I fioli dla guera
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Una ricerca recente ha stabilito che l'Italia è il
Paese con il più basso tasso di natalità. E pensare che appena settanta anni
fa...
Alcuni
studiosi, hanno ipotizzato che l’umanità, dopo le catastrofi che l’hanno
accompagnata nei millenni, si comporti come un unico organismo, che per
difendersi dall’estinzione, provoca misteriosamente un amento esponenziale
delle nascite.
Non
so se questa teoria sia giusta, o sia solo un’invenzione, so solo che dopo la
fine della seconda guerra mondiale, l’esplosione demografica c’è stata per
davvero. In Italia, dal 1945, al 1955, si è registrato un incremento di
natalità tale, che gli studiosi di demografia hanno chiamato “baby boom.”
Io
stesso sono il risultato di tale periodo, e posso assicurarsi, che nonostante
la miseria galoppante, la mia è stata un’infanzia meravigliosa. I bambini erano
numerosissimi, tanto che le classi di scuola elementare con quaranta alunni,
erano la norma. La crisi degli alloggi, era fortissima, per cui vivere in dieci
o dodici, in due ambienti, senza acqua corrente, né servizi igienici, era normale,
ecco perché per noi bambini la strada era la nostra “stanza dei giochi.” Anche
l’abbigliamento era più che spartano. I calzoncini corti erano usati sia
d’estate sia d’inverno, mentre il “sopra, ” come si diceva al tempo, era
costituito dalla canottiera in estate, e una maglietta a maniche lunghe in
inverno. Le calzature maggiormente usate erano gli zoccoli, dalla primavera al
periodo estivo, e un paio di scarpe alte chiuse in inverno, che erano passate
da fratello a fratello, e frequentemente risuolate dal ciabattino. Anche i
giochi, erano rigidamente codificati, in quelli da “fuori” e quelli da “dentro,
” a seconda se piovesse o vi fosse il sole. Le aie, a quel tempo ospitavano
vere legioni di bambini di ogni età, ma nei giochi, erano rigidamente divisi in
maschi e femmine. A tal proposito devo dire che il nostro “giocattolo, ” più
prezioso era la fantasia, perché di reale vi era ben poco. Così le bambine
giocavano in prevalenza alle “mamme, ” con bambole di pezza, e i “coccioletti, ”
ossia delle mini stoviglie, di terra, che costruivano da sole impastando il
fango. Per i maschi invece, il gioco predominante era “alla guerra, ” con improbabili
fucili fatti di rami, o con le cerbottane, ricavate dal pennacchio cavo delle
canne di palude, con i proiettili costituiti dalle minuscole bacche di una
pianta spontanea somigliante al Sambuco. Nascondino, al Lupo, Piastra e
Lattino, e la Lippa, insieme alle biglie di terracotta, erano altri giochi
molto comuni Se pioveva invece, ci si riparava sotto qualche balcone, o in
qualche fienile, e si giocava “ai nozli, ” (ai noccioli) con i noccioli di
pesca messi da parte a questo scopo. Questi erano i giochi praticati dai
bambini di una fascia d’età che arrivava circa da sei a dieci, undici anni. Per
quelli più grandicelli, il gioco era visto come una competizione con i compagni,
un’occasione per distinguersi, e nello stesso tempo utile per incrementare, il
magro desco famigliare, con prodotti sia animali, che vegetali, che il
territorio forniva secondo le stagioni. Così si andava per asparagi, cercando
di “vincere, ” i compagni nel numero di asparagi raccolti, o per castagne,
cercando di andare più vicino possibile alla casa del padrone del castagneto
senza farsi vedere, e soprattutto senza farsi prendere se visti. Stesso
criterio era usato per la raccolta dei funghi, delle rane o lumache, per
arrivare al saccheggio dei nidi. Oggi a raccontare certe cose provo vergogna,
ma al tempo sembrava normale. Si saccheggiavano dai nidiacei i nidi di Averle,
e Passeri, mentre per le prime il destino era la casseruola, per i secondi,
alcuni erano allevati a mano, e quando adulti, usati come richiamo per
catturare con trappole e vischio altri esemplari. Stessa sorte era riservata ai
cardellini, mentre in autunno, le nostre prede abituali erano i pettirossi,
insidiati con l’archetto, innescato con la camola della farina. Il periodo
dell’anno più bello era sicuramente la fine della scuola, cosa che ci
permetteva di vivere praticamente in strada tutto il giorno. Ricordo ancora con
nostalgia le raccolte collettive, di amarene, more, corbezzoli o mortelle, che
poi, con l’aggiunta di un po’ di zucchero portato da tutti, consumavamo assieme,
magari sotto un portico, dividendoceli equamente, serviti su un piatto di
foglie di platano o castagno. Epiche erano le “grigliate, ” di anguille pescate
dopo un temporale estivo con la” mazzacora, ” (un mazzo di lombrichi legato con
uno spago all’estremità di una canna) e arrostite in modo più che sommario, a
un fuoco di arbusti in mezzo a qualche aia. Certamente un Santo metteva la sua
mano sul nostro capo, per evitarci qualche salmonellosi o peggio. Oggi questi
giochi sono totalmente scomparsi, e sono sconosciuti alle nuove generazioni.
Ieri entrando in casa ho visto mio nipote di nove anni indaffarato davanti al
PC. Al mio saluto, mi ha risposto quasi stizzito, “nonno non mi distrarre che
altrimenti mi fanno fuori!” Stava combattendo una battaglia di carrarmati con
quindici giocatori mai visti, che risiedevano dal Giappone, fino alla Norvegia.
Questi sono i divertimenti delle nuove generazioni, che certamente
svilupperanno l’intelletto, ma che sono carenti per quanto riguarda la
socializzazione con altri bambini. Oggi, la natalità in Italia, è calata
drasticamente, frutto di una mentalità della gente profondamente cambiata. Per
fortuna, anche il tenore di vita è enormemente migliorato, lontano anni luce da
quello del primo dopoguerra. Il benessere economico e sociale, ha protetto, e
protegge, i nuovi nati, riservando loro un futuro più roseo e sicuro, ma
privandoli del piacere di un’infanzia più a misura di bambino, che ha contraddistinto
i “fioli dla guera.”
Mario Volpi 10.10.21
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