Quando eravamo tutti contadini
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Il modo di vivere, e di pensare in Italia è drasticamente cambiato nel corso di pochi decenni. Perfino alcuni mesi dell'anno, che oggi per noi sono forieri di festività, vacanze o gioia, erano un tempo visti con un'ottica diversa, non certamente positiva. Ma a parte questo, penso che nel vivere di un tempo non tutto fosse sbagliato, e che magari......
Quando eravamo tutti...contadini!
In un tempo neppure tanto lontano, l'Italia e la quasi totalità dei suoi abitanti, era un Paese prettamente agricolo, che seguiva riti e tradizioni vecchie di secoli, molto lontane dalle abitudini e dal modo di vivere di oggi. Prendiamo, ad esempio, il mese di dicembre. Oggi questo è un mese di gioia e di attesa, per le festività Natalizie, i regali che ne conseguono, le eventuali vacanze in luoghi esotici, o in località sciistiche, ma un tempo non era propriamente la stessa cosa. E' ovvio che anche allora si festeggiava il Natale, ma in modo molto diverso da oggi. Questo era dovuto non alla cattiva volontà della gente, ma solamente dalla miseria che in quegli anni attanagliava il Paese. Dicembre era da considerarsi l'inizio del periodo invernale, che portava con se, una drastica diminuzione nella varietà alimentare, al tempo ricavata interamente in modo autarchico dai prodotti della terra. Così erano disponibili, se qualche gelata improvvisa non li rovinava, solo cavolo nero,cavolfiore, cicorie amare, finocchi e bietole. Le massaie erano maestre nel preparare enormi paioli di minestrone con queste verdure, che duravano diversi giorni, magari con l'aggiunta di qualche pezzo di pane casereccio raffermo, duro come il cemento. Era invece atteso con impazienza, sopratutto da noi bambini il mese di gennaio, per un avvenimento che portava, quello si, una ventata di gioia e di novità nella triste e misera quotidianità alimentare; l'uccisione del maiale.
Si aspettava con impazienza la prima gelata, perche al tempo i frigoriferi erano aldilà da venire, e quindi si doveva avere l'aiuto della Natura per la conservazione della carne. Stabilito il giorno, si chiamava "il porcaro" di solito un macellaio itinerante, e a seconda del numero dei capi da macellare, anche parenti, e donne e uomini del vicinato. All'alba le donne mettevano sui camini a bollire grandi quantità di acqua, mentre gli uomini preparavano le scale a pioli dove sarebbe stato adagiato l'animale per la pelatura, e le carrucole sotto il porticato dove sarebbe stato appeso per lo squartamento. Il fattore con il porcaro armato di "coratella"( un lungo punteruolo) si recavano alla porcilaia. Si metteva un po di cibo fuori dalla porta per invitare l'animale da uscire, ma spesso l'istinto lo avvertiva che c'era qualcosa che non andava e si rifiutava di lasciare il porcile. Allora il fattore, gli legava una corda ad un piede e aiutato dagli uomini lo trascinava fuori, qui veniva sdraiato su un fianco e il porcaro dopo avergli alzato la zampa gli infilava la coratella cercando di colpire il cuore. Le urla della povera bestia erano udibili a chilometri di distanza, ma questo era un bene, perche vi era la credenza che favorisse l'uscita di tutto il sangue facendo venire la carne più bianca. Quando l'animale era quasi morto, lo si scozzava, badando di raccogliere con un secchio il sangue, che sarebbe diventato delizioso sanguinaccio. Seguiva la pelatura, con l'acqua bollente e l'ausilio di grossi coltelli, quindi una seconda pulitura, spesso con alcuni limoni, e in alcuni casi la strinatura per eliminare qualsiasi setola. Quindi dopo averlo appeso, si passava allo squartamento. Questo, specialmente per i contadini in mezzadria, era un'operazione da compiere con precisione quasi maniacale, perchè metà era del padrone, e quindi non doveva essere ne in più ne in meno. Le donne prendevano l'intestino e andavano a lavarlo meticolosamente, perche il giorno dopo sarebbe stato usato per fare salsicce e mortadelle. Il macellaio intanto "smontava" letteralmente il maiale, sezionandolo in pezzi più o meno pregiati pronti per la lavorazione che avrebbe avuto luogo l'indomani. I pezzi di carne, chiusi in pentole, padelle, e casseruole, erano messi alla "serenella" ossia sui davanzali delle finestre esposti al gelo notturno per la frollatura. Era il giorno dopo che per noi bambini era una vera festa. La lavorazione avveniva nella cucina della fattoria, con il fuoco nel camino che intiepidiva la stanza, e non fuori a tremare di freddo come il giorno precedente, ma era un'altra cosa che noi aspettavamo con ansia. Il macellaio portava anche un grosso tritacarne, che serviva per macinare il preparato che sarebbe diventato salsiccia, noi bambini a turno giravamo la manovella, aspettando con ansia la nostra ricompensa. Dopo aver macinato in giusta proporzione grasso e carne magra, vi si aggiungevano spezie e sale quindi dopo una vigorosa mescolata il fattore prendeva un poco di impasto, e dopo averlo messo nei testi di terracotta lo metteva a cuocere nel camino, poi lo adagiava su di un pezzo di pane casereccio e ce lo dava. Io a distanza di più di mezzo secolo ho ancora in bocca quel delizioso sapore che non ho mai più provato. Oggi, a parlare di uccisioni di animali, sembra quasi una provocazione verso questa nostra Società che si scopre sempre più animalista, ma la verità era ed è, ben diversa. Questo rito antichissimo, oltre ad essere considerato una festa di aggregazione delle comunità contadine del tempo, era una vera e propria azione"salvavita" perchè permetteva alla gente di arricchire, durante i lunghi mesi invernali, la loro dieta con grassi e proteine, indispensabili in un'alimentazione composta esclusivamente da vegetali. Per quanto riguarda gli animali poi, penso che la qualità della vita di quelli di un tempo che, solo dopo aver compiuto il loro ciclo naturale, erano uccisi in fattoria, non sia neppure paragonabile a quella degli animali allevati oggi industrialmente, riempiti di medicinali, nutriti con sostanze fuori della loro natura, e macellati in modo inumano, solo per fare profitto. Ma chi compra la fettina ben confezionata in uno splendente banco del supermercato, non ci pensa neppure!
Mario Volpi
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