I signori della notte
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Spetta/Le Redazione
Recentemente sono stati rinvenuti sulle nostre montagne i poveri resti di uno sconosciuto morto da tempo.Questi avvenimenti sono meno rari di quanto si pensi, se già in un frammento di documento del 500 si fa menzione di" decessit per succhia sangue che ivi albergano" anche se non si è capito a cosa si riferiva l'antico cronista.
I signori della notte
La prima guerra mondiale era terminata da poche settimane, e come se ne fosse a conoscenza, in una fredda notte di novembre, in quel di Vezzala nacque Alcide. Questo nome lo ereditò dal nonno paterno, ossia colui che aveva, trasformato un piccolo laboratorio per la lavorazione del marmo, in un'impresa a livello nazionale. La Musetti Alcide marmi, infatti, era famosa perfino a Roma dove esportava i suoi prodotti per abbellire i palazzi della capitale. La sua nascita fu vista come una benedizione, in quanto era l'unico figlio maschio della dinastia. E' chiaro che tutti pensavano che il suo futuro sarebbe stato, dopo un adeguato corso di studi, nel marmo, ma così non fu. Alcide fin da piccolo mostrava una passione smisurata per la natura e tutto ciò che in essa vi era contenuto, in particolar modo era attratto dagli uccelli. Così dopo le elementari, fece il Ginnasio, come si chiamavano al tempo le scuole superiori, e poi, viste le possibilità economiche della famiglia si iscrisse ad uno dei primi corsi di Laurea in Scienze Naturali, all'Università di Firenze. Questa scelta gli costò innumerevoli liti con i genitori, mentre il nonno ormai avanti con gli anni, un giorno lo prese da parte e gli disse in dialetto "cocon fa com a t par! 'l'mportante adè che 'nt'arman un groton come me"(caro fai come vuoi, l'importante che non rimani uno zuccone come me).
Forte di questo consiglio il giovane Alcide si laureò addirittura sei mesi prima del tempo, con 110 e lode, e bacio accademico, con una tesi molto difficile per il tempo, uno studio sugli uccelli notturni. Ma ben presto si rese conto che per quei tempi la sua disciplina non aveva molti sbocchi lavorativi, così fu costretto suo malgrado, a tornare in casa dei genitori dove il padre non passava giorno che non gli rinfacciasse la sua scelta con un "io te lo avevo detto!" Intanto anche la situazione politica italiana si stava ingarbugliando, e le prime avvisaglie dei futuri venti di guerra si stavano palesando, così Alcide, che non voleva assolutamente dipendere dai genitori, si arruolò in Cavalleria dove fu assegnato come responsabile degli stallaggi nel 9° Regimento Lanceri di Firenze. La guerra gli costò, oltre la perdita inutile di cinque anni di vita, anche una ferita alla gamba destra che lo costringerà a zoppicare per tutta la vita. Tornato alla vita civile, in quanto invalido di guerra gli assegnarono un posto come insegnante nelle scuole di Carrara, la sua città natale da cui mancava da molti anni. Ormai cinquantenne, poteva finalmente occuparsi nel tempo libero che non dedicava all'insegnamento, alla sua passione di sempre; gli uccelli. Aveva deciso di occuparsi degli "Strigiformi" ossia di gran parte degli uccelli notturni, che anche dopo la sua tesi di Laurea, erano ancora poco studiati, e che lui da sempre considerava i signori della notte. Essendo pressochè impossibile la loro osservazione nelle ore notturne, Alcide pensò di visitare quei luoghi dove questi uccelli passano il giorno, come grotte, o ruderi, e solo in un secondo tempo, passare ad un'osservazione magari notturna. Cominciò a mappare il nostro territorio prendendo nota di case e fienili abbandonati, vecchi mulini, o castelli diroccati, quindi dopo essersi munito di un vecchio binocolo residuato bellico iniziò la sua ricerca. Nel suo girovagare nei boschi chiedeva anche informazioni a pastori o contadini, se conoscessero qualche rudere o grotta, o avessero avvistato o sentito il verso di qualcuno di questi uccelli, ma tutti lo guardavano come si può guardare un povero rimbambito. Nei primi anni sessanta l'ecologia non era ancora di moda, la caccia era praticata massicciamente, e lui per avere qualche speranza di successo doveva spingersi in luoghi sempre più remoti. Con il suo vecchio "Motom" di seconda mano, si recava nei paesi montani, e da qui a piedi andava a visitare ruderi e case abbandonate in cerca delle "borre" ossia di quelle pallottole di materiale indigeribile che questi predatori alati rigurgitano. Spessissimo quando chiedeva informazioni su case diroccate o caverne, alle donne del paese, queste si segnavano velocemente, e scappavano via spaventate, o si sentiva rispondere di non avvicinarsi a quel luogo perchè "ci si risentiva," ma lui era uno scienziato, e conosceva bene la credulità popolare. Un giorno mentre si trovava nei pressi del Balzone, incontrò un pastore che stava facendo pascolare le pecore, dopo averlo salutato gli chiese se fosse a conoscenza di qualche rudere o casa abbandonata che potesse ospitare questi uccelli. L'uomo lo osservò, e dopo un minuto di silenzio disse" quasi alla Foce di Pianza, in un canale c'è una casetta mezza diroccata che era di un pastore, ma io non ci andrei!" "e perchè mai" rispose piccato Alcide "è forse vietato?" " no" rispose sornione l'uomo "ma a si arsent" "ho capito, la ringrazio" rispose Alcide divertito. Dopo quasi mezz'ora di cammino arrivò sul posto. Era sudato fradicio, e colse l'occasione per sedersi su una pietra e osservare la costruzione. Era fatta con blocchi di marmo rozzamente squadrati, a pianta rettangolare, e in origine doveva essere a due piani, il tetto era per metà crollato, e mostrava le poderose travi in castagno ormai marce. La parte verso monte però era ancora in piedi, e vi si accedeva attraverso una porticina nascosta da rovi spinosi. Dopo essere entrato vide che la stanza era più grande di quanto sembrasse da fuori, piena di cavità tra i sassi delle mura, era rifugio ideale per gufi e civette, sulla parete di fondo vi era una porticina chiusa da un pesante catenaccio che, chissà dove portava. Quando gli occhi si furono abituati alla semioscurità, notò delle chiazze rossastre sul pavimento, si chinò, e vide che si trattava di sangue coagulato, sicuramente era qui che qualche rapace notturno, spolpava le sue vittime. Le sue osservazioni furono interrotte da un belato, si affacciò sulla porte e vide tre pecore bianche e una splendida ragazzina che lo osservava incuriosita. "Buongiorno" disse sorridendo Alcide "non ti spaventare sono solo un ornitologo che fa ricerche" la ragazza lo guardò e rispose "anche se non ho capito chi sei, e cosa fai, io non mi spavento." Gran bella ragazza pensò Alcide, che aveva notato la sua pelle di un biancore virgineo, i capelli color dell'oro, e gli splendidi occhi azzurri, poi pensò che non vi fosse nulla di male a pavoneggiarsi un po e disse" vedi qui dentro di sicuro vive un predatore, o forse anche un vampiro visto che c'è del sangue per terra, comunque non ti preoccupare, i vampiri non possono stare alla luce del sole, e poi io ti proteggerei, come ti chiami, io sono Alcide" la fanciulla si avvicinò e tendendogli la mano gli disse" io mi chiamo..." volutamente non finì la frase! Afferrò Alcide per un braccio e come se fosse senza peso, dopo averlo sollevato da terra, lo scagliò con violenza contro il muro di pietra, quindi, si avvicinò ancora all'uomo semintontito dalla forte botta, lo afferrò ancora per il bavero della giacca, e senza sforzo apparente lo portò all'altezza della sua faccia, poi sibilando gli disse " sono qui da 400anni, per sfuggire a voi umani che ci volete distruggere, ho imparato a vivere con il sangue delle mie pecore, stando ben attenta che non muoiano, questa è la mia casa, ed è qui che bevo il loro sangue, e ora per colpa tua dovrò andarmene....A proposito non è vero che i vampiri temono la luce del sole...Guarda me!" E gli affondò i denti nel collo. Quasi sei mesi dopo il cane di un cacciatore trovò i miseri resti del corpo di Alcide, le Autorità, non potendo stabilirne con certezza le cause, decretarono che il decesso fosse avvenuto per un malore, e fu archiviato come "per cause naturali."
Mario Volpi
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