La leggenda del Forato
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Viviano era amareggiato. Con sua moglie si era trasferito dall’Emilia, al paese di Vagli in Garfagnana, terra verdeggiante che prometteva abbondante foraggio per i suoi armenti. Ormai da più di un anno viveva in paese, ma i compaesani, e la sua stessa moglie continuavano a sbeffeggiarlo. Sì, perché Viviano era gobbo e zoppo, e spesso si chiedeva perché il buon Dio si fosse accanito così tanto con lui. Un giorno, mentre si trovava sulla montagna a pascolare le greggi, si sentì chiamare, ma non vide nessuno, stupito si alzò in piedi, e vide una bianca figura scendere dal cielo. Era circondata da una luce abbagliante, mentre un profumo inebriante e una musica celestiale lo lasciarono stupito ed estasiato. Spaventato il povero Viviano, cercò di fuggire, ma la figura misteriosa lo fermò dicendo “Viviano non voglio farti del male, vieni seguimi, il Signore ti ha scelto per una missione.” Il povero pastore seguì l’apparizione che dopo poco si fermò davanti a una grotta, e gli disse. “Da oggi questa grotta che tutti chiamano la tana dell’omo selvatico, sarà la tua dimora, vivrai cibandoti di miele selvatico, bacche e radici, pregherai e loderai la grandezza di Dio” Viviano cadde in ginocchio, ma la figura era già sparita. Da quel giorno molti anni erano passati, e il povero storpio aveva potuto apprezzare la grandezza di Dio, riflessa in ogni cosa del creato. Aveva ammirato i ruscelli di montagna che scendevano cantando, serpeggiando tra le sassose sponde ricoperte di muschio vellutato, il maestoso e possente volo dell’aquila, che sembrava disegnare arabeschi nel cielo, il gelo delle notti invernali, che ricopriva il creato di un impalpabile e prezioso velo argentato, o il nero cielo notturno punteggiato da miliardi di stelle. Una notte di tempesta, udì la voce del Signore che gli confidò che la grotta dove abitava, era la porta degli Inferi, che Dio voleva usare per precipitarvi le anime dannate, ma poi si era pentito, e costruì un labirinto davanti all’ingresso, perché nessuno potesse trovarla “tu ne sarai il custode” disse con voce tonante, “solo tu ne conoscerei il segreto.” Così per molti giorni al lume di una candela di sego, Viviano si addentrò nelle viscere della spelonca, e ciò che vide lo lasciò senza fiato. Imponenti stalagmiti, si ergevano come colonne di pietra reggendo la volta altissima, da dove pencolavano nel vuoto, come una trina preziosa, stalattiti di un bianco abbagliante, sulle pareti drappeggi pietrificati millenari, assumevano le forme di animali fantastici. Dopo un lungo e faticoso cammino nelle viscere della terra, arrivò davanti a una gigantesca porta di solido granito rosso fuoco, era rovente, e la sua sola vicinanza bruciava la pelle. Viviano si fece il segno della croce e fuggì terrorizzato. Gli anni passavano, e il povero eremita sentiva che i suoi giorni terreni erano alla fine. Le genti dei dintorni affermavano che il sant’uomo che viveva nella tana dell’omo selvatico a ridosso della Pania e del canale delle Verghe, era ormai in odore di santità, e spesso molti di loro, vincendo la paura nei confronti di quell’orrido luogo, vi si recavano per chiedere qualche grazia. Un gelido giorno di gennaio, la neve turbinava furiosa, spinta da un’ululante vento proveniente da Nord, il tramonto era vicino, e l’eremita si strinse ancora di più nel consunto mantello di pecora, ma mentre attizzava il fuoco, udì un lamento, provenire dall’ingresso della grotta. Subito accorse, e si trovò davanti ad uno povero corpo che strisciando faticosamente, forse attirato dalla luce del fuoco, si trovava a pochi passi dall’ingresso della spelonca. Sulla Pellegrina all’altezza del cuore, una grossa chiazza di sangue si stava raggrumando, mentre il poveretto, certamente un pellegrino, ebbe appena la forza di dire che tre briganti avevano tentato di derubarlo della bisaccia che porse al vecchio, che non conteneva denaro, ma solo le sacre reliquie provenienti da Roma, quindi con un rauco gemito spirò. La mattina dopo Viviano portò fuori il corpo del poveretto e gli dette cristiana sepoltura, ma mentre stava recitando un de profundis, ecco che apparvero tre brutti ceffi. Erano armati di lancia, e dei grossi coltelli gli pendevano dal fianco, dopo aver circondato il sant’uomo quello che sembrava il capo disse “consegnaci la bisaccia di quel viandante, e forse avrai salva la vita!” Vivano, non si scompose e rispose, “fratelli pentitevi del vostro gesto che ha tolto la vita a questo poveretto, e il buon Dio forse non vi scaraventerà all’Inferno.” I tre briganti scoppiarono in una rauca e sguaiata risata e poi il capo disse, “ho capito, dovrò uccidere anche te prima di prendere la bisaccia e andare a saccheggiare i paesi di Fornovalasco, e di Colle di Favilla.” Fece per vibrare un colpo di lancia, ma un terribile tuono lo fece fermare, prima che un’accecante folgore, trasformasse tutti e tre, in un menhir di pietra nera. Una tiepida notte di maggio Viviano era sdraiato all’interno della sua grotta, sentiva che la fine era vicina e pregava per raccomandare a Dio la sua anima, quando con un acre odore di zolfo, apparve il Demonio in persona. Con voce cavernosa disse, ” so che da qui si può entrare nel mio regno, indicami la via o morirai.” Viviano per nulla intimorito rispose” Certo tu puoi uccidermi, ma così facendo la mia anima andrà in Paradiso, e a te non resterà nulla, quindi ti propongo una sfida accetti?” Con un’orrenda risata Satana rispose, ” vecchio, ti reggi appena in piedi, come pretendi di vincere il re degli Inferi?” “Appunto” rispose il sant’uomo” dunque cosa hai da perdere? Se vincerai tu, t’indicherò la via, e ti darò la mia anima, se perdi, scomparirai per sempre da questo luogo” “Va bene accetto” disse il Diavolo, ” cosa devo fare?” “Vedi quel monte con due cime? Ti sfido ad arrivare lassù prima di me, con sulle spalle questo sacco di cavoli selvatici, accetti?” “Partiamo, ” rispose il Demonio caricandosi sulle pelose spalle il sacco di cavoli. Senza farsi notare, Viviano, segnò il sacco con il segno della croce, che così ad ogni passo diventava sempre più pesante. Satana sbavava e sudava fuoco dalla fatica, mentre Viviano saliva agevolmente. Quando raggiunse la cima, il Santo si mise ad aspettare il Demonio, che dopo parecchio tempo giunse completamente esausto.” Ma come!! Il Signore degli Inferi si è fatto battere da un povero vecchio?” Lo sbeffeggiò Viviano. Il Diavolo furioso scagliò il suo tridente verso il poveruomo, ma proprio in quell’attimo sorse il sole che lo abbagliò, facendogli sbagliare la mira. Il diabolico tridente colpì con inaudita potenza una delle due cime, la valle tremò e si coprì in una nube di polvere. Quando il pulviscolo mescolato alla cenere si dissolse apparve nel monte un gigantesco foro che è tutt’oggi presente, conosciuto come il Monte Forato.
Del santo non vi era più traccia, e sul posto erano nate piante di cavolo selvatico. Il diavolo incredulo, dall’arco di pietra sentiva provenire la voce del santo che continuava a sbeffeggiarlo. Così inferocito raggiunse l’estremità e sporgendosi sempre di più per vedere da dove provenisse la voce scivolò giù fino a Pruno rompendosi l’osso del collo.
Leggenda o verità? Difficile stabilirlo, ma ancora oggi a Campocatino, il 22 di maggio si raccolgono cavoli selvatici per portarli al santuario dedicato a San Viviano, per ringraziarlo di aver scacciato per sempre il Diavolo da quest’angolo della Garfagnana.
Mario Volpi
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