Uno straniero a Fosdinovo
La popolazione carrarina è sempre stata una vera spina nel fianco per i vari potenti che nei secoli hanno tentato di dominarla, dico a ragione tentato, perché, pur usando la forza, non ci sono mai riusciti per molto tempo. Meno che meno vi è riuscita la Chiesa, e questo in un periodo in cui il suo potere temporale era immenso, e supportato da credenze e superstizioni. Ciò nonostante, i nostri antenati riuscirono a liberarsi da quel giogo che toglieva risorse indispensabili alla sopravvivenza delle loro famiglie.
L’autunno avanzava a grandi passi. Nei boschi di castagno circostanti, il verde delle foglie aveva ceduto il passo a un giallo dorato, il rosso del corbezzoli maturi, ravvivava a tratti quella monotonia monocromatica. Le cime più alte erano già spoglie, e protendevano i loro rami simili ad artigli, contro il celeste del cielo, come se cercassero di trattenere l’estate che inesorabilmente fuggiva via. A ogni alito di vento, nugoli di foglie si staccavano, e volteggiando leggere come leggiadre farfalle cadevano a terra, formando un soffice, e scricchiolante tappeto alla base degli alberi. Alcuni cardi ancora verdi erano già caduti, annunciando che la raccolta del “pane dei poveri” era ormai imminente. Armato di un rozzo rastrello di legno, Agemore, il capo della vicinia di Casa Ponci, ne stava radunando grossi mucchi, che poi avrebbe trasportato nella stalla comune con la * Tragia dove sarebbero diventate il “ letto” di pecore e mucche. Era così intento nel proprio lavoro che quasi non udì il cupo suono del corno che richiamava in paese tutti i * Consoli del Consiglio dei Boni Homines della vicinia.
Arrivò in piazza per ultimo. Erano tutti presenti, e scorse anche alcuni emissari delle altre viciniee giunti in paese a dorso di mulo. Era stato proprio lui a indire quella riunione, ma non si aspettava di certo questa sollecitudine, segno che anche nelle altre viciniee il malcontento saliva.
Fece un cenno al banditore, che, con un rullo di tamburo ottenne il silenzio, quindi salì sul pianale di un carro e disse: “ Io Agemore di Casa Ponci, capo delo Consilio deli Hominis Boni, dico che questa situazione deve finire, dovemo tuti dire a sua Signoria lo Marchese Franceschino, che nessuna vicinia, pagherà più lo livello alo Vescovo di Luni, Antonio di Canulla!”
Un forte mormorio di approvazione fece eco alle sue parole, ma lui fece segno con una mano per ottenere il silenzio e continuò “ Con lo inverno che viene, noi di Casa Ponci non potiamo dare come ci è richiesto * cinquanta pani, dieci polli, cinque porcellini lattonzoli, tre barili di ippocrasso, alo Vescovo, perché sinò i nostri figli più piccioli moriranno di fame. E poi quale sarebbe lo motivo di cotal livello? Non siamo forse noi uomini liberi da vassallaggio alcuno?”.
Il brusio di approvazione crebbe, ottenuto il silenzio Agemore continuò” Io dico che tuti i capi dele viciniee dovranno venire meco posdomani, prima della terza ora, a Carrariae, per dire alo Marchese che noi siamo pronti ad aiutarlo sinanco a pugnare contro gli omini delo Vescovo, se necessario, ne temiamo le sue scomuniche.” Dopo essere sceso dal carro prese accordi con gli emissari delle altre vicinie, quindi tornò al suo lavoro.
Nel suo palazzo posto al centro della decadente Luni, il vescovo Antonio di Canulla, aveva già avuto sentore di questa rivolta della rude popolazione Carrarese nei suoi confronti. Del resto anche i suoi predecessori avevano gradatamente perso il potere temporale, su quella spigolosa popolazione. Sapeva di non poter forzare troppo la mano, in primo luogo perché non aveva abbastanza armigeri per usare la forza, ma la ragione principale era che il Clero Lunense, non godeva più della protezione dell’Imperatore, più propenso ad assicurarsi la fedeltà dei Marchesi Malaspina, che, di fatto, controllavano assai meglio il territorio ormai salito al rango di Comune. Da lì a poco un valletto portò un plico. Era del Marchese Franceschino Malaspina che lo invitava fra tre giorni a un abboccamento per redimere la questione a Fosdinovo territorio neutrale, ospiti dei signori Bianchi di Erberia. Dopo aver vergato in poche righe la sua risposta positiva in una pergamena, vi appose il suo sigillo, e quindi la consegnò a un messo.
Nel grande salone la tensione era palpabile. I pesanti tendaggi di broccato che ricoprivano la parete laterale, erano aperti, e dalle alte bifore, la luce del sole si rifletteva sul pavimento di marmo bianco, che rimandava un riflesso simile all’opalescenza della perla. Un lungo tavolo coperto da una splendida tovaglia di lino ricamato, era posto al centro della sala, su di esso troneggiava un enorme vassoio d’argento pieno di frutta di stagione; da un lato il Vescovo, vestito con Mitra e paramenti, era assiso su uno scranno, attorniato da diversi arcipreti che salmodiavano sommessamente, dal lato opposto il Marchese Franceschino, con il capo delle guardie e quattro armigeri in armi, alla sua destra i capi delle viciniee erano in evidente imbarazzo. Non avvezzi a tale sfarzo, erano in piedi e si rigiravano nervosamente tra le mani il copricapo di feltro. Solo Agemore, pareva a proprio agio, teneva le spalle diritte, e sfidava apertamente con lo sguardo il Vescovo. Entrò il Signore del Borgo di Fosdinovo, * Adinolfo Bianchi di Erberia, con un seguito di dame e gentiluomini, e andò a sedersi su di uno scranno al lato sinistro del tavolo. Dopo avere salutato i presenti disse” Signori!.. Ho lo privilegio di avere mio gradito ospite, un’ illustre straniero, * medico e speziale, che è mia speranza sia di grande aiuto come arbitro e paciere in cotal contesa, proviene della bella civitas di Firenze, e si noma Dante Alighieri....”
Non è dato sapere da che parte propendesse il Guelfo Dante Alighieri, ne quale fu il suo reale apporto alla trattativa. Si sa per certo che nel trattato di pace del 6 ottobre 1306, il Vescovo di Luni ne uscì molto indebolito per quello che riguardava il potere temporale sulla Civitas di Carrariae, a nulla valsero anche le varie scomuniche che lanciò contro quelli che egli riteneva i colpevoli della sua situazione. Dopo appena sette anni l’Imperatore Enrico VII, lo spoglierà definitivamente di tutti i suoi possedimenti.
Volpi Mario
Tragia - Antica e rozza slitta fatta di legno e vimini intrecciati, a cui venivano aggiogate anche le vacche, per il trasporto di erba, fieno, o letame.
Consoli Consiglio - Fu la prima forma di democrazia nelle viciniee di Carrara, formati da capifamiglia di comprovata onestà e rettitudine.
Cinquanta pani - Notizia storica riportata su antichi documenti
Adinolfo - Il nome è di fantasia, mentre la Casata è storica e realmente esistita, erano i signori del Borgo di Fosdinovo.
Medico e - Per potere fare politica a Firenze, Dante Alighieri dovette “immatricolarsi” tra le arti, e scelse di militare tra i medici e gli speziali.