Una generazione perduta
Una Volta Invece
Cara redazione
In tutta Italia ci si appresta a festeggiare il 24 maggio di cento anni fa come una grande vittoria militare, scordandoci cosa ha comportato per milioni di vite questa vera e propria tragedia della follia umana. Forse sarebbe opportuno per le nuove generazioni sapere la verità vera su cosa ha comportato questa presunta "grande vittoria."
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Una generazione perduta
Il 24 maggio di cento anni fa, l’Italia dichiarava guerra all’Impero Austro-Ungarico. Tralasciando i futili motivi per cui questo avvenne, l’ottocentesco Regio Esercito Italiano, stava per partecipare al primo conflitto mondiale, che coinvolgerà ben 21 Nazioni, e che sarebbe costato in tre anni di guerra, ben nove milioni di morti, e la spaventosa cifra di venti milioni di feriti, causando all’Europa la perdita di una generazione. Aldilà delle celebrazioni patriottistiche, che tendono a ricordare quella che dovrebbe essere una grande vittoria militare, la vera realtà è ben diversa, ed è stata, per decenni, tenuta ben nascosta dalle Autorità civili e militari del nostro Paese. Gabriele D’Annunzio coniò l’allocuzione “vittoria mutilata” che ben descrive come l’Italia fosse stata pesantemente beffata dagli alleati, che avevano promesso grandi territori durante il Patto di Londra nel 1915, ma che in realtà, alla fine della guerra dovette accontentarsi delle briciole. Ma non è certamente questo il male peggiore. Al tempo, la maggior parte dei comandanti del nostro esercito, non erano stati formati da Accademie o scuole militari, ma erano ufficiali solo perché di nobili famiglie, o ricchi proprietari terrieri, a cui la carriera militare dava onori, e prestigio, ma profondamente impreparati sulle tattiche militari. Per i soldati la situazione era ancora peggiore. Pensate a un ragazzo di diciotto, vent’anni, analfabeta, che non si era mai mosso dal paesello natio, magari in Sicilia o in Sardegna, essere preso, e catapultato di colpo a migliaia di chilometri di distanza, in mezzo a altri disgraziati come lui, di cui non capiva neppure la lingua, e senza sapere bene neppure il motivo. Lì dopo un brevissimo quanto inutile addestramento, veniva inviato al fronte, su una montagna, dove la temperatura media d’inverno era di meno dieci gradi, e dove causa fango, fame, malattie e bombe, la sua aspettativa di sopravvivenza era vicino allo zero. A questo andava aggiunto l’inettitudine dei comandanti, primo fra tutti il Generale di Stato Maggiore Luigi Cadorna, nome che molti chiedono che venga cancellato da vie e piazze italiane. Esso stesso figlio di un generale, questo comandante, è da molti storici ritenuto il vero responsabile della disfatta di Caporetto, e della morte inutile di migliaia di italiani Egli per mascherare i suoi sanguinosi insuccessi, era solito praticare la “decimazione”. Questa orrenda pratica, già praticata dall’esercito romano, consiste nel fucilare un soldato ogni dieci, presi a caso nel reparto che si vuol punire. I Carabinieri poi, avevano l’ordine di sparare a chi voltasse le spalle al nemico, o a chi cercava di tornare indietro. Molti comandanti di reparto poi, faceva legare quelli che chiamavano “Sbandati” sui reticolati come bersaglio per i cecchini tedeschi. Recentemente si cerca di porre un tardivo rimedio alla memoria di queste vittime innocenti, che la propaganda militare aveva bollato come “vigliacchi”. In questa prima guerra moderna, fecero la loro comparsa delle armi micidiali, contro le quali i nostri comandanti non erano preparati, come le prime mitragliatrici. Contro di esse lanciavano i soldati in attacchi inutili, sconsiderati, e suicidi. Fecero la loro prima comparsa le terribile armi chimiche, come il gas Fosgene e Iprite. Per difendersi dal loro impiego, lo Stato Maggiore Italiano, dapprima consigliava di mettersi in bocca un pezzo di pane bagnato, coperto da un fazzoletto, e poi distribuirono delle rudimentali maschere antigas che si rivelarono completamente inutili. Sui campi di battaglia comparve anche una nuova patologia, chiamata “shock da combattimento” che portava i soldati alla pazzia, e migliaia di loro finirono la loro esistenza reclusi nei manicomi del tempo, nascosti agli occhi dell’opinione pubblica, e senza alcun riconoscimento, ne economico ne militare. Quindi, aldilà della retorica, e del patriottismo, penso che ci sia ben poco da festeggiare, salvo un pensiero per quei milioni di giovani vite, di ogni nazionalità, perdute per la follia umana, e l’inutilità della guerra, per la maggioranza delle quali, ad appena un secolo di distanza, non si ricorda più neppure il nome.
Volpi Mario
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