Quando le ruote erano due
Una Volta Invece
Il Natale stimola nei bambini le aspettative, e negli adulti i ricordi. Ecco perchè ho inviato questo articolo senza audio, per permettere ai lettori di rovistare nei loro cassetti della memoria, per ritrovare i loro Natali più belli o significativi.
Colgo anche l'occasione per porgere alla Redazione tutta, e ai visitatori del Sito, i miei più sentiti auguri di Buone Feste.
Quando le ruote erano due
In queste frenetiche ore dedicate allo shopping Natalizio, di una cosa oltre al denaro, ci si lamenta per la sua cronica mancanza; il parcheggio. Anche in piccoli centri come Carrara, il traffico, specialmente nei giorni del mercato, o in ore di punta, è terribile, e ci costringe a passare molto tempo in coda, procedendo a passo di lumaca. Mentre le strade sono sempre quelle degli anni cinquanta, le auto hanno avuto un incremento di numero e volumetrico incredibile, la moda dei S.U.V poi, ha ulteriormente peggiorato le cose. In Italia circolano circa trentasette milioni di autovetture, con un rapporto di sessant’uno auto ogni cento abitanti, il più alto d’Europa, di queste, più della meta varia da Euro2 a Euro0, con conseguente alto tasso d’inquinamento. Sono in molti a pensare che se non ci sarà un serio piano di risanamento del parco auto circolante, oltre a problemi di salute, e d’inquinamento acustico, ci troveremo presto a fronteggiare quelli ben più gravi di circolazione.
E pensare che solo sessanta anni fa, l’aria delle nostre città era tersa e pulita, senza traccia di smog, il silenzio rotto soltanto dal cigolio di qualche barroccio, o dal suono argentino del campanello di una bici. Il sogno impossibile della gran parte degli italiani del tempo era quello di possedere una bicicletta, che aveva lo spaventoso costo di ben 200£, quando la mensilità di un operario medio era di quaranta. Avere una bicicletta al tempo, voleva dire avere molte più possibilità sia economiche, che sociali; si poteva andare al mercato ad acquistare merce a un prezzo inferiore a quello dell’ambulante che passava sotto casa, si poteva andare a lavorare in qualunque posto nel raggio di venti chilometri, e non ultimo si faceva una gran bella figura con la gente. L’Italia è sempre stata Leader nella costruzione di biciclette, forse perché i fondatori dei marchi più famosi, avevano cominciato come ciclisti, e quindi sapevano come doveva essere fatta una bicicletta per avere successo. Uno dei marchi più noti era certamente la Bianchi. Edoardo Bianchi, imparò i rudimenti della meccanica a Milano nel collegio dei Martinit, i trovatelli del tempo, diventato adolescente, aprì nel centro storico di Milano una piccola officina per la riparazione delle prime biciclette. In poco tempo non solo iniziò la costruzione in proprio di bici, ma applicò il movimento a catena da poco inventato, e soprattutto sostituì le gomme piene con le camere d’aria, appena arrivate negli Stati Uniti. Inventò, per la Regina Margherita, il telaio da donna, in uso a tutt’oggi. Progettò e fornì ai Bersaglieri, e ai Carabinieri, la prima bicicletta pieghevole, con cinghia per il trasporto, all’epoca una vera e propria novità tecnologica. Ma noi ragazzi sognavamo di possedere una Umberto Dei. Questa era considerata la Ferrari delle biciclette, perché i modelli di punta erano da corsa, leggerissime, con il manubrio abbassato, e le manopole piegate a U, con i freni comandati da fili d’acciaio e non a bacchetta come la maggior parte delle bici di allora, quelle più costose avevano anche il cambio Campagnolo. Umberto Dei, oltre che costruttore fu sopratutto un grande atleta, che vinse molte delle prime manifestazioni ciclistiche europee di fine Ottocento, e la sua esperienza nelle corse la riversò nelle sue bici, che divennero un vero e proprio Status Symbol. Il modello Imperiale poi, cosiddetto da passeggio, aveva un’eleganza senza pari, e montavano un unico freno a bacchetta che frenava ambedue le ruote. Ma vi erano altri marchi di prestigio come la Legnano, la Ganna, o la Maino, che era stata la bici di Girardengo, di Guerra e la prima bici di Coppi. La bicicletta era celebrata anche nel cinema, nel 1951 fece un enorme successo, il film”dove vai bellezza in bicicletta” con Silvana Pampanini. Il titolo era invece ricavato da una famosa canzonetta fatta per ricordare la prima donna ciclista italiana, Alfonsina Strada, che si iscrisse addirittura al Giro d’Italia Maschile nel 1924, e arrivò nei primi trenta. La bicicletta era parte integrante della vita quotidiana, alcune costruite apposta per le varie attività commerciali o artigianali. Il fornaio usava due modelli speciali, uno con due ruote e gli alloggiamenti per le ceste davanti e dietro, e l’altro a tre ruote con il pianale davanti al manubrio in grado di trasportare anche i grossi sacchi di farina. Il lattaio aveva gli alloggiamenti per due latte di alluminio di fianco alla ruota posteriore, mentre quella del pescivendolo, era simile a quella del fornaio, con gli alloggiamenti per le ceste più larghi ma meno profondi. Quella dell’arrotino poi, merita un capitolo a parte; era una vera e propria officina viaggiante, con tanto di piccola morsa, cassetta degli arnesi, mola che funzionava con gli stessi pedali, e contenitore dell’acqua per il raffreddamento.
Mentre oggi, vedere una bicicletta “da passeggio” è una rarità, a quei tempi lo era vedere un’auto. Anche le Istituzioni viaggiavano in bici, come la pattuglia dei carabinieri, con tanto di stivaloni neri, e il moschetto ad armacollo, così come il vigile urbano, il postino, e la guardia giurata notturna, che usava la bici in dotazione all’Istituto.
Mio padre aveva una Bianchi Lusso nera, era enorme, e pesava come una corazzata, ma per me era tecnologica come l’astronave di Flash Gordon, equipaggiata con la dinamo Radius, il porta attrezzi dietro al sedile, la pompa inserita nel telaio, i copertoni bicolori bianchi e neri, e i pedali con i catarifrangenti gialli, era fantastica! Oggi le bici servono principalmente per lo svago, e il tempo libero, e hanno subito un’evoluzione pazzesca, costruite con materiali usati nelle missioni aereo spaziali, pesano pochissimo, sono ultraresistenti, e hanno un numero pressoché infinito di rapporti. Ma a me, è rimasta nel cuore l’emozione che provavo, quando andavo a pedalino sulla bicicletta di mio padre, a sentire il rumore del “motore,” costituito da una molletta da panni che teneva un cartoncino, messo tra i raggi della ruota.
Volpi Mario
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