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Sezione a cura di Mario Volpi
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Conservare i ricordi

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione

Il progresso come una gigantesca mietitrebbia, falcia e macina, i suoi stessi figli, appena generati e già fagocitati dalla bramosia del "più nuovo!" Sarà una buona politica? Io ho dei dubbi!
Fin dalla preistoria, l’uomo ha sentito il desiderio di immortalare, per i posteri i momenti salienti della propria vita. Non ha caso in alcune grotte abitate da uomini del Paleolitico, si trovano splendide pitture rupestri, certamente fatte per ingraziarsi gli dei, ma anche per lasciare un ricordo per le generazioni future. I sovrani e i potenti di un tempo, si facevano erigere statue gigantesche con le proprie sembianze, per farsi ricordare dal popolo. Nel Rinascimento, ricchi committenti, ordinavano ad artisti famosi quadri che ritraevano sia loro, che i componenti della propria famiglia. Nel 1600, era già in uso la Camera Oscura. Questo dispositivo, di solito una piccola cabina dotata di uno specchio, era frequentemente usato dai pittori, che dall’interno del dispositivo, potevano tracciare con buona approssimazione i contorni del soggetto inquadrato, anche se al contrario. Ma è solo nel 1839, che in Francia fu realizzata in legno con un sistema scorrevole per la messa a fuoco, l’antesignana della moderna macchina fotografica, che sarà chiamata Dagherrotipie. Questo dispositivo, permetteva dopo aver inquadrato il soggetto, di proiettarlo su una lastra di rame impregnata di sostanze chimiche che reagivano alla luce, restituendo l’immagine in negativo. Fu veramente un’invenzione epocale, potere trasmettere ai posteri immagini di persone, luoghi o avvenimenti, così com’erano in quel momento preciso, e non dipinti come si faceva un tempo. Fu agli inizi del 1900, che un geniale uomo d’affari americano intuì il potenziale economico di questa nuova scoperta. Fondò un’azienda, con un nome di fantasia, Kodak, che sarebbe diventata un gigante nel settore fotografico. Costruì a basso costo, una piccola macchina fotografica, a fuoco fisso, contenete la pellicola per cento foto. I consumatori potevano usarla e quando erano finite le pose, la inviavano alla Kodak, che in una settimana gli la rispedivano caricata con altre cento foto assieme a quelle fatte, stampate su carta. Il successo fu enorme. Come spesso accade però, fu lo scoppio della seconda guerra mondiale, che fece compiere un gigantesco balzo in avanti alla fotografia. Furono inventate macchine fotografiche, e ottiche, sempre più sofisticate, da quelle ad alta velocità montate sugli aerei, a quelle miniaturizzate per lo spionaggio, per finire a quelle autofocus o all’infrarosso, per la foto in scarsità di luce. Anche per i non professionisti l’industria partorì macchine completamente automatiche, a prova di errore, con un costo relativamente accessibile così da favorire la diffusione capillare tra la gente. Le pellicole cambiarono il loro formato in uno standard chiamato 35mm, ebbero anche loro il loro periodo d’oro, diventando a colori, e con sensibilità adatte per ogni tipologia di ripresa fotografica. Ora lo sviluppo era possibile in appena un’ora, e il costo delle stampe fotografiche calò drasticamente. Fu inventata la diapositiva, una pellicola che si sviluppava subito in positivo e ogni fotogramma era montato su un telaietto di plastica. Proprio per questo il suo costo era bassissimo mentre la cromaticità era molto elevata. Questa tipologia di foto ebbe un successo immediato soprattutto nel settore commerciale e aziendale, perché tramite un proiettore era possibile integrare una conferenza con foto in sequenza magari con musica in sottofondo. Ma da questo momento in poi successe qualcosa che in meno di un decennio cambiò completamente il modo di fare fotografia. Stava avanzando a grandi passi la fotografia digitale. Questa consisteva nella possibilità di scattare una foto senza pellicola e soprattutto senza stampa, perché subito visibile sul piccolo schermo a LCD della fotocamera digitale. Anche la cinematografia amatoriale subì un drastico cambiamento, dai poco pratici film su pellicola 8mm e super 8, si passò di colpo alle fotocamere digitali, che registrava su una piccola cassetta magnetica, per poi rivedere le immagini così acquisite sulla TV domestica. Questo era possibile grazie ad una nuova invenzione i videoregistratori, o direttamente con un piccolo cavo di collegamento dalla TV alla fotocamera. Paradossalmente questo progresso tecnologico porterà la Kodak, a dichiarare fallimento nel 2012, colpevole di non aver capito il nuovo indirizzo della fotografia, proprio lei che ne era stata l’artefice del successo mondiale. Il progresso è inarrestabile e dopo pochi anni il digitale cambia ancora. I videoregistratori spariscono, sostituiti da DVD, ossia apparecchi che leggono le informazioni su un disco di plastica. Pochi anni e anche questo sparisce, sostituito dalle cosiddette Chiavette USB, capaci di immagazzinare Gigabyte d’informazioni, siano queste filmati, foto, o scritti. Anche quest’accessorio informatico ha le ore contate, visto il progredire dei telefonini, capaci di immagazzinare e ritrasmettere via internet milioni d’informazioni. Così per la voglia sfrenata di conservare ricordi, si è ottenuto l’effetto contrario. I filmati di famiglia ripresi in VHS, ora sono completamente inservibili, visto, che ormai questi strumenti sono introvabili, così come per i DVD, relegati a essere riprodotti solo su computer, come le foto degli anni settanta, sviluppate su carta di bassa qualità, con mini lab, e sostanze chimiche a basso costo, ora sono quasi del tutto sbiadite, coperte da un poco piacevole colore giallo. Stessa sorte delle diapositive, relegate ora, vista l’irreperibilità di proiettori, a oggetti da collezionisti. Stessa cosa per le riprese professionali filmate su nastro magnetico, nel tempo sono soggetti alla smagnetizzazione con conseguente perdita del filmato, tanto da costringere la Rai a riversare su pellicola tradizionale il suo immenso archivio. Al contrario di tutto ciò le foto, in bianco e nero scattate su lastra di vetro dei primi anni del 900, non solo sono ancora ben visibili, ma la loro qualità è identica al giorno dello scatto, a testimoniare che non sempre il moderno è meglio dell’antico.

 
Mario Volpi
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