Un tragico anniversario
1944 Il fronte
Spetta/Le Redazione
Da pochi giorni si è celebrata una ricorrenza tragica per tutto il popolo italiano, e questo aldilà dell'effimera chimera di vittoria, o sconfitta ma solamente per cercare di ricordare alle nuove generazioni che tali barbarie non devono più avvenire, sopratutto per motivi così futili e inutili.
Il 24 ottobre, di un secolo fa, esattamente nel 1917, l'esercito italiano, impegnato in una insensata guerra contro il Regno Ottomano, il Regno di Bulgaria, l'Impero Austro-Ungarico e la Germania, conoscerà a Caporetto, una della maggiori disfatte militari della sua storia, che causò migliaia di morti, anche tra la popolazione civile, ma sopratutto una ferita morale, così profonda, che il nome "Caporetto," entrerà per sempre nel lessico corrente, come sinonimo di disfatta. La ragione di una tale tragedia è da ricercarsi in maggior parte nell'incapacità, e dall'arroganza del Capo di Stato maggiore del regio Esercito Italiano del tempo, il generale Luigi Cadorna. Anche la sua promozione a tale incarico, è dovuta non a meriti speciali, ma al caso. Il Capo di Stato Maggiore dell'esercito prima della dichiarazione di guerra nel 1914, era il Generale Alberto Pollio, un militare di carriera che aveva più volte manifestato al Governo la necessità di adeguare l'esercito ai nuovi compiti cui sarebbe stato chiamato, fornendogli più armamenti, ma sopratutto più addestramento, con la formazione di ufficiali e sottufficiali capaci. Pollio ne aveva stimato anche il costo, circa 400 milioni. Ma il fato, come spesso succede nella vita, ci mise del suo, e Pollio colpito da infarto, morì improvvisamente prima della dichiarazione di guerra, spianando così la strada a colui che lo avrebbe indegnamente sostituito, Luigi Cadorna. Prima di tutto, però bisogna analizzare come fece l'Italia ad entrare in un conflitto da cui, anche in caso di vittoria, avrebbe ottenuto poco o nulla. L'assassinio dell'Arciduca Francesco Ferdinando a Serajevo, causò la dichiarazione di guerra dell'Impero Austro-Ungarico alla Serbia, a cui per una serie di patti di alleanza stretti in precedenza, si unirono altre Nazioni. Così si formarono due blocchi; Germania, Impero Austro-Ungarico, Regno Ottomano, e Regno di Bulgaria, contro; Francia, Regno Unito, e Impero Russo. In un primo momento l'Italia, anche se formalmente alleata a questi ultimi, decise per la neutralità, ma gli interessi economici e politici di alcuni poteri forti, spinsero con ogni mezzo per l'interventismo. Ovviamente da questa decisione venne praticamente esclusa la classe contadina, al tempo più della metà della popolazione, sopratutto a causa dell'analfabetismo, che gli impediva la lettura dei giornali, o delle difficoltà di raggiungere e informare i villaggi, spesso posti in luoghi poco accessibili. I fautori della causa per l'intervento poi, usarono anche personaggi di spicco come Gabriele D'Annunzio, per portare il consenso delle masse in loro favore, facendogli fare comizi dove, argomenti come onore, gloria, e valori morali e religiosi, erano usati per ottenere l'approvazione del popolo. Ma la beffa più grande l'Italia la ebbe proprio dopo la dichiarazione di guerra, durante quella che sarebbe passata alla storia come lo scellerato "Patto di Londra" firmato dal primo ministro di allora Antonio Salandra. Questo diceva che per alleggerire le pressione militare sulla Francia, l'Italia era costretta ad attaccare le forze tedesche e austro-ungariche ogni volta che la Francia lo richiedeva. Così, il Regio esercito italiano, male armato, male comandato, con scarsissime risorse alimentari e logistiche, fu schierato su un fronte lungo 650 Km, tra le aspre montagne delle Dolomiti, del Carso, e dell'Altipiano di Asiago. Ed è qui che cominciò un vero e proprio inferno per i soldati italiani. Cadorna era ossessionato da una visione ottocentesca della guerra, con gli schieramenti posti uno di fronte all'altro in trincee pesantemente difese da mitragliatrici, filo spinato e campi minati, dove le offensive, che lui chiamava "spallate" causavano migliaia di morti e feriti in attacchi insensati per ottenere nessun risultato in campo militare. Dopo mesi e anni di offensive inutili e sanguinose, per ottenere il massimo dai soldati stanchi e demotivati, non esitò a ricorrere alle "decimazioni" dove, decine di soldati presi a caso uno, ogni dieci, venivano fucilati per codardia. Si pensi che ai nostri soldati mancavano persino i colpi per i fucili, per non parlare delle munizioni per le artiglierie. I tedeschi a ottobre del 1917, distolsero diverse divisioni su altri fronti e le concentrarono proprio su Caporetto, con un grande numero di cannoni, usando anche i micidiali proiettili caricati a gas, come il Fosgene e l'Aprite. Le truppe italiane non ressero all'urto e ripiegarono sulle sponde del Piave, dove dopo essersi riorganizzate, cambiato finalmente Cadorna, che, anche in questo caso non esitò a scaricare la sua incapacità tattica sulle vigliaccheria delle truppe, con Diaz, e ottenuto i rifornimenti di armi e viveri necessari, contrattaccarono fino alla vittoria, che di fatto portò poco o nulla, ma che causò al popolo italiano 650.000 morti e un milione di feriti. Le Nazioni vincitrici poi, si accanirono così tanto sulla Germania, mettendola in ginocchio per le sanzioni e i danni di guerra, da suscitare nel popolo tedesco una sete di vendetta che sarebbe da lì a poco sfociata nel nazismo, con tutto quello che esso causò.
Mario Volpi
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