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Scrivere bene

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Il progresso ha profondamente modificato lo stile di vita delle persone, eliminando per sempre azioni che un tempo erano alla base del convivere civile. Una delle più importanti era certamente l'invio di lettere e biglietti. Ogni avvenimento era seguito o preceduto da un biglietto. Dalla qualità della scrittura, della carta, e  perfino dell'inchiostro, si capiva l'importanza del mittente e del destinatario. Oggi, al massimo ci si scambia un messaggino, ma spesso neppure quello, così oltre alla bella calligrafia è sparito anche il bon ton.
Bella calligrafia

















Nell’era dei computer e dei messaggini Sms, è certamente anacronistico parlare di bella calligrafia, ma soltanto cinquanta anni fa questa forma d’arte veniva addirittura insegnata nelle scuole, perché era basilare nella formazione professionale dei futuri impiegati, indispensabile in attività commerciali private, ma soprattutto nella funzione pubblica. Nelle anagrafi comunali, ad esempio, l’Ufficiale Anagrafico, scriveva su un apposito registro in bella calligrafia e rigorosamente a mano, le nascite, le morti, i matrimoni ecc. e questo fino a pochi decenni fa.
La calligrafia è l’arte di tracciare i caratteri in modo ornamentale. Era molto diffusa nel medioevo, soprattutto nei monasteri, dove i monaci amanuensi copiavano antichi testi con una calligrafia molto chiara e rotonda, formata da un carattere che s' ispirava a quello usato dagli antichi romani, da qui il nome di Romano. Era assai diffusa l’usanza di impreziosire la prima lettera del capoverso con elaborate miniature, spesso più pregevoli del libro stesso, arte in cui eccelse anche un certo Fra Giovanni da Fiesole, meglio conosciuto nel mondo dell’arte con il sopranome di Beato Angelico.
Con l’invenzione dei caratteri mobili da stampa a opera di Johann Gutenberg nel XV secolo, la bella calligrafia subì una battuta d’arresto, per ritornare prepotentemente alla ribalta nei primi anni del XIX secolo ad opera di William Morris, scrittore e artista, da molti considerato il padre dei moderni designer, che fu fondatore del movimento Arts and Crafts. Certo un tempo scrivere non era cosa semplice, si usava comunemente una penna d’oca ma al contrario di quanto si possa pensare, per il suo uso era necessaria una lunga e laboriosa preparazione.
Erano utilizzate solo le cinque penne remiganti di ciascuna ala, che, al contrario di quanto ci e stato mostrato al cinematografo per anni, venivano completamente sbarbate, ad eccezione di un piccolo ciuffo terminale chiamato pennacchio, tagliato un piccolo pezzo dalla punta e pulite all’interno,  le penne venivano  messe a seccare per oltre un anno, dopo di che si eseguiva la “tempera” che ricordava molto quella che i fabbri usavano per le spade.
Questa operazione era molto delicata e veniva eseguita da personale esperto, consisteva nello sfregare la punta della penna opportunamente tagliata, in una scodella di solito in rame, piena di sabbia arroventata, fino a quando la colorazione bianca del fusto della penna spariva e diventava quasi trasparente, segno questo che il processo di indurimento era terminato.
Per quanto possa sembrare incredibile dietro al commercio delle penne d’oca prosperava una vera e propria industria, paesi come la Polonia, la Lituania e la Pomerania, basavano su questo commercio buona parte della loro economia, a dimostrazione di questo, basta citare un dato riportato negli antichi registri della Banca d’Inghilterra, dove sono menzionate tra le spese, il costo di un milione e mezzo di penne l’anno.
Questa fiorente industria però, entrò in crisi attorno al 1830, quando l’inglese J.Perry, brevettò il pennino in acciaio, opportunamente tagliato per essere elastico, e forato per permettere il passaggio dell’inchiostro, che veniva incastrato sull’estremità di una cannuccia di legno, era nata l’antesignana della penna moderna. Il Romano, usato degli amanuensi lascia il posto per ragioni di praticità ad un carattere più leggero e armonioso, che nasce proprio in Italia, e viene usato ufficialmente perfino nella Cancelleria Vaticana; il Cancelleresco Corsivo, nome che darà origine alla parola “cancelleria”, a significare tutto il fabbisogno per la scrittura, arrivata fino ai nostri giorni.
Alto componente importantissimo era l’inchiostro; conosciuto ed usato fin dai tempi dei romani che lo chiamavano “Atramentum,”ha conosciuto nel corso dei secoli innumerevoli variazioni alla sua formula per adeguarsi al tipo di supporti su cui veniva usato, dalla corteccia, al papiro, dalla pergamena, alla seta, e per finire alla carta. Nell’ottocento era importante nello scrivere una lettera, anche il colore dell’inchiostro, che doveva essere intonato al contenuto della messaggio, così si potava usare quello di china cinese vegetale, ricavato sfregando l’essenza nera in acqua su una pietra di scisto, per messaggi importanti o commerciali, oppure rosso per esternare passione, o addirittura profumato, per amori romantici.
Esiste un altissimo numero di nomi di stili, che contraddistinguono il tipo di caratteri, che riuniti per gruppi devono il loro nome a quello del loro inventore, oppure, in epoca più moderna, alla fonderia in cui i caratteri in piombo venivano fusi, anche l’uso dei diversi stili era ben codificato, e veniva insegnato nelle scuole, non si poteva ad esempio inviare un biglietto di auguri in stile Gotico, mentre era disdicevole spedire un biglietto di condoglianze nello svolazzante Corsivo inglese. Per potere eseguire i diversi stili, esistevano circa sessanta tipi di pennini di varie forme, che facilitavano con il loro segno il lavoro dello scrivente, ma attorno agli anni cinquanta l’ungherese L.Birò con l’invenzione della sua famosa penna, fece tramontare definitivamente l’arte della bella calligrafia. Oggi, ogni computer è in grado di tracciare perfettamente ogni tipo di carattere, ma è solo un’azione meccanica, fredda, senza quel coinvolgimento emotivo che ci riempiva d’orgoglio, quando, poco più che bambini, riuscivano a scrivere un “Auguri di Buon Natale ” in uno stile impeccabile, e soprattutto senza sbavature e macchie d’inchiostro.
Mario Volpi
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