Quando la voce dei Media era un sussurro
Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
15 sett 2013
Spetta/le Redazione
Ai giorni nostri, da qualunque parte si volga lo sguardo, c'è sempre un "media" pronto a darti una sola cosa, martellante, asfissiante, prepotente, e spesso maleducata: la Pubblicità. Questo vero e proprio cancro del ventunesimo secolo non solo ci assilla con messaggi non richiesti, ma ci racconta anche un sacco di bugie, come l'acqua che depura l'acqua, le marmotte che fanno la cioccolata, o i dentifrici che riparano i denti. E pensare che la maggior parte degli italiani ha votato in un referendum per averla!!!!!!!!!
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Quando la voce dei Media era un sussurro
La vita quotidiana di ognuno di noi è pesantemente condizionata da l’ingerenza dei mezzi di comunicazione, i cosiddetti “mass media” dovuta al fatto, che ormai molti di loro, hanno visto snaturarsi la loro funzione primaria di comunicatori di informazioni e cultura, riducendosi a semplici amplificatori pubblicitari, che ci “urlano” i loro messaggi, in cui la notizia vera e propria, è soltanto il pretesto per rovesciarci addosso un torrente di pubblicità non richiesta.
Ma non è sempre stato così, vi fu un tempo, alla fine degli anni quaranta, in cui la voce dei Media, era appena udibile, un sussurro, flebile, come il sommesso pigolio di un pulcino. Ma per meglio capire il mondo in cui essi operavano, è necessario spiegare come era la Società carrarina di quegli anni. L’Italia era in ginocchio, sia economicamente che socialmente, con oltre l’80% delle fabbriche distrutte o in via di faticosa ricostruzione, un’intera generazione decimata dai lutti della guerra, o da l’emigrazione, al tempo fortissima, con strade e ferrovie rimaste ferme ai primi del novecento, con un tasso di analfabetismo del 70%, e con la maggior parte della popolazione con un reddito al limite della sopravvivenza. E’ evidente come in queste condizioni non fosse l’informazione, la priorità assoluta, d'altronde erano soltanto due i principali mezzi per poterla fare, i giornali, e la radio.
Carrara al tempo era ancora a vocazione prevalentemente rurale, e l’acquisto di un quotidiano era considerato dai più, una perdita di danaro, oltre al fatto che pochissimi erano in grado non solo di leggere, ma di “capire” l’italiano. Infatti nei paesi a monte, e in buona parte di Carrara, si parlava ancora solamente il dialetto. Per quanto riguarda la radio invece, sorgevano altre difficoltà: prima di tutto il suo costo, poche famiglie potevano permettersi un investimento così gravoso per un oggetto non indispensabile. Si pensi che un apparecchio radio, di una delle marche italiana all’ora esistenti, come La Voce del Padrone, o l’Allochio Bacchini, o la CGE, potava costare anche 450 Lire, in pratica più di mezzo stipendio di un operaio specializzato come un lizzatore. Era poi da considerare anche il non trascurabile problema del suo ingombro. Le radio del tempo erano monumentali, e non era facile trovarvi una collocazione nelle anguste case di allora, composte a volte di una sola stanza “let e foch” (letto e fuoco) come si soleva dire. La radiofonia Italiana era da poco stata trasformata da E.I.A.R, Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, in RAI Radio Audizioni Italiane, aveva solo due canali, che nel 1950 sarebbero diventati tre, e trasmetteva principalmente musica classica, o commedie, le notizie venivano date alla sera verso le venti, nel giornale radio. Nei miei ricordi di bambino, hanno un posto speciale le serate estive, passate nell’aia con tutto il vicinato. I padri in canottiera ad ascoltare le notizie, o le madri, spesso con gli occhi lucidi di commozione, a seguire il radiodramma serale, che attori con calde voci impostate, recitavano da una radio, che un vicino caritatevole piazzava vicino alla finestra per farla ascoltare a tutti. Altro Media era la Settimana Incom. Era un film giornale che veniva proiettato nelle sale cinematografiche prima dell’inizio del film, chiaramente le notizie erano vecchie anche di parecchie settimane, ma faceva vedere alla gente, l’attualità nel resto del Paese. Forse quelli della mia generazione, sono stati gli ultimi a vedere all’opera i cantastorie. Dalle nostre parti in occasione di fiere, e feste del Santo Patrono, ne veniva uno che tutti chiamavano il parmigiano, forse per sottolinearne la provenienza, o più semplicemente perché i forestieri del tempo, dovevano essere tutti parmigiani. Mi ricordo che restavo incantato, mentre con voce stentorea descriveva cantando, le gesta del bandito Giuliano, o l’atroce fine della Baronessa di Carini, mentre con un bastoncino segnalava i vari quadri che descrivevano visivamente la scena, su di un cartellone, piazzato su una vecchia bicicletta, tenuta in piedi con il cavalletto. Dopo lo spettacolo passava a raccogliere l’obolo, o a vendere le lamette da barba che portava sempre con se. La pubblicità come la intendiamo noi adesso era inesistente, anche perché sarebbero stati pochi gli eventuali consumatori, esisteva però anche allora, anche se il suo modo di comunicare era molto diverso. Questa veniva effettuata nelle vetrine dei negozi, da veri e propri artisti itineranti, i vetrinisti, pagati dalle ditte di cui dovevano reclamizzare il prodotto. Questi, erano capaci, con a disposizione soltanto un poco di carta crespata multicolore, e qualche confezione vuota del prodotto da reclamizzare, di creare delle vere e proprie opere d’arte. Per noi ragazzini della nuova generazione, e quindi già “acculturati” in quanto tutti frequentavamo la scuola, e quindi eravamo in grado di leggere, il nostro Media preferito erano i “giornalini.” Al tempo, forse per una ragione di risparmio, (costavano venti lire,) avevano il formato a striscia, larghi come un attuale foglio A4, ma con l’altezza di circa dieci centimetri. Tutti rigorosamente in bianco e nero, narravano le gesta degli eroi del tempo: Capitan Miki, un ranger che schivava i proiettili come un’anguilla, Blek Macigno, un trapper forte come un toro, Mandrake, un illusionista dotato di fantastici poteri, Tex Willer con il pard indiano, ed infine l’americano Superman, che in Italia era diventato Nembo Kid. Per i più piccini vi erano i primi cartoni a fumetti come Tiramolla, o Braccio di Ferro, o il glorioso Corriere dei Piccoli. Le giornate piovose ci vedevano, magari al riparo sotto qualche balcone, impegnatissimi a giocare alla mora, dove la posta erano i giornalini, le sole cose preziose a nostra disposizione. Per le sorelle più grandi, vi era uno dei primi, se non il primo in assoluto, rotocalco dell’epoca; Grand Hotel, un giornale che lanciava la moda dei fotoromanzi e che sarebbe durato per parecchi decenni. Nato nel 1946, ottenne subito un grande successo, dovuto al fatto che il racconto per fotografie, e con pochissimi dialoghi scritti, era di immediata comprensione anche alle persone semianalfabete, che si identificavano facilmente nelle eroine delle storie.
Con l’avvento della televisione, avvenuto nel 1954, si chiuse un’Era, certamente non facile per l’informazione, mentre si aprì quella che, piano, piano ci ha portato ai giorni nostri, dove i Media sono in competizione tra di loro per trasmetterci il loro messaggio, e per farlo cercano di sovrastarsi l’un l’altro in una cacofonia di suoni che mi fa rimpiangere, l’assordante silenzio di allora.
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