Un cavallo … goloso
Medioevo carrarino
Spetta/Le Redazione
Per celebrare il secondo millennio della fondazione di
Carrara, voglio proporre ai nostri lettori un racconto ambientato in Era
medievale, ma con un finale a sorpresa! Buona lettura.
Sinibaldo
di Roccatagliata cominciava a essere preoccupato. Era il Conestabile del Marchese
Enrico Malaspina dello Spino Fiorito, Signore del Marchesato di Carrara, e si
trovava sulla via per tornare a casa. Eravamo nei primi giorni di novembre, e
il tempo era stato eccezionalmente clemente per il periodo. Oltre alla vigoria
fisica delle sue trenta primavere, anche la mitezza del clima lo avevano spinto
a cercare di anticipare la sua carovana di un giorno. Lo aveva motivato per
“affari urgenti,” ma in cuor suo, sapeva bene che il vero motivo erano le
grazie di madonna Lucilla, la nipote prediletta del Marchese, con cui si era
fidanzato due anni prima. Non poteva togliersi dalla mente il dolce viso della
pulzella, con l’incarnato di un bianco virgineo, su cui risaltava come un
rubino, la bocca carnosa, con i denti simili a perle lucenti, e le deliziose
gote che solo quando si accalorava nella danza, seguendo il ritmo della Gironda,
si coloravano di rosa, diventando simili a pesche mature. Era partito una
settimana prima, con tre carri, sei servi, e otto armigeri, verso le ricche terre
Parmensi, per rifornire le dispense del Duca di farina, e riso, mentre per i
suoi vestimenta, aveva comprato a buon prezzo venti pezze di seta purissima. Aveva
acquistato anche tre fattrici, e due stalloni di asino Romagnolo, che sarebbero
stati utilissimi al capo fattore per generare muli con una nuova linea di
sangue. Aveva ordinato al capomanipolo di partire appena completato il carico,
mentre lui era partito ventre a terra, contando di arrivare a casa dopo appena
due giorni. Ora però, mentre stava affrontando le prime balze del monte Bardone,
(attuale Cisa) il tempo era repentinamente cambiato. Si era levato
all’improvviso un vento di Grecale, che con violente e gelide follate, ammassava
strappandoli e rimescolandoli, come in un gigantesco barile, neri nuvoloni
proprio sul valico, distante appena venti leghe, dove lui doveva passare. Si
avvolse meglio nel mantello, e dopo aver messo il cavallo al piccolo trotto, si
rituffò nei suoi pensieri. Era stato un grande onore per lui, quando Sua
Signoria Enrico in persona, lo aveva scelto per diventare Connestabile, il cui merito
maggiore andava di sicuro al vecchio precettore Astolfo, con cui aveva studiato
per anni la matematica, e i classici greci, e che sicuramente aveva spezzato
una lancia in suo favore col Marchese. Il vecchio maestro, gli aveva insegnato
anche che l’ironia e la facezia, al momento giusto, sono più efficaci di un
colpo di bastone. Aveva fatto tesoro dei suoi insegnamenti, mettendoli in
pratica con i suoi sottoposti, tanto che i suoi uomini lo idolatravano per
l’umanità con cui li trattava, ma sapevano anche che i suoi ordini si
eseguivano ad ogni costo. Il Marchesato era abbastanza piccolo, perciò, oltre a
comandare gli armigeri, gli era stato affidato anche il compito di Gran
Dispensiere, ossia di sovraintendere a tutti i rifornimenti, alimentari e
materiali del castello. A prima vista, comprare sete, bestiame e vettovaglie,
poteva sembrava poco consono a un Comandante degli armigeri, ma a lui piaceva
molto, perché gli permetteva di viaggiare per affari, arrivando perfino nella
lontana Firenze, in cerca di lana e filati pregiati. A Parma vi si recava almeno
due volte l’anno, per rifornirsi di maiali Nero di Parma, dei possenti cavalli
agricoli, ma soprattutto di arieti di Corniglio, da incrociare con le pecore
delle greggi del Marchese, e far nascere agnelli più vigorosi, e con il vello
bianco, più pregiato di quello nero di razza massesa. Il viaggio in carovana
con i carri trainati da pariglie di muli, durava tre giorni, e prevedeva di
accamparsi due notti, la prima quasi sulla cima del monte Bardone, dove lui
però, trascorreva la notte nella Locanda del Viandante, e la seconda a Pontremal,
(Pontremoli) dove grazie al suo grado, poteva usufruire di vitto e alloggio nel
convento dei frati dell’Ordine degli Spedalieri di San Giacomo d’Altopascio.
Una raffica di vento più forte, quasi gli tolse il respiro, mentre con suo
grande sgomento, cominciava a nevicare. Il vento ormai frustava senza pietà gli
alberi che costeggiavano quel ramo della Via Francigena, strappando le foglie
ormai morte, e facendole mulinare nell’aria, prima di ammucchiarle a terra
assieme a fiocchi di neve sempre più grossi. Sinibaldo, aveva i piedi
semicongelati, e per riscaldarli, decise di scendere da cavallo. Dopo aver
fatto passare le redini sopra la testa del destriero, lo prese per la cavezza e
proseguì il cammino. Il freddo diventava sempre più feroce, e il cielo sempre
più grigio, tanto che appena alla terza ora, pareva di essere al crepuscolo. Il
cammino in mezzo al bosco, per adesso era ancora abbastanza agevole, ma quando
doveva passare in zone esposte al vento, era una vera tortura. La neve ormai
turbinava in ogni direzione, accecandolo e togliendoli il respiro, anche il
cavallo si spaventava, e sempre più spesso, strattonava nitrendo, così
Sinibaldo pensò che l’unico modo di controllarlo fosse di risalire in arcione.
Calcolò di avere percorso appena due leghe, quando vide con sgomento, che più
si avvicinava alla cima, e più la tormenta aumentava d’intensità, così come il
manto nevoso, che già arrivava ai garretti del cavallo. Cercando di chiudere al
meglio il cappuccio del mantello, Sinibaldo, si piegò fino a sfiorare la
criniera, per sfuggire alle potenti raffiche di vento, che continuava a
sputargli in faccia neve gelata, che simile ad aghi di ghiaccio, quasi gli
forava la pelle. Ormai, era quasi impossibile restare in sella, così, anche se
a malincuore, il Conestabile smontò, e perseguì il cammino trainando il cavallo
per le redini. Il vento ululava, senza sosta, le nubi basse e gonfie, si erano
impigliate sulla vetta della montagna, trasformandosi in una nebbia così fitta,
che il Conestabile faticava a vedere a un palmo dal proprio naso. Perse la
cognizione del tempo, mentre semicongelato, con la neve che gli arrivava alle
ginocchia, e le membra quasi insensibili, continuava l’ascesa. Si fermò un
attimo per riprendere fiato, e decise che era meglio lasciare al cavallo tutta
la fatica dell’ascesa, si sfilò la spada, per usarla come bastone per
aiutandosi nel cammino, poi si pose dietro al cavallo, si attaccò saldamente
alla coda e gli diede un leggero colpo sui quarti posteriori per farlo muovere.
Ma anche questa soluzione durò poco, la mano che teneva la coda, era diventata
insensibile, e dopo meno di una lega, mollò la presa ormai senza forze, era
inutile lottare ancora, pensò di lasciarsi cadere a terra e cedere al freddo e
alla stanchezza. Proprio in quel momento, una follata di vento sollevò per un
attimo la nebbia, e la vide. Una lanterna appesa a una trave sballottata dal
vento, spandeva una flebile luce, ma sufficiente per guidare al sicuro i viandanti
in quella terribile giornata. Era la taverna, era salvo. Quando arrivò alla
porta, fece un gigantesco sforzo di volontà, per apparire in piena forma,
rimise la spada alla cintura, e bussò con violenza. Mastro Narciso, il padrone
andò ad aprire, dapprima, per via del volto barbuto incrostato di neve e
ghiaccio non lo riconobbe, ma poi, si sperticò in saluti e salamelecchi e lo
fece entrare. La taverna a causa della tormenta, era completamente piena
d’avventori, che si erano accomodati davanti al camino che spandeva un dolce
tepore. Il Conestabile, avrebbe potuto pretendere un posto davanti al fuoco per
riscaldarsi ma sarebbe stato poco onorevole, così pensò di ricorrere
all’astuzia. “Padrone” disse con voce tonante “porta due pernici arrosto, e una
brocca di sidro al mio cavallo nella stalla.” Narciso, anche se stupito, non
era uso contradire il volere dei potenti, quindi fece preparare il tutto in
cucina, e seguito da un codazzo di curiosi si avviò verso le stalle. Sinibaldo
si accomodò nel posto più vicino al camino rimasto vuoto, e con un sorriso
sornione attese. Dopo poco l’oste rientrò con il vassoio fumante e la brocca, e
disse con aria mesta, “mio signore, il vostro cavallo non ne vuol sapere di
mangiare queste pietanze!” Sinibaldo fece un gesto di stizza e rispose” diventa
sempre più goloso, avrà preferito del pavone! Dagli un po di biada, e la sua
cena dalla a me, ancora una volta mi sacrificherò per lui!” Con aria sorniona,
mentre gustava l’ottima selvaggina, pensò con gratitudine al vecchio
precettore, che gli aveva insegnato il verso giusto di prendere la vita.
Mario Volpi 26.11.21
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