L' urlo del lupo
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Spetta/le Redazione
Vi propongo una nuova storia popolare, ambientata in era medievale. Casaponci, (Castelpoggio) nella sua storia millenaria, forse per via della sua ubicazione, sorto proprio sulla antichissima via del sale, era passaggio obbligato di mercanti, viandanti, e pellegrini, che raccontavano, spesso ingigantendole o esagerandole, le loro disavventure del viaggio. Certamente solo fantasie ma alcune volte.....
L'urlo del lupo
Argante, era un mulattiere; da sempre! Fin dalla tenera età di sette anni, il padre lo portava con se, per insegnargli il mestiere, e anche ora, a distanza di decenni, ricordava, con una punta di nostalgia, quando, al tramonto, dopo una dura giornata di lavoro, vedendolo ciondolare stanco morto, lo metteva seduto sul bastro del mulo di coda, dove, complice il dondolio, cadeva in una sorta di dormiveglia estremamente piacevole. Ma purtroppo era dovuto crescere in fretta. Suo padre quando lui era appena adolescente morì all'improvviso, colpito dal calcio di un mulo, che si era imbizzarrito per l'attacco di un lupo, così nel lavoro era subentrato lui. Si era subito accorto che continuando a trasportare merci per conto terzi, sarebbe stato destinato ad una vita di stenti come quella del padre, così prese una decisione molto rischiosa, ma che ora, dopo appena cinque anni lo stava ripagando alla grande. Aveva capito che la merce, più era rara, e più costava, così aveva pensato di acquistarla nel paese di produzione, e rivenderla dove questa scarseggiava. Ora, grazie a questa sua idea aveva ben quindici muli di proprietà, si era costruito una grande e comoda casa in legno nel nuovo borgo di Fossola, e aveva addirittura un apprendista, Romualdo. Una volta al mese si spingevano oltre il Passo del monte Bardone, nelle ricche terre della grande pianura, l'Emilia, dove scambiava acciughe sotto sale della nostra Marina, con grano, avena, orzo, o farina. I doganieri ormai lo conoscevano e lo lasciavano passare senza troppi controlli, così lui aveva costruito un doppiofondo in quattro barili, dove vi stavano comodamente 10 libre di sale fino, che poteva vendere a peso d'oro. Viaggiava solo fino al tramonto, perchè la notte le strade erano il regno dei "rubatori delle strade," oltre che di demoni e streghe. Questa regola era tassativa, e suo padre, quando era vivo, non si stancava mai di ripeterla, egli la rispettava, anche se, in verità, non credeva troppo a quanto andava dicendo la gente su streghe e demoni. In ogni paese di Carrara, esisteva un luogo o una casa dove, si diceva, ci si "risentisse", addirittura secondo la gente, appena fuori il paese di Casaponci, in una stamberga isolata prima del Giogo del monte Forca, vi abitava addirittura un lupo mannaro. In verità da quel luogo egli vi passava sovente, quando andava a comperare carbonella alle carbonaie di Pulica e Marciaso, per rivenderle in città, e più di una volta, mentre i muli si abbeveravano nel ruscello li vicino, aveva scambiato due chiacchiere con quell'uomo accusato di tale stregoneria. Era un' uomo già avanti con gli anni, ma ancora forte e vigoroso, tutti lo chiamavano Filì, era solo, e per vivere aveva qualche pecora, e con l'aiuto d'un asinello per il trasporto, raccoglieva fascine di legna per il fornaio del paese, in cambio di qualche pagnotta. Vestiva malamente, con un rozzo mantello ricavato da una pelle di pecora, e una corta tunica di tessuto di ginestra che aveva conosciuto tempi migliori. Forse perchè aveva sempre dovuto combattere per ottenere qualcosa nella vita, Argante aveva un cuore d'oro, dote non comune ai suoi tempi, così vedendo l'estrema povertà di quell'uomo, ogni volta che passava cercava di dargli qualcosa, come una mezza libbra di farina, un po di carbonella, o un pugno di olive salate, stando però molto attento a non offenderlo, e a non fargliela pesare. L'uomo, che era di poche parole, abbozzava boffochiando un ringraziamento, che Argante ricambiava con una franca risata, o un cenno della mano. Il suo commercio intanto progrediva sensibilmente, tanto da essere chiamato più di una volta dal Siniscalco di sua Signoria Alberico, per comperare la sua merce, giudicata "la migliore della Civitas." Purtroppo la notorietà non è sempre positiva, così circa un' anno fa, mentre trasportava un carico di avena verso Miseglia, si vide improvvisamente la strada sbarrata da quattro o cinque "pezzenti," armati di daghe e bastoni. Insieme a Romualdo, dopo essersi cavati dalla cintura i fidi pennati, erano risoluti a vendere cara la pelle, ma l'improvviso apparire di due cavalieri che avanzavano di gran carriera, misero in fuga i maramaldi. In cuor suo Argante pensò che questo non sarebbe più dovuto accadere, e dopo due giorni si recò nella bottega di Mastro Venceslao, il più abile armaiolo del paese di Pontremal, che per mezzo barile di acciughe, e due libre di sale fino, gli costruì un bordone con artifizio. Era di legno di castagno stagionato, lungo tre braccia, con da un lato un pomello di radica ricurva, che girandola contro verso, faceva scattare dal lato opposto una lama di solido acciaio di Toledo, lunga più di un palmo, con la punta fine e affilata su ambo i fili. Da quel brutto giorno, Argante non si separava mai dal suo bordone, che oltretutto gli serviva egregiamente per rendere più sicuro il suo cammino. Si arrivò così a una fredda e piovosa giornata di gennaio. Argante era partito presto da Fossola con soltanto cinque muli, era solo, perchè Romualdo era in preda a un febbrone da cavallo che non gli permetteva di reggersi in piedi. Doveva recarsi nel paese dei sette castelli, Mulazzo, per caricare carbonella, ma sulla via del ritorno un violento temporale lo costrinse a fermarsi nei pressi di Fosdinovo. Quando finalmente il temporale cessò egli decise anche se tardi, di rimettersi in cammino, la casa era ormai vicina. Intanto come avviene nel periodo invernale, la sera scese quasi di colpo, e una fitta oscurità lo costrinse a fermarsi. Dopo aver legato i muli in colonna, accese la lucerna da viaggio, e si pose in testa alla fila prendendo in mano le redini di Nero, il mulo capocolonna, e si rimise in cammino. Un gelido vento di tramontana spazzò completamente le ultime nubi nel cielo, e una splendida luna piena, rischiarò di una luce spettrale quella gelida notte. Il vento fischiava tra gli alberi completamente spogli, con un verso lamentoso, che metteva i brividi. "Dai Nero" disse Argante a voce alta " tra poco siamo a casa e ci sarà biada per te, e una zuppa calda per me" ma si accorse di averlo detto ad alta voce per esorcizzare la paura, che con le sue dita gelate gli solleticava la spina dorsale. Le bestie, tese nello sforzo della salita, fumavano come zolfatare, sempre più incitate da Argante che ormai le faceva procedere quasi di corsa. Di colpo un' urlo terrificante ruppe il silenzio della notte, non aveva nulla di umano, ma non assomigliava a nessun verso di animale che egli avesse mai udito. Sentì i peli drizzarsi sulla nuca, e mentre i muli cominciavano a scalpitare, approfittando di un piccolo tratto quasi pianeggiante fermò la carovana, e legò saldamente Nero all'albero più vicino, per poter sentire nel silenzio più assoluto da dove provenisse. Lo scatto della lama che usciva dal bastone animato, gli diede un po di coraggio, mentre alzava la lucerna nel vano tentativo di fare più luce. Un sordo brontolio lo fece girare di scatto, e lo vide. Un grosso lupo nero era accucciato dietro una grossa ciocca di castagno, a un passo da lui, vide con terrore l'enorme bocca ghignate con le poderose zanne scoperte, e due occhi gialli che lo fissavano. Per un lungo momento nulla si mosse, ma poi l'istinto di conservazione di Argante ebbe la meglio, e il bastone ferrato scatto verso la gola del lupo con inaudita rapidità. Con un'urlo agghiacciante, la bestia balzò all'indietro, e gemendo sparì nel bosco. Ci volle un pò ad Argante per riprendersi e sopratutto per calmare i muli, che se non fossero stati legati all'albero di certo sarebbero fuggiti. Con il cuore in gola riprese il cammino, ma quando fu a poca distanza dalla vecchia stamberga di Filì, vide un corpo riverso proprio in mezzo al sentiero. "Un'altra vittima di quella bestiaccia" pensò, mentre si avvicinava correndo. Completamente nudo, immerso in una pozza di sangue per una grossa ferita alla gola, Felì stava rantolando. Argante cercò di sollevarlo un poco, sentendosi toccare Felì aprì gli occhi, e con voce flebile e nello stesso tempo cavernosa disse" avrei potuto ucciderti, ho esitato perchè sei stato l'unico ad essere....E spirò.
Mario Volpi
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