William Walton
William Walton un inglese a Carrara
Parte I
Dalla nascita all’arrivo a Carrara
Walton nasce a Wakefield, nella contea di York, il 6 giugno del 1796.
A trentuno anni, nel 1827, lascia l’Inghilterra per raggiungere l’Italia ed è a Livorno nel 1830. In quegli anni nella città labronica è presente una numerosa colonia di inglesi dediti al commercio internazionale. Giovane attivo e ben addentro alle pratiche commerciali e finanziarie, il giovane Walton è dotato altresì di una notevole predisposizione alla risoluzione di problemi organizzativi e tecnici e in questo suo primo periodo di permanenza in Italia si guarda intorno alla ricerca dell’attività industriale o commerciale più redditizia.
Dopo pochi mesi di permanenza a Livorno si trasferisce a Seravezza, affascinato dalle Alpi Apuane e dal loro marmo. A Seravezza conosce Marco Borrini, uomo dalle spiccate doti di imprenditore che in quel periodo è impegnato nell’apertura di nuove cave.
Al Borrini si riconosce, tra l’altro, il merito di aver cercato di riaprire la vecchia via che nel 1518 era stata aperta da Michelangelo per raggiungere il Monte Altissimo, dalle cui cave aveva poi estratto lo statuario per le sue opere. In seguito, Walton si mette in società con il francese Henraux con lo scopo di costruire le prime segherie nelle quali utilizzare i telai multilama che allora erano strumentazioni d’avanguardia, molto più precisi e veloci rispetto ai vecchi metodi di segagione manuali utilizzati dagli altri imprenditori in quel periodo.
[per maggiori informazioni sui metodi con i quali si segava il marmo potete visitare la pagina relativa alla storia del marmo]
A Seravezza, Walton affitta numerose cave dai Del Medico ed intraprende l’attività del commercio e della lavorazione del marmo per diventare da lì a poco un uomo di indiscusso prestigio. Economicamente potente, Walton è stimato dalla popolazione locale che vede in lui una persona attenta allo sviluppo economico della zona.
Proprio per queste sue spiccate doti imprenditoriali e per l’introduzione di nuovi metodi di lavorazione del marmo si attira però l’invidia e il risentimento degli altri imprenditori locali che vedono in lui un concorrente molto pericoloso e cominciano a mettergli i bastoni tra le ruote per mezzo di diverse cause legali. A seguito di questi eventi Walton prende la decisione di lasciare Seravezza per stabilirsi a Carrara.
Parte II
L’avventura carrarese
Quando, nel 1840, arriva nel carrarese, Walton rimane affascinato dalla vastità del bacino agro-marmifero, il più grande del mondo, e decide di fermarsi per riprendere quell’attività che era stato costretto ad abbandonare in Versilia.
La città di Carrara, in quegli anni, grazie allo sviluppo economico dovuto alla richiesta di marmi, comincia a crescere anche al di fuori delle mura e le famiglie economicamente più potenti iniziano a costruire ricercate abitazioni signorili. Sorgono nuovi nuclei urbani moderni fuori dall’abitato storico di Carrara.
In quel periodo nascono nuove attività e si sviluppa una notevole marina commerciale velica. All’arrivo di Walton in città, nel 1840, Carrara conta circa 12.000 abitanti che in pochi anni, per l’insieme delle ragioni sopra esposte diventano circa 24.000. Insomma, grazie allo sviluppo industriale e commerciale la popolazione della città in pochi anni raddoppia.
L’impianto del nuovo tipo di segherie, che hanno bisogno dell’acqua come forza motrice non è facile. La regnante Maria Teresa, già nel 1771, ha rifiutato al Conte Fabbricotti la concessione per l’apertura sul torrente Carrione di un impianto per la segagione del marmo; in seguito però, Maria Teresa è costretta a cedere alle numerose richieste e a sanare una situazione nella quale sempre più segherie abusive si stavano insediando sul Carrione. E’ ormai diventato evidente che da quelle attività nascono sviluppo e lavoro con conseguente benessere per la popolazione locale.
Così, nel 1783, Maria Teresa concede a Fabbricotti e a Luciani, le licenze per la costruzione di segherie, anche se in città ne esistevano già, fin dal 1759 quella del Conte Lazzoni e dal 1781 quella di Del Medico e del Conte Monzoni.
Così a Carrara inizia una nuova era.
I metodi di lavorazione tradizionali, ancora uguali a quelli in uso ai tempi degli antichi romani sono abbandonati a favore delle nuove e moderne tecnologie.
[per maggiori informazioni su la Storia del Marmo visitare la pagina]
In un arco di tempo brevissimo si passa dal segare il marmo con lame manuali ai telai meccanici mossi dall’energia idraulica.
In questo ventennio, 1840 – 1860, la richiesta del marmo si fa sempre più intensa e proprio per l’incremento della produzione vengono in maggiore evidenza le problematiche legate a questa attività. Una di queste è costituita dal trasporto del marmo che, dapprima, avviene per le vie di lizza, che dalle piazzole delle cave fanno scendere i blocchi fino ai piazzali di caricamento dove sono caricati su grossi carri trainati da buoi, cavalli e asini, i quali percorrono la via dei carri, la Carriona di oggi, per arrivare alla spiaggia di Avenza per essere issati su velieri e navicelli e spediti a destinazione.
Il marmo di modeste dimensioni è caricato su piccole imbarcazioni dette scafelle, le quali sono tirate a riva per essere caricare, le scafelle cariche raggiungono i navicelli ancorati al largo e in mare avviene il trasbordo.
Vi sono anche altri metodi di caricamento, anche questi pericolosi e soggetti dalle condizioni del mare. Col passare del tempo molti bastimenti, allora stranieri, sardi, lucchesi e toscani, vengono a caricare i marmi sulla spiaggia di Avenza, nel luogo nel quale oggi è Marina di Carrara. Il Conte Fabbricotti, con la sua goletta “Sant’Andrea” è il primo ad armare una flotta per il trasporto del marmo, battente bandiera estense, con la quale raggiunge i porti di Livorno e di Genova.
Inizia l’era marinara a Carrara e il Walton abile imprenditore fa costruire una flotta di diverse unità: Rosina, Castore I e Castore II, Favorita e Gatto Nero.
Nel frattempo, e siamo nel 1843, il Conte Andrea Del Medico al ritorno dall’Inghilterra dove è testimone della costruzione delle ferroviarie britanniche chiede al Duca di Modena l’autorizzazione per la realizzazione di una strada ferrata che dalle cave raggiunga direttamente lo scalo marittimo di Avenza.
L’autorizzazione è concessa e passa di mano in mano senza che inizino i lavori finché decade.
L’aumento ulteriore della richiesta di marmo, favorita dalle migliorate condizioni economiche mondiali, fa tornare in evidenza i vecchi e irrisolti problemi:
1 La mancanza di un vero e proprio scalo marittimo.
2 Difficoltà del trasporto del marmo dalle cave al mare.
3 Mancanza di un collegamento viario tra Massa e Modena, la capitale dello stato estense.
Per risolvere il problema indicato al punto 3, il duca di Modena da l’incarico all’abate Vandelli di progettare e costruire una strada che scavalcando dapprima le Apuane e poi l’Appennino, colleghi Massa a Modena. Il Vandelli, in un tempo relativamente breve, costruisce un’opera superba che ancora oggi può essere percorsa a piedi.
[per maggiori informazioni vedi alla pagina]
Questa nuova strada, che sarà chiamata “Via Vandelli” per la sua ripidità e per le difficoltà legate al freddo e alla neve della stagione invernale è percorribile con molte difficoltà e successivamente viene abbandonata quando gli eventi politici successivi (unificazione dell’Italia) faranno venir meno le ragioni per le quali è stata costruita.
Per risolvere i problemi indicati nei punti 1 e 2 viene progettata la costruzione di un porto artificiale. Nel corso del tempo erano già stati presentati vari progetti.
[maggiori informazioni su la storia del porto]
Già nel 1751 l’ingegnere francese Milet de Mureau aveva presentato un primo progetto e dopo circa un secolo, nel 1845, un altro progetto era stato avanzato dall’arciduca Massimiliano D’Austria.
Questi progetti sono iniziati e lasciati incompiuti a causa di problematiche tecniche ed economiche e dell’avanzamento progressivo della marina che vanifica gli sforzi intrapresi, così nel 1851 si fa avanti Walton con la semplice richiesta di costruire non un porto ma un pontile aggettante in mare aperto, ottenuti i permessi preliminari dal duca di Modena, Walton inoltra nel 1851 la sua richiesta alla Delegazione in Massa e a sua volta al Ministero dell’Interno che gli rilascia l’autorizzazione.
La richiesta comprende anche la realizzazione di un tratto di strada ferrata che dai suoi depositi al mare porta al pontile di caricamento. Mettendo in pratica i suoi progetti Walton inizia a costruire il pontile su palafitte e introduce, per primo a Carrara, il trasporto su rotaie come avviene già in Francia e Inghilterra. I vagoni spno trainati dai buoi.
Già l’anno dopo, nel 1852, il pontile è in grado di caricare i primi velieri, ma per terminarlo del tutto occorrono altri 3 anni. Visti i risultati ottenuti e i notevoli risparmi di tempo e di spese che la realizzazione del pontile ha portato a Walton, altri imprenditori iniziano a costruire nuovi pontili di caricamento accanto al primo, ma nessuno di questi è funzionale come il “Pontile di Walton” che sorretto da grandi piloni è lungo circa 750 piedi e largo circa 22 piedi, con una doppia fila di rotaie, e con due grandi gru da 15 tonnellate.
Possiamo ben immaginare i benefici che questa opera porta nella zona circostante. Con l’espandersi del lavoro e del conseguente benessere economico nasce Marina di Carrara che nel 1851, all’inizio dei lavori di costruzione del pontile conta un centinaio di casette con circa 600 abitanti. Una parte della popolazione marinella abita ancora nelle capanne costruite nel secolo precedente lungo la pista tracciata dai carri che trasportavano il marmo al mare, le odierne via Capanna e via Nazario Sauro.
Nascono nuove figure lavorative come il “Buscaiol”, che con la speranza di buscare un lavoro si alza presto alla mattina per andare al pontile a caricare sulle navi le lastre e i blocchi di marmo.
Il “Pontile di Walton” resta in funzione per circa 70 anni, chiude un’epoca e ne apre un’altra.
L’inglese Walton per le sue doti imprenditoriali ha la stima e l’amicizia delle più importanti famiglie carraresi, come i Del Medico, i Tenderini e i Lazzerini ed è anche nominato console degli Stati Uniti d’America e Console d’Inghilterra.
Nel 1854 ottiene, assieme ai due soci Lambert e Beck, la concessione per la realizzazione della ferrovia marmifera.
[maggiori informazioni alla pagina storia della marmifera]
Nell’anno successivo, il 1855, Walton ritiene che sia giunto il tempo di costruire le proprie segherie e acquista un grosso appezzamento di terra sul torrente Carrione in località la Lugnola – San Martino - Pucinetta, ritenendo che quello sia il luogo ideale per la sua segheria, in quanto la vicinanza del Carrione assicura l’acqua per muovere i telai.
Quell’acquisto fa iniziare diverse cause legali nelle quali la potente famiglia Fabbricotti si contrappone a Walton nel tentativo di ostacolarne l’attività. Una delle cause riguarda la destinazione d’uso dell’appezzamento acquistato da Walton per il quale era prevista la costruzione di fienili e oleifici, un’altra causa nasce dal fatto che sia la famiglia Fabbricotti che il suo legale, Avvocato Tacca, hanno in quel periodo attività industriali, una segheria e un mulino, che necessitano dell’acqua dal Carrione e ritengono che la realizzazione della segheria di Walton avrebbe ridotto la portata dell’acqua necessaria alle loro attività, o forse più realisticamente, temono il Walton come abile concorrente. Nonostante l’inizio della causa che si protrae per molti anni per essere poi vinta dal Walton, nel 1857 la segheria di Groppoli entra in funzione.
Questa segheria si impone come la più moderna e tecnologicamente avanzata, è la prima nel suo genere a Carrara ed è menzionata anche dalla Camera di Commercio e Arti di Carrara come opera di notevole qualità tecnologica. La segheria di Groppoli è composta, in quel tempo, da 12 telai di varie misure che montano dalle 30 alle 35 lame cadauno ed è in grado da sola di produrre più di un terzo di tutta la produzione di tutte le segherie operanti in zona.
Visti gli ottimi risultati economici conseguiti, Walton, nel 1863, apre una seconda segheria in località Puccinetta .
Nel 1866 a settant’anni l’ancora attivo Walton è a capo di un impero industriale e commerciale, al quale ha associato un nipote. Una struttura articolata copre ogni fase della lavorazione del marmo: l’escavazione nelle cave, il trasporto al piano, la lavorazione nelle sue segherie d’avanguardia, il successivo trasporto al mare e l’imbarco sulle sue navi per mezzo del pontile che ha costruito per farlo giungere lastre e blocchi ai suoi clienti, senza intermediazione alcuna.
Parte III
Gli anni del declino
La macchina messa a punto da Walton, gira ormai a pieno regime, le uniche cose che ancora si possono perfezionare sono nel settore commerciale. A questo scopo Walton affida la gestione delle attività al nipote Gooddy e parte per un viaggio di affari negli Stati Uniti. Sicuramente, nel momento in cui parte Walton non sa che non sarebbe mai più tornato a Carrara. Alla conclusione del faticoso viaggio americano Walton decide di passare un periodo di riposo nella natia Inghilterra. Questo soggiorno si protrae fino alla sua morte avvenuta nell'aprile del 1872.
Alla morte dello zio, Giovanni Gooddy è a capo di una delle più importanti aziende operanti nel settore del marmo, la cui attività continua per molti anni ancora. Nel 1897 sono acquistate le cave del monte Sagro e nel 1904 le cave alla base del Pizzo d'Uccello, sempre in quegli anni è ristrutturata la segheria di Groppoli. Alla metà degli anni Venti si concretizza l'ultima grande ed ardita opera messa in cantiere dalla società Walton e che ben rientra nello spirito imprenditoriale del suo fondatore. E' la costruzione della teleferica tra il Sagro ed il Balzone, la quale con il suo sviluppo di 5 chilometri è in grado di trasportare blocchi di oltre 20 tonnellate di peso e superare lo strapiombo di 800 metri esistente tra il Sagro ed il Balzone.
Si arriva al 1927, anno nel quale inizia la gravissima crisi del commercio mondiale che provoca la chiusura di un numero impressionate di aziende che operano nel settore del marmo. E' una catastrofe che non risparmia neppure le aziende più vecchie e più solide tra le quali la "Walton, Gooddy & Cripps Ltd" che cede tutte le sue attività nel comprensorio apuano per ritirarsi dal mercato italiano.
L'importanza dell'avventura italiana di Walton è tale che ancor oggi numerosi toponimi sparsi sul territorio carrarese lo ricordano.