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Sezione a cura di Mario Volpi
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Elettronico erudito

Attualità
Spetta/Le Redazione
Quelli come me nati nel secolo scorso, si sentono, sempre di più alieni in un mondo che corre troppo in fretta
Alcuni giorni fa, mia nipote è venuta a invitare me e mia moglie alla Comunione del suo primogenito, che dopo la cerimonia in Chiesa  si sarebbe conclusa con un pranzo in un noto ristorante cittadino. Conoscendo la mia esperienza nell’intrattenere i bambini delle scuole elementari, mi ha chiesto se potevo, “animare” e tenere tranquilli a fine pasto, una decina di ragazzini con qualcosa che potesse interessarli e dare così tranquillità e rispiro ai rispettivi genitori. Devo dire che ho accettato con entusiasmo, forte anche dell’esperienza maturata in anni di frequentazioni di scuole elementari per insegnare il dialetto. Dopo averci pensato su un momento, decisi di proporre ai pargoletti un gioco che tanto mi aveva entusiasmato, quanto anch’io avevo circa la loro età. Bisogna tornare negli anni della preistoria della televisione italiana, esattamente nel lontano 1957, quando un giovanissimo Enzo Tortora, coadiuvato da Silvio Noto, e Renato Tagliani, presentava il giovedì sera una trasmissione che ebbe uno strepitoso successo che si chiamava Telematch. All’interno di questo programma, vi era una “ripresa esterna” pionieristica al tempo, ma molto seguita dal pubblico. Tagliani si recava nella piazza del paesino prescelto e mostrava su di un palchetto un tavolo, con sopra in bella vista un “oggetto misterioso” che la telecamera inquadrava e faceva vedere a tutti i telespettatori. Alcuni  concorrenti presenti sulla piazza dovevano indovinare di quale oggetto si trattasse, e se non ci riuscivano lo stesso oggetto era mostrato la settimana dopo. Al tempo infatti, non era possibile come oggi “la telefonata da casa” perché oltre al numero esiguo di telefoni esistenti in Italia, per poter effettuare una chiamata interurbana, oltre ad essere assai costosa, si doveva prenotare alla allora Sip, e avere l’ausilio di una “signorina” che effettuava a mano la selezione della linea, cosa non certo fattibile in pochi minuti. Preso dal sacro fuoco di questa meritoria missione che mi era stata affidata, pensai di comprare dei “premi” e così il giorno dopo mi recai in un’edicola chiedendo alla commessa quale fossero le figurine di moda al momento tra i ragazzini. Dopo aver acquistato alcune “bustine,” mi dedicai alla ricerca di qualche oggetto misterioso da proporre ai ragazzini, rovistando nel mio personale “baule dei ricordi.” Dopo un’accurata ricerca, estrassi tre oggetti che a me parvero perfetti, sia per la loro unicità, ma soprattutto per le dimensioni che mi avrebbero permesso di trasportarli agevolmente al ristorante. Arrivò il giorno fatidico, oltretutto con un tempo freddo e piovoso, che avrebbe tolto, anche volendo, ai bambini la voglia di andare a “giocare fuori” cosa che mi era stata detto di evitare con cura. Il pranzo fu molto piacevole, almeno per noi adulti, mentre per i bambini, anche se erano stati messi strategicamente tutti allo stesso tavolo, le ore del pasto erano risultate veramente troppe, tanto che molti cominciavano ad alzarsi dal tavolo, e a radunarsi vicino alle finestre per guardare insieme giochi elettronici che alcuni di loro avevano installato sui loro telefonini. Personalmente pensai che dare un telefono cellulare a un ragazzino di dieci anni fosse una cosa non molto saggia, ma io ho la mentalità di una persona del secondo millennio, mentre loro fanno parte generazionalmente del mondo digitale, che oltretutto a ben guardare, è certamente molto meno pericoloso delle frecce fatte con le stecche di ombrello che usavamo noi alla loro età. Quindi, dopo aver gustato la torta, mi alzai in piedi e li radunai in una saletta attigua, che il ristoratore mi aveva permesso di usare. Dopo averli fatti sedere strategicamente a semicerchio davanti a me, comincia a spiegare loro cosa avevo intenzione di proporgli. Dissi che avrebbero dovuto indovinare degli oggetti che gli avrei mostrato, e che ovviamente loro non conoscevano in quanto scomparsi addirittura prima che loro nascessero. Li assicurai che gli avrei aiutati dicendo loro cosa quel determinato oggetto servisse, e così, via. Poi tirai fuori il mio asso nella manica. Appoggiai sul tavolo le bustine delle figurine dicendo che quello tra loro che avesse indovinato l’oggetto avrebbe vinto la bustina di figurine. Devo dire che da principio loro accolsero questa mia proposta di gioco con freddezza, che però si sciolse completamente alla vista delle bustine di figurine. Dissi che avrebbero potuto consultarsi l’uno con l’altro e che gli eventuali due vincitori dello stesso oggetto, avrebbero ottenuto metà premio per ciascuno. Fissate le regoli dissi che il gioco poteva avere inizio. Interessati ed elettrizzati dalla sfida, dissero che erano pronti ad incominciare. Io con fare solenne dissi” ora vi mostrerò qualcosa che quando avevo la vostra età, desideravo con tutte le mie forze, ma non vi dirò a cosa serviva.” Poi dalla tasca estrassi un vecchio jojo di legno e lo posai sul tavolo. Io mi aspettavo che per sapere cosa fosse quello strano oggetto passasse almeno mezzora tra i miei suggerimenti e le loro domande, ma restai deluso. Un piccoletto si avvicinò al tavolo e fece una foto allo jojo col cellulare, poi armeggiò un poco con telefonino ed esclamò trionfante “ è uno jojo per giocare, cosa o vinto?” Così lo stupito fui io, che per poter continuare il gioco dovetti proibire l’uso del telefonino, per impedire a un erudito Mister Google di suggerire ai marmocchi le soluzioni.
 
Mario Volpi 28 05 23
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