Alpino a 4 zampe
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
"Sei più testardo di un mulo" recita un famoso adagio. Ma sarà proprio vero?
Alcuni giorni orsono, per sfuggire all’anticiclone Lucifero, che stava arrostendo l’Italia, decisi di andare al Passo del Lagastrello, dove speravo, purtroppo invano, che tra le secolari abetaie, e il fresco influsso del lago Paduli, avrei potuto trovare un po’ di refrigerio. Insieme a mia moglie, abbiamo trovato una piccola radura, relativamente pianeggiante e in ombra, così dopo aver piazzato le piccole sedie portatili ci siamo accomodati. Un silenzio assordante da fare quasi male alle orecchie, compensava la temperatura, non proprio ottimale, una calda brezza di scirocco sembrava voler giocare tra le fronde degli alberi, che coprivano la piccola radura, accarezzandole con il suo alito rovente, ma così facendo permetteva ai raggi del sole di forare quel verde telo, disegnando sul terreno fantastici arabeschi. Ma quella bucolica situazione, e tutto quel silenzio, erano destinati a durare poco. Una piccola comitiva di cinque persone e due bambini, si stava avvicinando lungo il sentiero, e appena videro la radura, decisero come noi di “accamparsi.” Distavano da me appena una decina di metri, e gli adulti, dopo averci salutato, stesero delle coperte per terra e si sedettero. I due bambini forse fratelli, si vedeva, dalla meraviglia che provavano per tutto ciò che vedevano, che dovevano essere “foresti,” come si dice in dialetto. Uno scampanellio in avvicinamento lungo il sentiero, li fece correre timorosi verso i genitori, ma erano solo due muli carichi di legna che passavano seguiti da un boscaiolo. Uno degli adulti, forse il padre dei piccoli, disse loro” non dovete avere paura, sono solo muli, anzi guardateli bene perché sono in estinzione.” Nel sentire una simile bestialità, il mio primo istinto fu quello di controbattere, ma poi, fiaccato dal caldo lasciai perdere. Il mulo non rischia l’estinzione semplicemente perché non è una “razza,” ma un ibrido, creato dall’uomo millenni orsono. Il territorio Apuano, si è servito per secoli di questo forte e intelligente animale. Le attrezzature per le cave, il fabbisogno per l’agricoltura sui terreni terrazzati, coltivati a vigna e ulivi, la legna da ardere, il carbone, e i raccolti, erano trasportati “a basto,” da questo insostituibile animale. A Carrara, fino a tutti gli anni sessanta, esistevano ancora delle vere e proprie “ditte,” composte di centinaia di muli, che erano usati soprattutto per trasportare la sabbia alle cave, indispensabile per il taglio con il filo elicoidale, e per portare dal bosco, fino alla strada, la legna da ardere, o il carbone delle carbonaie. Per fare ciò, ci si serviva di un’intricata rete di mulattiere, in parte ancora esistenti, che collegavano tra loro i Paesi a Monte, per confluire poi sulle strade carrozzabili per Carrara. Il periodo di maggior richiesta di muli era il tempo delle vendemmie, e la raccolta delle olive, soprattutto nelle località un tempo evocate a queste produzioni, come Moneta, Bonascola, il Castellaro e Monteverde. Il mulo è il risultato dell’incrocio, tra un asino e una cavalla, se l’incrocio è al contrario ossia un cavallo e un’asina, si chiama Bardotto. Il mulo escluso rarissimi casi, è sterile, perché i due animali donatori, hanno un corredo genetico di cromosomi, dispari, impossibilitati, perciò, ad accoppiarsi in modo corretto, per generare una “copia.” Molto più forte dell’asino, e meno esigente del cavallo, il mulo è stato usato per millenni dagli eserciti di mezzo mondo. Pare che addirittura gli Assiri li usassero regolarmente per trainare macchine belliche o rifornimenti. Anche la colonizzazione dell’America la si deve in gran parte al mulo. Molto meno costoso del cavallo, e assai più veloce del bue, in pariglie da sei, ha trainato gli enormi, e pesantissimi carri Conestoga dei coloni, nelle sconfinate pianure dell’immenso West, ma anche le batterie di cannoni nella sanguinosa e inutile guerra di secessione americana. Per il suo passo sicuro in montagna, l’Esercito Italiano ha usato il mulo come principale mezzo di trasporto per le armi e le salmerie, delle truppe di montagna, fin dalla loro creazione, avvenuta nel 1872. Era un elemento talmente importante per il Corpo degli Alpini, da essere diviso per altezza e prestanza fisica, in Prima, e Seconda categoria, e addirittura da creare una sezione di alpini specialisti, i “conducenti muli,” addetti alla loro cura e conduzione. Carrara ha dato molti suoi figli a questa specialità, scherzosamente chiamata, “patente per mezzi pelosi” o “patente per jeep a pelo.” Vista come una vera iattura alla loro assegnazione, poi però, molti alpini al congedo, hanno provato un profondo dispiacere nel salutare per sempre il loro compagno peloso, provando un dolore simile alla perdita di una persona cara. Nei primi anni novanta l’Esercito Italiano, ha riorganizzato e ammodernato le truppe alpine, dotandole di “muli meccanici,” mandando in pensione, dopo oltre un secolo, i veri muli. Le aziende “mulattiere” carraresi attive fino ai primi anni settanta, si rifornivano di muli quasi esclusivamente in Puglia, dove si praticava da secoli l’incrocio tra il cavallo Murgese, e l’asino di Martinafranca. L’ibrido così ottenuto aveva la prestanza fisica del cavallo, e la rustica adattabilità dell’asino. La vita dei muli a Carrara non si poteva certamente dire che fosse comoda. Tenuti in un semplice recinto, alle intemperie, sia d’estate che in inverno, oltre alla loro faticosa attività svolta prevalentemente in montagna, dovevano accontentarsi del duro e indigesto “paler,” com’è chiamato in dialetto il tipo d’erba particolarmente dura e poco appetitosa che nasce sulle ripide balze dei nostri monti. Pur essendo sterili, gli stalloni erano castrati per limitarne l’aggressività verso i propri simili, per la supremazia gerarchica. Ingiustamente accusati di essere testardi, era proprio questa caratteristica che li ha fatti preferire nei secoli per svolgere trasporti in carovana in montagna con sicurezza. Il mulo, a differenza dell’asino o del cavallo, possiede una specie, di “pesa interna,” che stabilisce il carico che è in grado di portare senza compromettere la sua sopravvivenza. Perciò se sovracaricato, o caricato in modo non bilanciato, si rifiuterà di muoversi, e non c’è frustata che possa convincerlo. Il mulo un tempo era talmente popolare che quando io ero alle elementari, un giorno la maestra ci portò al cinematografo della Parrocchia a vedere “Francis il mulo parlante.” Questo film, molto divertente, che ebbe uno straordinario successo, raccontava di un mulo che insegnava parlando, all’umano come salvarsi la vita in guerra. Oggi i muli sono quasi del tutto scomparsi, usati ormai solo in remoti paesini di montagna, per trasportare legna per il fabbisogno familiare. Rimangono come figure quasi mitiche, un po sbiadite di un tempo che fu, ma che a ben vedere, era solo ieri.
Mario Volpi 12.9.21
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