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Sezione a cura di Mario Volpi
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Orrori a quattro ruote

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Oggi, il mondo automobilistico, è in piena evoluzione, perchè ci si è accorti che sono le auto le maggiori responsabili dell'inquinamento ambientale. E pensare che appena settanta anni fa, erano considerate non solo uno Status Symbol, ma il vero volano economico per far ripartire l'Italia.

I primi decenni del terzo millennio, in Europa, complice anche una nuova coscienza ambientalista di gran parte della popolazione, sta prendendo sempre più piede l’idea di rinunciare ai motori a combustibile fossile, perché inquinanti, privilegiando l’elettrico. Le grandi Case Automobilistiche, superato il devastante scandalo della Volkswagen che truccava le centraline delle proprie auto per farle sembrare “ a norma,” non si sono di certo fatte trovare impreparate, e dopo i primi modelli “ibridi” ossia benzina, e elettrico, ora sfornano diversi modelli di vetture completamente elettriche. Il problema maggiore, che per adesso limita la diffusione dell’elettrico, oltre al costo delle auto, non proprio economico, è la percorrenza chilometrica effettuabile con una “carica,” il tempo, il peso e le modalità di ricarica, delle batterie. Una ricarica anche veloce richiede non meno di un’ora, e oltretutto le colonnine di ricarica, sono per adesso pressoché introvabili. Certamente, in pochi anni questi problemi saranno superati, anche grazie ai veri e propri passi da gigante che è capace di fare la moderna tecnologia, soprattutto quando è legata a una qualsivoglia forma di ritorno economico. Le auto di oggi, oltre che tecnologicamente avanzate, sono esteticamente molto belle, anche se i designer devono sottostare alle ferree regole imposte dal Cx, ovvero il coefficiente di penetrazione aerodinamica, necessario per contenere i consumi. Nel primo dopo guerra italiano invece, i problemi ecologici e di consumo, non erano neppure conosciuti, mentre diverse Aziende cercavano disperatamente di ripartire, convertendo la loro produzione da bellica in civile. La più grande e famosa tra queste era sicuramente la Fiat, che nei primi anni del 1950, per sostituire la ormai datata e antiquata “Topolino” lanciò sul mercato la sua prima “utilitaria” moderna; la 600. Spinta da in quattro cilindri raffreddato ad acqua, aveva un designer non certo accattivante, ma al tempo gli italiani badavano più alla sostanza che alla forma, e questa piccola Fiat ebbe un successo stratosferico. Una fabbrica di frigoriferi, la Iso Rivolta, decise di diversificare la sua produzione e costruire mini auto e motociclette. Realizzò così una micro auto a due posti, con la carrozzeria a forma di “ovetto,” con solo tre ruote, spinta da un motore motociclistico da 250cm cubici che erogava la fantastica potenza di ben 12 CV. Il designer era più che bizzarro, basti pensare che la “Isetta” come venne affettuosamente chiamata, aveva un’unica porta anteriore, che spostava nel movimento anche il volante. Questa mini car  fu esposta al Salone dell’Auto di Torino nel 1950, e ebbe a detta di molti, un colpo di fortuna. La tedesca BMW, era sull’orlo del fallimento, dopo le vicende belliche, e i suoi dirigenti erano alla disperata ricerca di un modello da produrre a basso costo, che portasse denaro fresco nelle casse della Ditta. Appena videro la micro car italiana, ne acquistarono immediatamente non solo la licenza, ma l’intera linea di produzione. Altro fulgido esempio di diversificazione, lo dette la Bianchi, famosa fabbrica di biciclette, che produsse una mini car, veramente lillipuziana, la “Bianchina” ricordata per essere stata l’auto di Fantozzi, nei fortunati film di Paolo Villaggio. In Italia però, il picco delle vendite di auto si ebbe, durante il cosiddetto ”miracolo economico,” ossia dagli anni sessanta, fino ai primi del settanta. Gli italiani scoprirono che, magari firmando chili di cambiali, era possibile acquistare un vero e proprio Status Symbol: l’auto. Anche se la Fiat aveva quasi il monopolio delle vendite, ci furono diverse eccezioni a questa regola. Prima di tutto bisogna precisare, che i futuri automobilisti del tempo seguivano tre regole fondamentali nella scelta dell’auto da comperare. La prima indiscussa, era il costo della stessa che doveva essere il più basso possibile, la seconda i consumi, e per ultima la manutenzione che doveva essere facile e poco costosa. Così, per ottenere queste cose si doveva per forza di cosa chiudere gli occhi sull’estetica della vettura. I Costruttori lo capirono immediatamente, e cominciarono a produrre vetture progettate magari decenni prima, ma che adesso erano quasi certi del successo nelle vendite. Una di queste auto tanto brutte quanto famose, fu certamente la Citroen 2Cv. Chiamata anche la “lumaca di latta” questa vettura aveva quattro spartani posti, costituiti da semplici sedili tubolari con seduta in tela, un “potente” motore bicilindrico raffreddato ad aria di ben 9 Cv di potenza, un cofano piegato verso terra, e il tetto in cotone impermeabile. La sua forza erano le sospensioni molto morbide, che la aiutavano a superare agevolmente le asperità delle pessime strade bianche di allora. Fino agli anni ottanta furono decine gli “orrori” prodotti dalle Case Automobilistiche, alcune divenute famose proprio a causa del loro designer stravagante. Si chiamavano NSU Prinz, Anglia, Laka, Skoda, Simca, solo per citare le più note. Nonostante queste brutture, però, i mitici e ruggenti anni sessanta, hanno avuto il merito di fare emergere i grandi Carrozzieri italiani, come Bertone, Ghia, Zagato, e Pininfarina, che da quegli anni in poi, avranno fatto conoscere al mondo l’inconfondibile “Italian Style.
Mario Volpi 24.9.22
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