Nigrum voluptatem
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Le nuove generazioni, nate all'interno di questa Società consumistica, i racconti delle condizioni di vita di un tempo spesso paiono favole. Ritengo perciò doveroso, portare una testimonianza vissuta sulla mia pelle, sull'uso e il consumo di una bevanda, che oggi per la sua diffusione è abbondanza è considerata quasi banale, ma che ai miei tempi, era una vera e propria preziosa leccornia. Spero così, che vedendo come i loro padri apprezzassero il loro poco, imparino a non lamentarsi, e ad accontentarsi del loro...troppo.
Nigrum voluptatem
Alla veneranda età di novantatré anni si è spento,nel febbraio del 2016, Renato Bialetti, colui, che è riuscito a rendere famosa in tutto il mondo, la caffettiera Moka, inventata da suo padre nel lontano 1933. Coerente anche dopo la morte, ha chiesto che le sue ceneri fosse deposte in una grossa caffettiera, con l’effige “dell’omino con i baffi, ” la sua caricatura. Certamente la caffettiera Moka e il caffè, sono, nel mondo, il simbolo dell’italianità, anche se non siamo gli unici estimatori di questo “nero piacere”. La popolazione mondiale, è divisa equamente tra i consumatori di caffè, che comprende l’Europa occidentale, con esclusione dell’Inghilterra, buona parte delle due Americhe, e circa metà del Continente Africano, con quelli che preferiscono il the, che sono principalmente Russia, e Paesi Arabi. Al contrario delle spezie entrate in Europa dopo la scoperta dell’America, il caffè era già conosciuto in Occidente dai primi anni del 1500, anche se ancora considerato, una curiosità botanica. E’ stata la Serenissima Repubblica di Venezia, al tempo una vera e propria potenza commerciale, ha fare del caffè una bevanda popolare, anche se dopo un secolo. Infatti, nella metà del 1600, a Venezia esistevano già dei locali dove si serviva il caffè, definito da alcuni letterati del tempo “nigrum voluptatem” ossia un nero piacere. Anche se al tempo non se ne conosceva la causa, ci si accorse che l’uso di una buona dose di caffè, rendeva le persone più energiche e attive, così per quasi un secolo, il caffè fu annoverato tra le sostanze medicamentose, chiaramente, a uso e consumo dei ricchi. Introdotta in Italia, si pensa, al seguito delle armate Ottomane, questa bevanda è entrata di prepotenza nella nostra dieta, anzi, per alcuni luoghi come Napoli, è diventata un vero e proprio rito sociale. In questa città è ancora praticato il cosiddetto “caffè sospeso, ”ossia un caffè lasciato pagato al bar, per qualcuno che non se lo possa permettere. Qualche studioso pensa che l’abitudine tutta italiana di offrire caffè all’ospite, sia dovuta all’alto costo di questa spezia. Così nell’alta società, era un modo per sfoggiare la propria ricchezza, offrendo all’ospite, una cosa preziosa, quasi come l’oro. A Parigi, Londra, Vienna, Napoli, e Venezia, all’epoca veri e propri centri colturali dell’Europa, proprio i caffè, intesi come locali, diventano luoghi di ritrovo e discussione per gli intellettuali del tempo, e lì nascono le nuove idee riguardanti l’arte, le scienze, e la politica, che rivoluzioneranno la Società, nei secoli futuri. Anche se entrato di prepotenza nella dieta mediterranea, il consumo di caffè nelle classi sociali più basse, è limitato dal suo costo, così nei secoli, l’ingegno popolare, si è industriato per trovare qualcosa che potesse assomigliare a questa “nigri, et pac bibere.” (nera, e gustosa bevanda).
A forza di sperimentare vi riuscirono. Il più usato fu certamente l’orzo. Quest’umile cereale, era presente in ogni fattoria, e opportunamente tostato e macinato, forniva una polvere, la cui infusione, era molto simile al vero caffè. Lo stesso risultato si poteva ottenere con l’avena, ma ambedue avevano un gusto spesso troppo amaro, così a qualcuno, venne l’idea del malto. La “maltazione” consisteva semplicemente nel fare germogliare i semi, e quando ciò era avvenuto, farli seccare e tostarli. Questo procedimento abbatteva i tannini amari, ed esaltava il dolce del germoglio, favorendo un infuso più gradevole. Nelle nostre campagne erano usati anche i lupini. Coltivati soprattutto per arricchire il terreno, e per ricavarne farina, trovavano nella nostra piana alluvionale di Luni, le condizioni ideali per la loro crescita. Dopo un’immersione in acqua, erano fatti germogliare, ma essendo troppo amari, erano mescolati con i fichi, anche loro secchi, e tostati. A Carrara, e nei paesi a monte, era la cicoria, il surrogato più usato. Pianta spontanea, e di facile reperibilità, con le sue radici tostate, si preparava un ottimo caffè, pratica che è durata oltre la fine del secondo conflitto mondiale. Anche l’industria non rimase insensibile a questa necessità, e fino a tutti gli anni sessanta, il surrogato di caffè “La Vecchina, ” e la “Miscela Leone”, erano ampiamente consumati da gran parte della popolazione. Oggi miscele di caffè in cialde, e macchine da espresso ultratecnologiche la fanno da padrone, ed è possibile ottenere un espresso superbo in pochi secondi. Sembra perciò impossibile, che appena mezzo secolo fa, il solo ottenere una tazzina di caffè, fosse un vero e proprio, sogno proibito. Un tempo, la polvere dei vari surrogati, dopo essere stata messa in un pentolino d’acqua bollente per alcuni minuti, era fatta riposare, e infine filtrata attraverso un colino. Era questa l’unica”macchina” usata per secoli dai nostri nonni, per prepararsi il … nigrum voluptatem, o almeno quello che di più ci si avvicinava.
Mario Volpi
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