Nebbie sul Massaciuccoli
Itinerari lucchesi
"È l’incertezza che affascina. La nebbia rende le cose meravigliose."
(Oscar Wilde)
N E B B I E
Quella mattina mi alzai da letto e dopo aver infilato le ciabatte, mi recai alla finestra. Erano le sei e trenta, tirai su la tapparella, fuori era ancora notte e una pioggerellina leggera leggera scendeva copiosa sulla città che dormiva ancora. Man mano che passavano i minuti alcune finestre del condominio difronte si accendevano come fossero tante caselle luminose sopra una scacchiera di cemento. Il sole da giorni aveva abbandonato la nostra cittadina e quel giorno tra l’altro era anche l’ultima mattina di zona gialla, dal giorno dopo saremmo ripiombati nel lockdown totale prenatalizio. Mentre gustavo il caffè pensai a come trasformare una giornata che si annunciava bigia, vuota e dozzinale in una giornata interessante. Così mi domandai: perché non andare al Massaciuccoli!? Sapevo che una delle postazioni in legno per il birdwatching è riparata dalle intemperie e senza pensarci su due volte in quattro e quattr’otto mi preparai e partii . Nel breve tragitto per raggiungere la meta, mentre il tergicristallo spazzava via lance d’argento che si scagliavano sul parabrezza dell’auto, ebbi la netta sensazione che quella mattina mi avrebbe regalato qualcosa di speciale, non sapevo cosa, ma ne ero convinto. Eh si pensai, sono tutti buoni uscire di casa in una bella giornata di sole e scattare ottime foto, quel ventitré dicembre visto il brutto tempo sarebbe stato bello anche per me rimanere in casa al calduccio con un buon libro tra le mani e a messaggiare con gli amici di tastiera ma avevo avuto quella idea un po' folle , e mentre guidavo ne ero felice. Giunto nei pressi della mia destinazione dal viadotto autostradale gettai lo sguardo sul paesaggio sottostante: sembrava senza contorni, il lago e la pianura di Massarosa erano avvolti in una fitta nebbia, come se qualcuno gli avesse posato sopra una coperta bianca. Uscito dall’autostrada mi aspettavo da un momento all’altro di andare a sbattere contro quel muro bianco, invece arrivai incolume al Massaciuccoli . Il cielo era pieno di nuvole plumbee cariche di pioggia. Accostai l’auto di fianco ad un furgone rosso dalle tendine ai vetri con la targa tedesca, era parcheggiato davanti al casolare arancione dell’oasi Lipu che aveva gli scuri delle finestre ancora chiusi. Un camioncino dell’azienda municipalizzata bianco e verde, dopo aver caricato sopra il cassone il sacco nero dell’immondizia del giorno precedente, stava lasciando il parcheggio. Passandomi a lato, l’uomo dalla testa calva alla guida del mezzo mi salutò con un cenno della mano. Contraccambiai il saluto e gettai lo sguardo sul l’orologio a led del cruscotto, segnava le 7.45. Spensi il motore, scesi dall’auto, misi il mio cappellino preferito color antracite dalla visiera piccola, caricai lo zaino sulle spalle e dopo aver chiuso la portiera mi avviai lungo la passerella di legno tra il canneto che conduce alla palafitta. Nel breve tragitto il lago rimane nascosto dalla vegetazione e non si vede l’ora di arrivare sulla sponda per godere della scena che l’acqua cheta regala a chi la sa apprezzare. Ma quella mattina uno spettacolo superbo sembrava quasi volesse rubarle il palcoscenico, ed era proprio davanti ai miei occhi. Le foglie delle canne e i pennacchi ormai ridotti a filamenti trattenevano gocce d’acqua illuminando la palude con miriadi di piccole lucine, mentre solitarie ragnatele ricamate tra la vegetazione spiccavano come collier di piccole perle dello Sri Lanka. Mi voltai e dalla parte opposta del lago il campanile della chiesa di San Lorenzo circondato dai cipressi fuoriusciva dalla nebbia. Tutto il colle Paradiso attorno allo specchio d’acqua era avvolto nella foschia. Mi fermai a godermi quegli attimi non sapendo ancora cosa mi avrebbe riservato la palude. Poggiai a terra lo zaino, feci scorrere la cerniera ed estrassi la digitale. Dopo aver controllato le impostazioni, difronte alla bellezza di quei quadri, iniziai a scattare fotografie per fermare quegli attimi meravigliosi e irripetibili. Dopodiché percorsi ancora un centinaio di passi e arrivai alla postazione, posai lo zaino e guardai fuori dalle fessure create appositamente per osservare la fauna e rimasi basito. La nebbia posata sul lago, come fosse una gomma aveva cancellato i colori e le cose che di consuetudine ero abituato a vedere. Gli isolotti di canne e arbusti non c’erano più, così come le vecchie arrugginite palafitte dei pescatori erano sparite. Sentivo lo stridio dei gabbiani e i versi goffi degli aironi ma non riuscivo a vederli, eppure sapevo dove fossero. Conosco con precisione millimetrica la posizione delle cose in quel luogo, cose che esistono e sono lì da sempre: come il battello Burlamacco ancorato nella piccola darsena, la casa della Lipu, e le staccionate in mezzo al lago dove si fermano gli uccelli. Tra me e quel mondo invisibile c’erano ancora pochi metri di distanza, ma in un paio di minuti quella distanza si colmò, la nebbia silenziosamente ingoiò la baracca, mi avvolse, e fu il silenzio, il nulla. Per un attimo mi assalì l’angoscia, l’essere ingoiato dentro questa fitta nebbia sul lago mi inquietò e un brivido freddo mi percorse lungo la schiena. Inspirai lentamente riempiendo i polmoni di quell’aria umida e greve, trattenni il fiato qualche secondo, dopodiché svuotai la cassa toracica, feci un lungo sospiro, mi rilassai e divenni parte integrante di quel mondo grigio. Nella mia testa risuonavano le note della Madama Butterfly e su quella melodia gettai nelle acque chete del Massaciuccoli segreti inconfessabili che il lago si porterà via per sempre, e in quella solitudine immaginai e pensai di tutto. Vidi anatre danzare a tempo di musica dirette da un bellissimo cigno bianco, e mostri marini a più teste emergere e prendermi con le loro lunghe mani viscide dalle unghie di fuoco per poi trascinarmi sul fondo. Immaginai avanzare verso di me stormi di enormi uccelli camminando sull’acqua come fossero tanti soldati in fila indiana raccolti nelle loro uniformi a volte grigie, nere o bianche. Le vidi raggiungere la baracca e, con i loro appuntiti becchi come fossero spade, cercare di colpirmi. Nulla potei contro quell’esercito alato, mi divincolai più volte schivando i loro colpi, ma poi mi catturarono, non sapevo perché. Dopo avermi legato con corde di canapa mi condussero al cospetto del loro grande capo al di là dell’orizzonte e li appresi il motivo della mia prigionia. Diverse volte aggirando sentinelle e corpo di guardia avevo invaso i loro territori disturbando la loro pace, e per questo ce l’avevano con me. In quel silenzio udii alberi scheletrici dalle profonde ferite raccontarsi storie di velieri fantasma arenatesi sulle sponde del lago e di equipaggi trasformati in statue di fango. Poi all’improvviso un rumore amico mi rincuorò e rinvenni. Era il ritmico ticchettio della pioggia che batteva insistermene sopra il tetto della baracca, alcuni isolotti di canne e arbusti riemersero dalle acque chete del lago come relitti, per poi sparire nuovamente. Tutto ad un tratto ebbi la sensazione di essere osservato in silenzio da qualcuno, uscii dalla baracca e sulla sponda intravidi una sagoma colorata, indefinita, forse era una donna. Mi diressi verso di lei e più mi avvicinavo più lei si allontanava, allora iniziai a correre su quel camminamento di legno reso scivoloso dalla nebbia, correvo posando le mani sul corrimano per non perdere l’equilibrio e finire a terra, ma non la raggiunsi mai. Quella nebbia sul lago era semplicemente triste, desolante, misteriosa ma affascinate, e io in quella solitudine mi sentivo il padrone incontrastato di quel mondo. Poi com’era arrivata in silenzio se ne andò, ridando al luogo l’immagine di sempre, e anche la pioggia cessò. I cormorani era appollaiati sui pali che affioravano dalla superficie, le oche bisticciavano con le folaghe, un solitario pettirosso saltellava sulla terra paludosa e un airone cenerino immobile aspettava che passasse a tiro di becco la sua preda, mentre un martin pescatore posandosi sopra un esile ramo d’ontano faceva cadere delle gocce d'acqua che andavano a perdersi in piccoli cerchi concentrici nella pozzanghera sottostante. Le note di Puccini che risuonavano nella mia mente si abbassarono fino a svanire del tutto. Posai la mano contro il vetro invisibile della fessura della baracca, e come fosse una finestra appannata dalla condensa con le dita iniziai a pulirla, e così la nebbia indietreggiò del tutto. Torre del Lago dall’altra sponda riapparve, come le case dei pescatori, le canne, gli arbusti, i gabbiani,… a quel punto me ne venni via, di lì a breve sarebbe diventata una giornata normale, e capii che un giorno di nebbia non è per caso.
N E B B I E
Massaciuccoli 23.12.20
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N.B
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