Da speziale a farmacista
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Molti affermano che avere una Farmacia oggi, equivalga
a possedere una miniera d'oro. Sarà certamente vero, ma io credo che non sia
stato solo il fattore economico a fare arrivare le Farmacie italiane ad essere
giudicate le migliori d'Europa!
Per secoli è stato lo speziale, delegato a fornire medicamenti veri o presunti alla popolazione. A mezza strada tra un erborista, e un droghiere, si destreggiava tra infusi, e decotti d’erbe officinali, e “spiriti,” per fare i liquori. La riforma Giolitti, nel 1913, mise un po’ d’ordine nella materia, e si può affermare che da lì nacque la moderna farmacia, come la intendiamo oggi. La terribile pandemia di Covid 19, che ha colpito l’intero pianeta, ha messo in luce di come le farmacie italiane siano ormai parte integrante del Sistema Sanitario Nazionale. Anche se la gran parte di queste sono gestite da privati, hanno dimostrato di svolgere, con abnegazione e professionalità, un servizio essenziale per la salute dei cittadini. Anche in piena pandemia, questi professionisti hanno continuato a erogare i loro servizi, e purtroppo, trenta di loro, questa abnegazione l’hanno pagata con la vita. In pochi decenni, le farmacie italiane sono profondamente cambiate. Innanzi tutto anche a causa dell’aumento della popolazione, sono cresciute di numero di quasi un terzo, ma principalmente hanno radicalmente cambiato la loro “architettura” interna. Oggi una farmacia moderna, è situata in un ambiente ampio e luminoso, dove il banco di vendita non è più il fulcro del locale, ma quasi una “cassa,” simile a quella dei supermercati. Il retrobottega è diventato minuscolo, mentre è aumentato a dismisura il numero degli articoli esposti in scaffalature che tappezzano il locale. Dai cibi e giocattoli per la prima infanzia, alla profumeria più specialistica, dagli articoli sanitari, fino ad arrivare a prodotti dietetici e integratori vari, tutto questo è venduto in farmacia, insieme naturalmente ai medicinali veri e propri. Anche la figura del farmacista è profondamente cambiata. Oggi è un laureato che ha dovuto frequentare un Corso Universitario quinquennale, superare un esame di Stato, e un tirocinio di sei mesi in una farmacia, prima di poter appuntarsi sul camice il Caduceo simbolo della professione. E qui, io da nonno, non capisco un giovane che decide di affrontare questi sacrifici, oltre alle ingenti spese economiche, per arrivare, quando e se troverà un’occupazione, a svolgere mansioni molto simili a quelle di un commesso, e a percepire uno stipendio spesso inferiore a quello di un operaio. Ma questo è un mio pensiero, che nulla toglie alla stima e al rispetto che nutro, da sempre, per questa categoria professionale. E’ ancora ben viva nella mia memoria la figura di Umbè, il farmacista. Io ero molto piccolo, e spesso mia madre mi portava nella farmacia della borgata, per farmi vedere da lui per un taglio che mi ero procurato giocando, o una brutta tosse, o per la “frore,” come al tempo si chiamavano in dialetto gli eritemi, spesso provocati da erbe o punture d’insetto. Questo personaggio, era un tipo basso e corpulento, con radi capelli bianchi che ormai gli cingevano il capo come una corona, lasciando completamente calvo il centro. Aveva degli occhiali con una grossa montatura di celluloide che un tempo doveva essere stata bianca, ma che adesso tendeva al grigio sporco. Sempre sorridente, era molto gioviale, e quasi sempre, dopo avermi esaminato, con una mano mi “sbaruffava,” i capelli, mentre, “ per magia,” con l’altra, tirava fuori dalla tasca del camice consunto, una pastiglia verde di Valda, una vera leccornia al tempo. La sua farmacia mi incuteva un senso di timore riverenziale. Era posta in un imponente edificio, proprio di lato alla strada Provinciale che portava in paese. L’interno era sempre in eterna penombra, e odorava di legno e di spezie. Il banco di legno massiccio, era ricoperto da una lastra di marmo arabescato, di alto spessore, con i bordi stondati, alle sue spalle, una pesante scaffalatura di legno, sorreggeva su lunghe mensole, una serie infinita di vasi di ceramica decorata di varie misure, con scritte incomprensibili azzurre, mentre sui due lati esterni, una tenda di corde di canapa proteggeva l’entrata all’immenso retrobottega. Io spesso sgattaiolavo, sfuggendo dalla mano di mia madre, e mi mettevo a spiare tra le corde delle tende, quel luogo misterioso. Era pieno di fornellini accesi, e strane bottiglie, con i colli lunghi e ritorti, che finivano in lunghe ”viti,” di vetro, e gli immensi scafali pieni di bottigliette di vetro scuro, con etichette piene di strani segni. Le rare volte che il medico veniva a casa per visitare la vecchia nonna, o io andavo nel suo ambulatorio, per qualche malanno, rimanevo stupito, non capendo perché Umbè, sia per me, che per la nonna, dava la stessa medicina. Questa era messa dentro una piccola bottiglietta di vetro marrone, con sul tappo la pompetta di gomma del contagocce. Solo quando fui più grandicello mi spiegarono che non era la stessa medicina, e che Umbè la preparava nel retrobottega, secondo le indicazioni del dottore. Non ho mai saputo se anche Umbè fosse medico, ma di certo sapeva fare il suo mestiere. Anche al tempo, infatti, la farmacia era al centro della vita quotidiana del paese. Ci si rivolgeva a lui per avere la “polverina,” per conservare la salsa di pomodoro, quella per fare i fermenti lattici per il bebè appena nato, oltre naturalmente per comperare il veleno per i topi che infestavano il granaio, o il prodotto per conciare le pelli d’agnello. Era anche un vero mago nello stabilire la gradazione del vino, nel correggerne con la sue magiche polverine gli eventuali difetti, per arrivare a saper curare gli animali. Dagli anni sessanta, l’industria farmaceutica ha fatto passi da gigante, sfornando medicinali industriali in formato di pasticche o sciroppi, ma soprattutto iniezioni pronte all’uso, e standardizzate, questo ha messo in soffitta i preparati “galenici,” di un tempo, Anche in questo campo, l’Italico ingegno ha manifestato la propria grandezza, e nomi come Carlo Erba, Archimede Menarini, o Francesco Angelini, solo per citare i più famosi, sono lì a dimostrarlo. In poco più di un secolo, si è passati dall’infuso di erbe officinali, alla terapia genica, e speriamo tutti che non finisca qui!
Mario Volpi 16.8.21
Racconti di questa rubrica