei suoi capelli canuti. Il divieto di produrre in proprio e consumare sale e tabacco, è stato abolito in Italia nel 1970, restando solo il Monopolio di Stato per la vendita. Ormai però, i contrabbandieri anarchici carrarini erano scomparsi da tempo, come i buoi chianini, i veri colpevoli di quest’antico “reato!”
Mario Volpi 26.3.21
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