Contadino un mestiere perduto
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Chiamare "contadino" qualcuno oggi, è
considerato quasi un insulto, ignorando che proprio grazie a i contadini
l'umanità ha potuto crescere ed evolvere.
A
Carrara vi è un antico adagio che recita così; contadino scarpe grosse e
cervello fino. E per secoli questa è stata una verità inconfutabile, a dispetto
della convinzione popolare che voleva perfino l’aggettivo “contadino” sinonimo
di persona gretta, rozza e ignorante. Il contadino, era uno dei mestieri più
difficili, che aveva bisogno di anni di apprendistato per essere eseguito in
modo efficace, anche perché da questo “mestiere,” dipendeva la vita o la morte
di famiglie intere, spesso numerosissime. Certo, nel passato era pressoché
analfabeta, perché leggere e scrivere non gli serviva a molto, ma aveva nozioni
basiche di zootecnia, agraria, genetica, e botanica. A riprova di ciò, la
totalità di razze zoologiche o vegetali autoctone di un certo luogo o ambiente,
sono state selezionate nel corso dei secoli da questi “addetti ai lavori,” che a
ogni raccolto, o da ogni nuovo nato sceglievano e lasciavano per “sementa” i
migliori. Nei miei ricordi di bambino, ho ancora ben presente alcune di queste
abitudini, che al tempo non capivo, ma che erano basilari per la sopravvivenza
della famiglia. Ad esempio anche se oggi appare crudele, l’intera covata di
gattini a sei mesi era presa e chiusa nel granaio per una settimana, solo chi
riusciva a catturare i topi, superava indenne questa terribile prova. Oggi, l’agricoltura
moderna, oltre a un salto tecnologico enorme, ha incrementato in modo
esponenziale, per motivi puramente commerciali, il cosiddetto “orto fai da te,”
dove in ogni Consorzio Agrario, è possibile acquistare per pochi Euro, piantine
già pronte al trapianto di una serie pressoché infinita di specie, ma la vera
agricoltura non è certamente questa. Un tempo tutto nasceva da seme, e la
selezione degli stessi era fondamentale per la buona riuscita del raccolto
dell’anno dopo. Prendiamo per esempio uno degli ortaggi più facili da
coltivare, e più diffusi; il pomodoro. Pensate che le varietà di quest’ortaggio
nel mondo sono più di settantamila di cui in Italia ne vengono coltivate solo
circa trecento. Un tempo il contadino sceglieva con cura i frutti da seme. Dovevano
essere presi dal primo palco, fruttificante della pianta, ossia la fioritura
più vicina alle radici, perché si credeva che le future piante nate da quel
seme, cominciassero a fruttificare a quell’altezza, producendo così più palchi
e di conseguenza più frutti. I pomodori più belli, senza difetti e grossi,
erano lasciati maturare sulla pianta fino quasi allo spappolamento, quindi erano
schiacciati, il succo e la polpa usati per la pastasciutta, mentre i semi
accuratamente puliti erano stesi ad asciugare al sole su una carta gialla,
ossia fatta con la paglia, perché non fossero contaminati dall’inchiostro,
presente nei fogli di riviste e giornali. Stessa attenzione era riservata ai
semi di zucchine, melanzane, e peperoni. Discorso a parte erano i fagioli ceci
e piselli. Anche questi fatti seccare sulla pianta erano attentamente vagliati
per scartare i chicchi non perfetti, poi dopo essere stati stesi al sole per
tre o quattro giorni, venivano chiusi ermeticamente in un’albanella di vetro e
riposti al buio in granaio. Certamente gli antichi contadini non sapevano
dell’esistenza del PH del suolo, e naturalmente non sapevano neppure misurarlo,
ma capivano subito quando c’era qualcosa di sbagliato nel terreno, che
interferiva con lo sviluppo delle piante. Pensando magari che fosse a causa di qualche
malattia, aggiungevano calce spenta in polvere, per “dis’nftar” (per disinfettare)
come si diceva in dialetto carrarino, mentre in realtà correggevano il PH,
migliorando sensibilmente la produzione e la qualità degli ortaggi. La calce
era anche usata per “pitturare” i tronchi degli alberi da frutto, per
proteggerli da parassiti e insetti dannosi, e mescolata al verderame serviva
per fare la famosa Poltiglia Bordolese, efficacissima anche oggi contro un gran
numero di funghi e spore dannose. Nell’eterna lotta contro insetti dannosi, ci
si serviva anche di sistemi naturali, in alcuni casi, curiosi, ma molto
efficaci. Un esempio era la preparazione del terreno per la semina delle
patate. L’aratura grossolana, era fatta negli anni sessanta dai primi
giganteschi trattori Fiat, ma l’erpicatura, per risparmiare, era ancora fatta
con le mucche aggiogate all’erpice. Durante quest’operazione, che avveniva a
metà febbraio, si provvedeva ad avere al seguito un vero e proprio plotone di
giovani pollastri, che inseguivano e divoravano avidamente gli insetti che
l’erpice stanava,, compresi i famelici grillotalpa, così dannosi per le
coltivazioni di questi tuberi. Anche se certamente ne ignoravano la ragione
scientifica, i contadini, per tradizione in occasioni della festa del Santo
Patrono degli animali, differente in ogni paese, si scambiavano un maschio di
diverse specie, come conigli, galli, e anche capre e arieti. Questo impediva la
consanguineità, rinforzando la specie, evitando malformazioni e malattie. Vi erano
poi i contadini-artisti, che avevano una sensibilità particolare nel fare gli
innesti. Mi ricordo che quando era ancora bambino, al mio paese vi era un
“inestin” (un innestatore) che si chiamava Ubà, che si diceva che aveva un
successo di oltre il 90% sugli innesti che eseguiva. Il contadino un tempo era
importantissimo nella Società, tanto che quelli più bravi erano richiestissimi
dai “padroni” dei latifondi, che per accaparrarseli non esitavano a promuoverli
a Fattore, grado equivalente come importanza e retribuzione, a un dirigente
odierno. Quindi, quando oggi mangiamo un’insalata, o gustiamo una mela, non
dimentichiamo che possiamo farlo, grazie alla sapienza, alla determinazione, e
agli immensi sacrifici di questi antichi e vilipesi mestieranti.
Mario Volpi 18.6.22
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