La battaglia Liguri Apuani
Caprione
Spetta/le Redazione
Anche se accaduto quasi dodici secoli prima del Medioevo, ho avvertito il desiderio di narrare in modo non troppo difforme dalla realtà, questo epica battaglia, che vide i nostri lontani progenitori umiliare una superpotenza del tempo; i Romani. Anche se questo atto costò loro carissimo, mi piace pensare che un poco del loro spirito di ribellione alle prepotenze sia ancora presente nel popolo carrarino, cosa che è stata ampiamente dimostrata in quasi duemila anni di dominazioni varie, in cui il nostro popolo è stato sottomesso, ma mai domato.
Dal fuoco posto al centro del Cerchio Sacro, si alzavano mille faville verso il cielo notturno, quasi volessero unirsi, e rivaleggiare con le stelle. Il suo bagliore, disegnava arabeschi rosso sangue sui volti dei presenti, come una sinistra profezia di morte. I tamburi con la loro voce ossessiva, rompevano la quiete della calda notte estiva, accompagnando il ritmico ballo dei giovani guerrieri, ansiosi di mostrare il proprio valore. A un cenno di Matur, i balli, e i suoni, cessarono di colpo. Il vecchio capo si levò in piedi e si mise al centro del Conciliabolo *, poi disse: “ Oramai da diverse lune gli uomini venuti dal Sud, calpestano e oltraggiano il Sacro Suolo del Popolo delle Montagne Splendenti, essi attaccano i nostri “vici” * oltraggiano le nostre donne, e ci derubano delle nostre greggi”. Un mormorio di approvazione si levò dagli anziani seduti nel sacro cerchio, Matur levò un braccio per chiedere silenzio e continuò “ Neppure nei nostri Castellari * la Nomen * del popolo delle Montagne Splendenti è al sicuro, perciò io dico che bisogna uccidere gli uomini che pretendono i possedere il grembo della Madre Terra, ma per fare questo bisogna che il nostro popolo sia tutto unito, chiedo perciò la sacra alleanza dei Friniati, dei Regiati, degli Apui, dei Magelli, dei Lapicini, e di chiunque viva nella terra delle Montagne Splendenti”. Un urlo di approvazione si levò dal Conciliabolo, mentre mille lame pennate levate verso il cielo rimandavano sinistramente i riflessi del fuoco. Il suono dei tamburi riprese, ma questa volto il loro rullo accompagnava il ballo degli Sciamani, che si ferivano il corpo, e versavano il loro sangue sul Grembo della Grande Madre Terra, per chiedere la protezione per tutte le loro genti. Quinto Marcio Filippo era stato eletto Console da poco, e aveva compiuto con successo il suo primo incarico. Aveva dovuto contrastare nei dintorni di Roma il culto ritenuto ormai eccessivo per il Dio Bacco. Compito che non si era rivelato eccessivamente gravoso, aveva distrutto qualche tempio, e arrestato i sacerdoti dediti al culto, confiscando i loro beni. Ora però, il suo compito era ben diverso, il Senato lo aveva inviato alla testa di diverse Legioni a combattere e sottomettere i Liguri Apuani, una rude e fiera popolazione di pastori e montanari, che non poteva accettare che la terra che loro consideravano sacra, diventasse proprietà di Roma. Era accampato per la notte a poche leghe dalla città di Luna, perché non voleva rischiare che le sue avanguardie, con la notte che sopraggiungeva, cadessero in qualche tranello. Mentre riposava sotto la sua tenda, non poté fare a meno di pensare che questa campagna militare sarebbe stata fondamentale per la sua carriera politica, avrebbe spazzato via senza alcuna pietà questa popolazione di barbari primitivi. Il sole fece capolino da dietro le bianche cime delle Montagne Splendenti, i Centurioni con secchi ordini inquadravano le centurie per formare le colonne per la partenza, manipoli di cavalleria copriva loro i fianchi, mentre la fanteria cominciava ad avanzare al suono ritmato dei tamburini. Il Console col suo cavallo, era salito con alcuni generali su una collinetta lì accanto, e rimirava quel vero e proprio fiume di uomini; facevano veramente paura. Poi di colpo, all’improvviso, arrivò un cavaliere ventre a terra, disse che circa duemila guerrieri Apui avevano attaccato l’avanguardia e che poi erano fuggiti. Quinto Marcio, ebbe un lieve sorriso, e pensò che si presentasse l’occasione di sconfiggere il nemico prima del previsto, quindi ordinò alla cavalleria di seguirli, ma senza esporsi per dargli il tempo di arrivare con la fanteria, e distruggere il nemico. Il sole era ormai allo zenit, quando l’intera Armata arrivò ai piedi di alte e boscose colline che formavano una stretta gola, sul cui fondo scorreva un piccolo fiume. Gli attaccanti erano fuggiti nella piccola valle, quindi ora erano in trappola. La cavalleria impossibilitata a manovrare si ritirò, e al suo posto avanzarono le Centurie in formazione di combattimento. Il Console valutò per un attimo se fosse più saggio inviare alcuni esploratori, ma proprio in quel momento, come apparendo dal nulla, una banda di Apui urlanti si diresse contro di loro. Erano giovani guerrieri con i lunghi capelli stretti sulla nuca per non ostacolare il combattimento, il corpo dipinto, era coperto da pelli, brandivano i terribili pennati che luccicavano al sole, mentre sui loro scudi di legno era disegnata una luna. La prima Centuria a un ordine rauco del Centurione si dispose a testuggine, mentre gli arcieri più arretrati scagliavano nugoli di frecce. Gli assalitori parvero esitare, mentre parecchi di loro cadevano colpiti dalle frecce, poi fecero un rapito dietrofront e iniziarono una rovinosa fuga. Il Console Marcio vide prospettarsi una schiacciante e facile vittoria, e ordinò l’attacco. Le bùccine diedero il segnale. Mentre i Littori rizzavano orgogliosamente le insegne, le Centurie si divisero in Manipoli, con in testa gli Hastati, seguiti dai Principes, e dai Trianii, battendo gli scudi con i gladi e urlando a squarciagola, la gigantesca armata partì all’attacco. Nulla si muoveva sui fianchi della gola, protetta da una fitta vegetazione, le Legioni avanzarono senza trovare resistenza per quasi sei leghe, poi si trovarono la via sbarrata da un salto formato da una piccola cascata. Fu un attimo, un urlo immenso si levò dai fianchi della montagna che di colpo si animarono dalla presenza di migliaia di guerrieri, nugoli di frecce piovvero sulla retroguardia delle Legioni in marcia, e a nulla valsero la pronta reazione di chiudersi a testuggine. Grossi tronchi legati con funi vegetali trattenevano mucchi di enormi macigni, che tagliate, riversarono una micidiale pioggia di sassi, che troncava gambe, spaccava e fracassava scudi e teste, travolgendo e uccidendo intere file di legionari. Poi fu la testa delle Legioni a essere attaccata, senza alcuna possibilità né di avanzare né di arretrare. Giavellotti e frecce oscuravano il sole, e raramente non trovavano un bersaglio. Poi, il suono cupo del corno dette il segnale, migliaia di guerrieri uomini, e donne, si precipitarono urlando nella gola, i pennati * mulinavano senza pietà, le urla dei feriti erano assordanti, mentre il nauseante tanfo d’interiora rendeva l’aria irrespirabile, il piccolo torrente divenne ben presto rosso di sangue, mentre il triste destino delle Legioni si compiva. Nuella sera il Console Marcio, pensò che la sua ambizione gli era costata quasi cinquemila soldati, e che la sua carriera politica era definitivamente finita. Sulle Montagne Splendenti invece, il canto funebre dei morti era sovrastato da quello festante della vittoria, per quella che passerà alla storia come la battaglia di “Saltus Marcius” dove il popolo delle Montagne Splendenti mise in gioco la vita per la propria terra.
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