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Il Tenente coraggioso

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Era il primogenito di una ricchissima famiglia carrarese, che aveva fatto la sua fortuna con l'estrazione e il commercio del marmo. Fin da piccolo sapeva che le sua sarebbe stata un'esistenza ovattata e protetta, e che sarebbe arrivato senza sforzo ad occupare un posto importante in quella Società sessita e frivola, dove contavano soltanto i titoli nobiliari, e il denaro. Così, ad appena 22 anni era già tenente di Cavalleria, aveva un'attendente che si occupava di lui, e il sarto personale che gli confezionava quelle splendide divise su misura, che tanto effetto avevano, assieme al suo bell'aspetto, sulle civettuole dame che frequentava quasi quotidianamente nelle serate mondane. Ma anche in quella Società, per emergere dalla massa, era necessario avere qualche dote o abilità che ti ponessero un gradino sopra agli altri. Così, Flavio, questo era il nome del giovane rampollo della Società bene, aveva sfruttato al massimo la sua passione per le armi, diventando in poco tempo il miglior tiratore di pistola del suo Reggimento, inoltre si vantava di avere un coraggio a tutta prova. Si sa, che l'invidia è un sentimento che da sempre accompagna l'umanità, ed era ben presente anche in quel mondo fatato. I suoi commilitoni, o almeno alcuni di essi, mal digerivano il fatto che lui fosse così amato dalle donne, e stimato dai superiori, e pensarono di giocargli un tiro birbone, contando proprio sul suo coraggio, e la sua vanità. Durante uno dei innumerevoli balli serali, complice anche diverse bottiglie di "quello buono," proprio alla presenza di alcune dame che pendevano dalle sue labbra, qualcuno fece scivolare il discorso in modo apparentemente casuale sul coraggio e i fantasmi. Si sa che il sopranaturale è un' argomento che, specialmente di notte, e se narrato con sapienza, attira di sicuro l'attenzione, e fa presa su chiunque. Anche quella volta non fece eccezione, e così, qualcuno lanciò una sfida, a prima vista sciocca e un pò infantile, ma proprio per questo, fu subito presa in considerazione. Vi era nessuno in quel salotto tanto coraggioso da dormire una notte intera nel castello di Moneta, ormai semidiroccato? Come tutti i vecchi manieri, anche su quello di Moneta, le storie di fantasmi si sprecavano. Alcuni contadini del posto giuravano che in alcune notti, una bianca figura senza testa, si aggirasse sugli spalti, mentre altri affermavano che nelle notti di luna piena, si udivano provenire dalle sue segrete urla strazianti, e rumori di catene, prodotte dalle anime di quei poveri disgraziati che lì erano stati torturati a morte. Flavio, già alticcio, e punto sul vivo, non potè sottrarsi a quella sfida, e stabilì che tra due giorni, quando la luna sarebbe stata piena, lui avrebbe dormito dentro il castello, ma "attenzione" disse a voce alta a tutti i presenti, "se a qualcuno dei presenti venisse in mente di farmi degli scherzi, sappia che con me dormirà questa" disse estraendo il revolver dalla fondina"sappiate che non esiterò ad usarla, e sapete che io faccio centro!" I suoi commilitoni ne erano ben cosci, e avevano già pronto un piano. Durante la notte, ombre furtive si aggirarono sinistre accanto al letto dove, ubriaco, il tenente dormiva profondamente. Venne la sera fatale. All'imbrunire Flavio accompagnato da un codazzo di dame e dai suoi commilitoni, si recò a cavallo a Moneta, e dopo essere smontato, consegnò le redini al suo attendente e a voce alta rivolto a tutti disse, "domani all'alba tornate a prendermi, e  sappiate che mia sorella dormirà con me" e si toccò minacciosamente la fondina. Entrò e andò in una saletta interna del castello, dove il giorno prima aveva fatto portare da un servitore una brandina da campo, e un lume ad olio. Si sedette sulla branda, accese il lume, e pensò a come aveva fatto a farsi coinvolgere in quella situazione assurda. Il tempo passava lentamente, e alla flebile e tremolante luce della lucerna, sulle mura secolari si disegnavano figure di demoni e mostri, che pareva volessero ghermirlo. Era anche una brutta serata, perchè un gelido e forte vento di Tramontana soffiava senza sosta, e le vecchie travature, gemevano e scricchiolavano sinistramente, mentre le gelide follate passando tra di esse producevano rumori simili a urla e lamenti terrificanti. Anche se diceva di essere coraggioso, non si sentiva certamente tranquillo, e sapeva bene che quella notte sarebbe stata lunga e insonne. Nonostante tutto, forse per la tensione nervosa, o per la stanchezza, gli occhi gli si chiusero per un momento, o  così gli parve. Si svegliò di soprassalto quando improvvisamente sentì un rumore, molto diverso da quelli uditi fino ad allora. Era simile a un trascinar di catene, e si stava avvicinando. Mentre un brivido gli correva lungo la schiena, balzò dalla brandina afferrando con una mano il lume, mentre l'altra impugnava la pistola. Aprì la vecchia porta sgangherata, che si affacciava su un lungo corridoio e lo vide! Una figura bianca indistinta avanzava ondeggiando trascinando una catena. Senti i capelli drizzarsi sulla nuca, e solo per un moto d'orgoglio non fuggì a gambe levate, puntò la pistola e disse "chiunque tu sia fermati, o sparo!" La risposta fu una risata sguaiata, e un tintinnar di catene. Allora lui sparò! Sei colpi... In rapida successione, mirando al centro di quella bianca figura, ma quando il fumo azzurrino cominciò a dissolversi, vide che oltre ad essere sempre in piedi, la figura continuava ad avanzare, anzi, protese verso di lui il pugno di una mano chiuso, e quando lo aprì vide all'interno  i suoi sei proiettili. Fu troppo, il terrore gli chiuse la gola come un cappio, impedendogli di respirare, mentre sentì  una terribile fitta al petto. Cadde a terra di schianto, morto, fulminato da una sincope. I suoi commilitoni sgomenti, pentiti dello scherzo atroce, lo portarono fuori dal castello, aiutati dal "fantasma" coperto da un lenzuolo, colpevole di avergli caricato durante la notte passata da ubriaco, la pistola a salve, e ideatore della scena dei proiettili. Mia madre mi diceva sempre in dialetto" cocon arcord't che la paura adè d chi a sla fà!" "Caro ricordati che la paura è di chi se la fa!" Mai come in questo caso aveva ragione.
By Mario Volpi
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