Provare per credere
Attualità
Spetta/Le Redazione
A noi "uomini moderni," un bosco visto di
giorno ci appare un luogo paradisiaco ma di notte ...
Alcuni
giorni fa, ricevetti una telefonata del mio caro amico Alfio da Torino, che mi
chiedeva se era possibile trovare una sistemazione per il camper del figlio che
aveva intenzione di venire a Carrara per alcuni giorni. Alfio ed io siamo
praticamente cresciuti insieme, frequentando perfino la stessa scuola, fino
agli inizi degli anni sessanta quando, tutta la sua famiglia si trasferì a
Torino perché al padre era stato offerto il lavoro alla Fiat. Naturalmente gli
risposi che avrei messo a sua disposizione il piccolo appezzamento di terreno
che possedevo di fianco a casa, e che sarebbe potuto rimanere quanto voleva.
Suo figlio, Ivan, lo avevo visto crescere anno dopo anno, perché per decenni
Alfio faceva le ferie estiva nella sua vecchia casa, a Carrara, fino a quando
decise di venderla, e da circa tre anni non lo avevo più rivisto. Ieri Ivan è
arrivato nel tardo pomeriggio. Aveva un furgone sapientemente trasformato in
camper, con attaccato sulla parte posteriore due biciclette da corsa. Infatti,
non era solo, e mi presentò la sua ragazza che timidamente mi dette la mano con
un sorriso di circostanza. Io e lui ci conoscevamo abbastanza bene, e così gli
dissi che potevano usufruire della doccia di casa mia, prima di consumare una
cena a base di pesce che mia moglie aveva preparato per loro. Accettarono con
entusiasmo, e poco dopo, lavati, cambiati, e profumati, sedevano al tavolo che
per l’estate metto sulla terrazza. Io, abito in periferia, in una casa
centenaria, che sorge tra il verde del bosco, proprio dove comincia il Parco
delle Apuane. Verso sera un leggero vento da Nord, rinfresca queste torride
giornate, e devo dire che nella serata la temperatura diventa più che
gradevole. Mentre aspettavamo di mangiare, venni a sapere che essendo ambedue
appassionati ciclisti, volevano visitare in bici questo pezzo di costa Toscana
dalla foce del fiume Magra, fino alla Versilia, e avevano bisogno di un posto
per lasciare il camper in sicurezza. Li rassicurai ancora una volta sul fatto
che oltre che un posto sicuro, avevano la possibilità di fermarsi quanto
volevano. Dopo un abbondante piatto di spaghetti allo scoglio, una croccante
frittura di barca, annaffiata generosamente da due bottiglie di Vermentino dei
Colli di Luni, anche Elena, la sua fidanzata, si sciolse, e parlava fitto,
fitto con mia moglie. Studiava storia dell’arte all’Università, infatti la loro
seconda tappa sarebbe stata Firenze. Era una gran bella ragazza, con i capelli
lunghi di un bel castano carico, che contrastavano con l’incarnato
bianchissimo, quasi diafano. Intanto l’oscurità cominciava a scendere, ed io dopo
aver acceso la lampada attinica antizanzare, feci per accendere la luce posta
al centro del gazebo, ma Ivan mi chiese di non farlo perché quella penombra
azzurrina con quel mare di verde intorno era una sensazione troppo bella per
sciuparla con la luce. “ Speriamo che non abbiate paura del Baffardello” disse
ridendo mia moglie. La ragazza chiese cosa fosse, ed io le risposi che secondo
le credenze popolari era uno spirito maligno che si divertiva a fare dispetti,
e soprattutto a sedersi sul petto di chi dormiva. Alfio, ridendo, rispose che
ormai le persone di oggi non credono più a spiriti e fantasmi, che l’uomo si è
evoluto dall’ancestrale paura di un tempo. “ Non sono d’accordo” risposi, “io
penso che sono enormemente cambiate alcune situazioni e modi di vivere, che
certamente hanno aiutato ad avere un atteggiamento più razionale verso la
paura, ma questa esiste ancora, eccome!” Elena cercò di spalleggiare la teoria
del fidanzato dicendo che le credenze e le paure di un tempo erano figlie
dell’ignoranza, e che oggi, con il livello culturale enormemente più elevato
queste non fanno più presa sulla gente. Mia moglie arrivò con quattro coppette
di delizioso gelato artigianale, che io, e dopo alcuni finti complimenti, anche
Ivan, affogammo generosamente in Whisky invecchiato quindici anni. Poi, con un
sorriso, dissi che mia madre raccontava che quando era bambina, le persone del
paese si affrettavano a rincasare al Vespro suonato dalle campane, sia d’estate
sia d’inverno, perché al crepuscolo dal bosco poteva uscire “d’om senza testa”
(l’uomo senza testa) un povero paesano che il Marchese aveva fatto decapitare
perché aveva ucciso un cervo per sfamare la famiglia. I due ragazzi risero di
gusto, ed Elena rispose che oggi un uomo senza testa non farebbe più paura a
nessuno; anzi che il sentimento della paura, non esiste quasi più. Ora
l’oscurità era totale, e solo la luce azzurrina della lampada rischiarava il
tavolo. Un miliardo di lucciole avevano accesso le loro luci intermittenti,
mentre i grilli cominciavano il loro concerto notturno. Il bosco posto a una
decina di metri, completamente scuro era quasi inquietante. “Che pace, che
silenzio” disse Elena, rivolgendosi a mia moglie “siete davvero fortunati ad
abitare in un posto così.” Accade in un secondo. “L’abbaiare” roco e inquietante
di un capriolo, nascosto a pochi metri nel buio del bosco, fece sobbalzare
letteralmente i due giovani, che terrorizzati, scattarono in piedi e corsero
verso la casa. Io con un sorriso li tranquillizzai, dicendogli che quel verso
mostruoso era emesso da una creaturina di sessanta centimetri, e di una
docilità estrema. Ma poi non riuscì a trattenermi dal dire ironicamente “cosa
mi stavate dicendo sulla paura? Provare per credere!”
Mario Volpi 25.6.22
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