Area archeologica del Tino
Itinerari liguri
La chiesa e il monastero di Santa Maria e San Venerio nascono per volontà del vescovo di Luni Lucio, che diede l’incarico ad un prete benedettino di nome Pietro di costruire una chiesa per le sacre reliquie sopra la sepoltura del santo. Così nasce nella metà del Mille il complesso che vediamo ( quello che rimane ) è identificabile con i resti dell’abside della chiesa di epoca altomedioevale, a cui in seguito fu aggiunta una seconda, messe in luce dagli scavi archeologici. Sette anni più tardi il complesso sarà consacrato dal vescovo di Luni, alla cui tutela è però sottratto nel 1063 da papa Alessandro II che lo pone alle dipendenze della Sede Apostolica. In seguito l’ordine benedettino divenne potente e ricco di chiese e possedimenti anche in Corsica, per il patrocinio dei marchesi Obertenghi, e soprattutto grazie ai signori di Vezzano, che dominavano Portovenere, e le isole delle Grazie. In seguito il monastero fu affidamento all’ordine olivetano, nonostante la costruzione di una nuova cappella il complesso monastico romanico e il culto del santo entrano in decadenza, aggravatasi soprattutto con la soppressione delle congregazioni religiose della Repubblica Ligure ( 1798 ), che portò di conseguenza alla vendita dell’isola a privati. Oggi rimangono dei ruderi ben conservati come il chiostro del cenobio nel centro del piccolo cortile, gli archi e le colonnine. In un pilastrino posto all’ingresso troviamo una raffigurazione in marmo di Luni con un leone da un lato e dall’altro sono raffigurate foglie, piante e fiori. Il rilievo marmoreo può essere interpretato in questo modo. Il leone, posto all’ingresso del paradiso, che sarebbe raffigurato dalla flora ti protegge, ma nello stesso tempo a seconda di come ti comporti ti sbrana pure. Il paradiso rappresentato dalle piante dai fiori e dalle foglie è il Tino. Durante l’Ottocento con l’inserimento del complesso insulare, anche per l’importante faro, nell’ottica di fortificazioni della piazza-forte spezzina e del golfo, si giunse ad un esproprio demaniale ( 1864 ), con affidamento alla Marina Militare. Negli anni Cinquanta il desiderio di ristabilire il culto di San Venerio nel golfo della Spezia e di poter almeno il 13 settembre consentire alla popolazione il pellegrinaggio al luogo santo, con l’accesso all’isola del Tino, produsse risultati fondamentali. In campo storico-archeologico si ebbe il restauro delle superstiti strutture monastiche e parallele campagne di scavo, che misero in luce l’attuale area archeologica. Nel 1901 l’architetto Alfredo d’Andrade visitando l’isola capì che sotto ai rovi vi erano dei resti importanti risalenti al secolo X e degni di essere studiati e conservati, era il monastero di San Venerio. Così iniziarono i primi scavi della Soprintendenza e portarono alla luce frammenti di archi, colonnine, capitelli, mensole che vennero riposizionati nel corso dei restauri. Gli scavi proseguirono in diverse anni ( 1961 – 1963 – 1980 ) e le campagne di ricerche portarono non solo il recupero di elementi architettonici, ma anche alla datazione dei resti posti in luce. Gli scavi hanno portato alla luce anche alcune sepolture medioevali. Nei pressi del chiostro erano deposti alcuni scheletri. Due appartenevano a individui di sesso maschile, un bambino sotto i sette anni e una donna. Pertanto è da escludersi che si trattasse del cimitero dei monaci. Piuttosto erano famiglie di privati che, in cambio di offerte e donazioni, potevano essere sepolti nel monastero, accanto alle reliquie di San Venerio. Insieme ai reperti di epoca romana lo scavo ha restituito manufatti medioevali in ceramica come vasi, piatti, brocche bicchieri, pezzi di vetro e alcune monete di età romana imperiale. Per lo più le ceramiche sono oggetti relativi al pasto e alla mensa, che servono a ricostruire le abitudini del ristretto nucleo dei monaci che continuò ad abitare nel convento, anche dopo il trasferimento presso la chiesa di Nostra Signora delle Grazie al Varignano.
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